Con una nota ufficiale trasmessa lo scorso 24 novembre, il Presidente del Consiglio Nazionale ForenseAndrea Mascherin, ha sottoposto al Primo Presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio, alcune questioni in materia di pronunce di inammissibilità.
“Con le decisioni n. 17450 e n. 26520 la Corte di cassazione ha dichiarato l’improcedibilità dei ricorsi per violazione dell’art. 369, c. 2, n. 2), c.p.c.. Nel primo caso – nel quale l’impugnazione riguardava una sentenza notificata a mezzo di posta elettronica certificata e le parti avevano convenuto sulla data di tale notificazione – in quanto vi era agli atti (oltre che copia conforme all’originale della sentenza impugnata, rilasciata dalla cancelleria del giudice d’appello) copia priva di attestazione di conformità del messaggio di posta elettronica certificata relativo alla notificazione, mentre il ricorrente avrebbe dovuto, secondo la Corte, “estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, comma 5, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica””, ha detto il Presidente Mascherin.
“Ciò sul presupposto dell’attuale applicabilità della disciplina del processo civile telematico dinanzi alla Corte di cassazione solo limitatamente alle comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili e della ritenuta ricorrenza della fattispecie di cui all’art. 9, c. 1-ter, della l. n. 53 del 1994. Nel secondo caso l’improcedibilità è stata dichiarata perché agli atti vi era solo una stampa cartacea della sentenza digitale, senza attestazione di conformità, mentre avrebbe dovuto essere depositata la copia cartacea della sentenza asseverata dal difensore del ricorrente come conforme all’originale digitale presente nel fascicolo informatico ai sensi dell’art. 16-bis, c. 9-bis, del d.l. n. 179 del 2012.
In tale caso la Corte ha aggiunto (appare trattarsi di obiter dictum) che se viene impugnata una sentenza notificata con modalità telematiche, il ricorrente è soggetto ad un duplice onere: quello di asseverare come conforme all’originale la copia del provvedimento impugnato tratta dal fascicolo informatico e (richiamando la decisione sopra ricordata) quello di certificare la conformità agli originali digitali del messaggio di posta elettronica pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente. Quanto precede sul presupposto che “poiché l’originale del provvedimento è quello digitale presente nel fascicolo informatico, è da quello soltanto che può estrarsi una copia autentica. Se il difensore apponesse l’attestazione di conformità sulla copia del provvedimento che gli è stata notificata, anziché sull’originale scaricato dal PCT, egli attesterebbe la conformità di una “copia della copia”, anziché della copia estratta direttamente dall’originale””, ha aggiunto il presidente del Cnf.
“Tali decisioni destano perplessità e preoccupazione, in quanto ispirate ad un rigore formale che appare non giustificato dal quadro normativo di riferimento e non in sintonia con regole e scansioni del processo civile telematico, risolvendosi in irragionevoli restrizioni del diritto ad una decisione nel merito, non allineate con la giurisprudenza della Corte EDU in tema di accesso alla giurisdizione.
Indipendentemente dalla questione dell’estensione dei poteri di attestazione degli avvocati, sicuramente da condividersi nella prospettiva del migliore funzionamento del processo civile, va osservato che la produzione della relazione di notificazione redatta ai sensi del c. 5 dell’art. 3-bis della l. n. 53 del 1994 nulla aggiunge a quanto già risulta, tra l’altro quanto al tempo della notificazione, dal messaggio di posta elettronica certificata di cui allo stesso art. 3-bis.
Se poi si considera che in entrambi i casi in parola non erano state sollevate contestazioni circa la data della notificazione della sentenza (e la tempestività dell’impugnazione) e la conformità all’originale di quanto agli atti (messaggio di posta elettronica certificata relativo alla notificazione in un caso, copia cartacea della sentenza digitale nell’altro), il rigore delle decisioni assunte, che si ripete, si sono risolte nella negazione del diritto ad una decisione, appare vieppiù non connotato da quella prudente ragionevolezza che deve ispirare l’interpretazione e l’applicazione delle norme processuali nella prospettiva di un giusto processo. Analoghe preoccupazioni desta l’ordinanza n. 20672 di rimessione al primo Presidente, che appare indurre pericolose incertezze sulla validità degli atti del processo in forma di documento informatico.”, ha concluso Mascherin.
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