Sicurezza: Cass. penale 669/2013

Sicurezza: Responsabilità del CDA – datore di lavoro
Cassazione penale n. 669/2013 (21628/2013) – art. 589 c.p.
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente

Il dipendente di una Spa (responsabile magazzino) moriva schiacciato al suolo a seguito del crollo di una balla di cellulosa del peso di due tonnellate posizionata in modo instabile ed inadeguato su pancali all’interno del magazzino.Veniva ritenuto responsabile, quale datore di lavoro, il legale rappresentante della società che si difendeva allegando:1)    la qualifica del dipendente deceduto e le mansioni contenute in procura speciale erano idonee a integrare la delega ex art. 16 Dlgs. 81/20082)    estraneità del legale rappresentante  alle problematiche tecniche della gestione dei magazzini e sulla movimentazione della merce.La sentenza ribadisce concetto ormai consolidato ovvero che destinatario  delle norme per la sicurezza dei luoghi di lavoro è il legale rappresentante quale Presidente del Consiglio di amministrazione .
Nulla di nuovo se non fosse per l’inciso che ricorda la responsabilità dell’intero CDA prima ancora che del Presidente del CDA.
Precisa invero la Corte che la responsabilità nella SPA è del Consiglio di amministrazione il quale può delegare con apposita delibera le proprie funzioni ad un consigliere che assume la posizione di delegato per la sicurezza.

CDA –> delibera –> consigliere delegato –> datore di lavoro (delega sicurezza)

“E’ pur vero che …nel caso di imprese gestite da societa’ di capitali, gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione ….e difatti il Presidente del CDA non può da solo essere considerato rappresentante della società, appartenendo la rappresentanza all’intero CDA salvo delega conferita ad un singolo Consigliere, amministratore delegato, in virtù dell’obbligo di adottare misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato rimanendo in capo al CDA residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e intervento sstitutivo nel caso di mancato esercizio della delega”.
Nel caso in esame il presidente del CDA (legale rappresentante) con delibera del CDA aveva ricevuto la delega quale “datore di lavoro per la sicurezza” e dunque  assumeva duplice funzione di garanzia quale datore di lavoro (Presidente CDA) e delegato alla sicurezza (per delibera conferita dal CDA).
 
 
 
 

 

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Quesito: quali obblighi del proprietario di fondo con rifiuti?

Il proprietario incolpevole è tenuto alla chiusura del fondo in presenza di rifiuti?
segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
La sentenza TAR Puglia 301/2013 commentata su questo sito precisa “la mancata chiusura del fondo da parte del relativo proprietario non costituisce comportamento colposo idoneo per imputargli la responsabilità di un indebito deposito di rifiuti sul terreno, posto che, per principio generale, la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e mai un obbligo” (T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 5 giugno 2012, n. 560);

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Proprietario incolpevole e ordinanza ex art. 192 Dlgs. 152/2006

Proprietario incolpevole e rimozione rifiuti – ordinanza ex art. 192 Dlgs. 152/2006
T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 13/02/2013, n. 301

a cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


I ricorrenti impugnavano l’ordinanza comunale ex art. 192 Dlgs. 152/2006 che gli ingiungeva di provvedere alla bonifica del terreno di proprietà mediante smaltimento dei rifiuti urbani e speciali ivi abbandonati.

Il responsabile, nel caso in esame, era rimasto ignoto e la amministrazione aveva provveduto nei confronti dei proprietari.
La sentenza accoglie il ricorso e richiama anche l’onere delle amministrazioni di attivarsi e provvedere “ognuna per i compiti di propria competenza, alle operazioni necessarie alla messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale della suddetta area, giacché la normativa vigente in materia, pone come obiettivo primario ed inconfutabile la tutela della salute pubblica e la protezione dell’ambiente e del paesaggio”.

La sentenza riassume con chiarezza alcuni punti ormai condivisi dalla giurisprudenza con riferimento all’art. 192 comma 3 Dlgs. 152/2006:

1) L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/90 impedisce ai soggetti privati interessati la partecipazione al procedimento finalizzato alla irrogazione della sanzione; impedisce il contraddittorio degli accertamenti effettuati

2) La sentenza non dimentica che “per il configurarsi di una responsabilità per dolo o colpa del proprietario o di chi abbia, anche se in via di mero fatto, la disponibilità della discussa area, occorre che il suo coinvolgimento a titolo di dolo o colpa risulti a seguito di un’adeguata istruttoria e con l’ausilio del privato stesso, da convocarsi in contraddittorio (il che, nella specie, non è avvenuto) per fornire elementi utili di valutazione per l’accertamento delle reali responsabilità

3) La sentenza avvalla la riconosciuta natura della ordinanza ex art. 192 quale “…ingiunzione di sgombero a carattere sanzionatorio…

4) La sentenza ricorda che è esclusa ogni forma di responsabilità oggettiva per violazione di un generico dovere di vigilanza”

5) Proprietario incolpevole: “..l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere, invece, addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni responsabilità del medesimo. La P.A. non può, pertanto, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento. L’enunciato è conforme al principio “chi inquina paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (art. 174, ex art. 130/R, trattato Ce), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio d’inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione

6) Chiusura del fondo: Interessante anche la precisazione della sentenza che afferma “la mancata chiusura del fondo da parte del relativo proprietario non costituisce comportamento colposo idoneo per imputargli la responsabilità di un indebito deposito di rifiuti sul terreno, posto che, per principio generale, la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e mai un obbligo”

7) Autore dell’inquinamento: “nei casi d’inquinamento diffuso, ossia in quei casi in cui non sia possibile o sia oltremodo difficoltoso accertare la responsabilità dell’autore dell’inquinamento, la bonifica resta a carico della P.A. e i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento”

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Terre e rocce da scavo: disciplinare ISPRA

 Terre e rocce da scavo: disciplinare ISPRA

a cura di Studio Legale Ambiente


L’Ispra interviene con Disciplinare al fine di dare applicazione all’art. 13 del DM 161/2012.

L’art. 13 del DM 161/2012 prevede che al fine di garantire pubblicità e trasparenza dei dati relativi alla qualità ambientale del territorio nazionale, ogni Autorità competente comunichi i pareri in merito ai piani di utilizzo all’ ISPRA per consentire l’aggiornamento della cartografia relativa ai vari punti di campionamento eseguiti, cui va associato un archivio dei valori delle concentrazioni di inquinanti riscontrati nelle verifiche pervenute.
Al fine di garantire la pubblicità e la trasparenza dei dati relativi all’utilizzo delle terre e rocce da scavo rientranti nel campo di applicazione del DM 161/2012 ISPRA pubblica sul proprio sito web un disciplinare che definisce le

  1. informazioni da trasmettere,
  2.  standard
  3.  modalità di trasmissione.

Disciplinare Terre e Rocce da scavo

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Sacchetti di plastica: pubblicato il DM 18 marzo 2013

Sacchetti in plastica
Pubblicato il decreto che fissa le ulteriori caratteristiche tecniche

a cura di Cinzia Silvestri e Dario Giardi – Studio Legale Ambiente

In Gazzetta Ufficiale n. 73 del 27-3-13 è stato pubblicato il Decreto del 18 marzo u.s. con cui il Ministero dell’ambiente ed il Ministero dello sviluppo economico hanno individuato le caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci in attuazione dell’art. 2 comma 2 DL n. 2/2012 e ss. modificazioni (Misure straordinarie ed urgenti in materia ambientale).
Vista la delicata tematica riportiamo sinteticamente il percorso che ha portato all’emanazione del nuovo decreto.
Il Dl n.2/2012, pienamente in vigore, aveva consentito la vendita di sacchetti monouso biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432 (escludendo, quindi, i sacchi in polietilene additivato), oppure di quelli riutilizzabili purché di adeguato spessore e contenenti una quota di plastica riciclata.

All’articolo 2, comma 2, veniva anche demandato ad un decreto di natura non regolamentare adottato dai Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, il compito di individuare “eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della commercializzazione dei sacchi di asporto merci, anche prevedendo forme di promozione della riconversione degli impianti esistenti, nonché, in ogni caso, le modalità di informazione ai consumatori”.

Regolamento che è proprio il decreto oggetto della presente comunicazione.
L’entrata in vigore delle sanzioni ai contravventori, inizialmente fissata al 1 gennaio 2014, era stata sospesa dal Decreto Sviluppo emanato dal Governo Monti, convertito in legge (disegno di legge S. 3533) nel dicembre dello scorso anno.

Il comma 30 della legge recitava, infatti: “All’articolo 2, comma 4, del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, le parole: « A decorrere dal 31 dicembre 2013, » sono sostituite dalle seguenti: «A decorrere dal sessantesimo giorno dall’emanazione dei decreti di natura non regolamentare di cui al comma 2»”.
In altre parole, la legge che mette al bando gli shopper in plastica non biodegradabile e compostabile e quelli riutilizzabili è pienamente in vigore e le sanzioni – essendo stato emanato il decreto interministeriale – potrebbero scattare tra 60 giorni, anche se il decreto stesso, come si legge all’articolo 6, vincola la sua efficacia (entrata in vigore) alla conclusione, con esito favorevole, della procedura di comunicazione alla Commissione Europea, ai sensi della Direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Confusione generata dal fatto che il Dl 02/2012 fa decorrere il termine per l’applicazione del divieto di commericalizzazione e dlele sanzioni non, come sarebbe logico, dalla entrata in vigore dle decreto bensì dalla sua emanazione.
Gli uffici ministeriali competenti, in via informale, hanno ribadito come, secondo l’interpretazione prevalente, il conto alla rovescia di 60 giorni prima dell’avvio del regime sanzionatorio non scatterà prima della piena entrata in vigore del decreto, e ciò avverrà solo alla conclusione, con esito favorevole, dell’esame del testo presso la Commissione Europea.
Pertanto, le prime sanzioni potranno essere comminate solo a partire dal 13 agosto 2013, ovvero trascorsi due mesi dal via libera della Commissione Europea, che arriverà – se non vi saranno obiezioni – il prossimo 13 giugno, 90 giorni dopo la notifica depositata il 12 marzo scorso.

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Sistri: operativo dal 3 marzo 2014?

SISTRI
Riattivata l’operatività del sistema, ma solo dal 1° ottobre 2013, per i rifiuti pericolosi, e dal 3 marzo 2014 per tutti gli altri rifiuti

a cura di Cinzia Silvestri e Dario Giardi – Studio legale Ambiente

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 92 del 19 aprile 2013 il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare 20 marzo 2013 recante “Termini di riavvio progressivo del Sistri” che stabilisce le modalità per il riavvio operativo del Sistri.
Il decreto, adottato in attuazione dell’art. 52 del decreto legge 83 del 22.06.2012, convertito dalla legge 7.08.2012 n. 134, è stato elaborato sulla base dei rapporti dell’Agenzia per l’Italia digitale e del parere dell’Avvocatura generale dello Stato.

Il riavvio del SISTRI avverrà in modo graduale e progressivo; ciò consentirà agli operatori di verificare i dati inseriti all’interno del sistema ed aggiornare i software di utilizzo, e al Ministero di introdurre le semplificazioni già segnalate dalle associazioni di categoria e successivamente quelle che si renderanno necessarie sulla base della verifica di funzionamento del Sistri.
In particolare, per l’entrata in operatività del Sistema, sono previsti i seguenti due periodi:

  1. dal 30 aprile al 30 settembre 2013 i produttori di rifiuti speciali pericolosi con più di 10 dipendenti e gli enti e le imprese che gestiscono rifiuti speciali pericolosi; le imprese più grandi e meglio organizzate, sono tenute ad “allineare” i dati e le informazioni già inserite a sistema In questo periodo potranno essere introdotte modifiche e semplificazioni necessarie per il migliore funzionamento del sistema e per la riduzione degli oneri amministrativi ed organizzativi a carico delle imprese.

Per queste imprese il sistema sarà pienamente operativo a partire dal 1° ottobre 2013.

2• dal 1 ottobre 2013 ed il 2 marzo 2014 gli altri operatori. Anche in questo periodo potranno essere introdotte modifiche e semplificazioni necessarie per il migliore funzionamento del sistema e per la riduzione degli oneri amministrativi ed organizzativi a carico delle imprese.

A partire dal 3 marzo 2014 il sistema sarà pienamente operativo per tutti gli operatori.
Inoltre, in considerazione dell’esigenza di aggiornare i costi di funzionamento e di conseguenza gli oneri per le imprese, il decreto dispone la sospensione del pagamento dei contributi per l’anno in corso.
 

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Affidamento nei pareri della PA: quali conseguenze?

Affidamento nei pareri della P.A.: quali conseguenze?
Cass. pen. Sez. III n. 21918/2012
Art. 137 comma 1 Dlgs. 152/2006 – autorizzazione scarichi industriali

A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente

La sentenza evoca le infinite situazioni in cui un avvocato sente il proprio assistito rimandare a quello che l’amministrazione scrive, dice, afferma…. quasi fosse legge; e ciò crea affidamento.
L’amministrazione è punto di riferimento, ma anche fonte di sudditanza e di necessità burocratica .
La Cassazione nel caso in esame non ha dato alcuna importanza all’affidamento creato dalle considerazioni della Pubblica amministrazione, che ne esce indenne.
Paga invece le spese del suo incauto affidamento il gestore del lavaggio di auto, colpevole di non aver posto in dubbio le affermazioni dell’amministrazione.

In particolare.
Il gestore di un impianto di autolavaggio veniva condannato dal Tribunale ex art. 137 comma 1 Dlgs. 152/2006 per aver effettuato “ attività di lavaggio di autovetture in carenza della prescritta autorizzazione agli scarichi”
Accade che l’autolavaggio era munito di
a) una sola autorizzazione riferibile alle sole acque di dilavamento del piazzale dell’impianto derivante da precipitazioni meteoriche,
Non era munito come sarebbe stato necessario, attesa l’attività in concreto esercitata di autorizzazione
b) al conferimento in pubblica fognatura di acque reflue industriali o di altre acque a queste ultime comunque assimilate.
Era necessaria l’ autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali.

Il Gestore invoca il comportamento della Pubblica amministrazione (che rispondeva a sua missiva interlocutoria) che aveva creato in lui il legittimo affidamento di non essere tenuto ad avere altra autorizzazione
L’amministrazione invero rispondeva “ non soggetta l’attività ad ulteriore e diversa autorizzazione rispetto a quella già rilasciata in precedenza…”.
La Corte invece imputa solo al gestore la colpa di non aver provveduto ad attivarsi in forza della sua professionalità e maggiore diligenza “ non potendo….. la necessità di un’ulteriore autorizzazione al conferimento in pubblica fognatura di acque reflue industriali o di altre acque a queste ultime ..assimilate sfuggire al ricorrente quale operatore del settore dell’autolavaggio”.

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Oli usati: circolare Ministero Ambiente

 Circolare del Ministero Ambiente: oli usati

segnalazione a cura Studio legale Ambiente

Il Ministero pubblica circolare su oli usati indicando le modalità relative agli obblighi di gestione di cui all’art. 183 comma 1 lett. c) :

“qualsiasi olio industriale o lubrificante, minerale o sintetico, divenuto improprio all’uso cui era inizialmente destinato, quali gli oli usati dei motori a combustione e dei sistemi di trasmissione, nonchè gli oli usati per turbine e comandi idraulici”.

La circolare si riferisce alle spedizioni transfrontaliere ma afferma che la gestione degli oli usati deve essere finalizzata alla rigenerazione, anche con riferimento al recupero energetico. 

Precisa inoltre che la rigenerazione costituisce una operazione di riciclaggio ex art. 183 comma 1 lett. u) che l’art. 216 bis comma 1 preferisce alle forme di recupero e allo smaltimento stesso.

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adminOli usati: circolare Ministero Ambiente
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Pagamenti P.A.? DL 35/2013 pubblicato

Pagamenti della P.a.

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente

L’ atteso provvedimento e’ stato pubblicato ed entra in vigore il 9 aprile 2013.

Molti gli spunti di riflessione. L’art. 10 è dedicato alla TARES (vedi articolo pubblicato su questo sito).

Si rinvia alla lettura del testo.

DECRETO-LEGGE 8 aprile 2013, n. 35 Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonche’ in materia di versamento di tributi degli enti locali. (13G00077) (GU n.82 del 8-4-2013)

adminPagamenti P.A.? DL 35/2013 pubblicato
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TARES: novità

TARES
Approvato il decreto che fissa le rate del nuovo tributo

a cura di Studio legale Ambiente – Cinzia Silvestri e Dario Giardi


Il Consiglio dei Ministri del 6 aprile2013  ha approvato il decreto legge “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali” che contiene alcune disposizioni che riformulano l’entrata in operatività della Tares fissando le modalità di pagamento delle rate, le relative scadenze e le attribuzioni di competenza.

In particolare, l’articolo 10, comma 2 e 3, prevede disposizioni, in materia di TARES, che operano limitatamente all’anno 2013, anche in deroga all’art. 14 del D. L. n. 201 del 2011.

Ampia discrezionalità del Comune

Il comma 2, lett. a) attribuisce al comune la facoltà di intervenire sul numero delle rate e sulla scadenza delle stesse con la conseguenza che il versamento della prima rata può essere anticipato rispetto all’attuale scadenza di luglio, prevista dal comma 35 dell’art. 14 del D.L. n. 201 del 2011, che consente unicamente la possibilità di posticipare tale scadenza. A tutela del contribuente, la norma prevede, comunque, la condizione che la deliberazione sia adottata e pubblicata, ai sensi di legge, dal comune almeno trenta giorni prima della data di versamento.

La lett. b) stabilisce che, ai fini del versamento delle sole prime due rate del tributo, i comuni possono inviare ai contribuenti i bollettini di conto corrente postale precompilati, già predisposti per il pagamento della TARSU o della TIA 1 o della TIA 2, ovvero indicare le altre modalità di pagamento già in uso per gli stessi prelievi.

La norma precisa che tali modalità di versamento non possono essere utilizzate per il pagamento dell’ultima rata del tributo che, quindi, deve essere corrisposta, unitamente alla maggiorazione standard, impiegando esclusivamente gli strumenti previsti dalla successiva lett. c). Dal tenore e dalla finalità della disposizione in parola emerge che, anche nel caso in cui il comune abbia previsto il pagamento del tributo in sole due rate, per il pagamento della seconda deve essere necessariamente utilizzato il modello F24 o il bollettino di conto corrente postale. A parte quest’ultima ipotesi, il contribuente può sempre avvalersi della facoltà di pagare il tributo in un’unica soluzione a giugno, come previsto dal citato comma 35 dell’art. 14, ma tale facoltà può essere esercitata limitatamente alle rate diverse dall’ultima.

In definitiva, per l’anno 2013, il contribuente è tenuto a corrispondere il tributo in almeno due rate.

Resta fermo che l’utilizzazione dei bollettini di conto corrente postale predisposti per il pagamento della TARSU, della TIA 1 e della TIA 2 costituisce una mera facoltà, potendo il comune utilizzare, già a decorrere dalla prima rata, il modello F24 e il bollettino di conto corrente postale, in via di approvazione, predisposti per il pagamento della TARES.
La lett. c) del comma 2 prevede la riserva in favore dello Stato del gettito relativo alla maggiorazione standard, pari a 0,30 euro per metro quadrato. Conseguentemente, la lett. d) prevede che non trovi applicazione il comma 13-bis del citato art. 14 del D. L. n. 201 del 2011 e la lett. e) opera le necessarie modifiche alla lettera c) del comma 380 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2012.
Anche in questo caso, detta maggiorazione è versata in unica soluzione, unitamente all’ultima rata della TARES, utilizzando il modello F 24 o il bollettino di conto corrente postale in via di approvazione.

La lett. f) della norma stabilisce che i comuni non possono esercitare la facoltà di aumento della maggiorazione standard fino a 0,40, come, invece, previsto dal comma 13 dell’art. 14 del D. L. n. 201 del 2011.

La lett. g) mira a risolvere le difficoltà dei comuni che, in regime di TIA, hanno esternalizzato tutto il servizio di gestione dei rifiuti, ivi compresa la riscossione. La disciplina del nuovo tributo prevede, infatti, che i versamenti debbano essere effettuati esclusivamente ai comuni e, solo nel caso di tariffa puntuale, il soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti provvede alla riscossione. Per evitare ripercussioni negative sullo svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, poiché le aziende in questione non sono destinatarie delle somme riscosse e per consentire ai comuni di riappostare il bilancio prevedendo la necessaria corrispondenza tra l’entrata relativa al gettito del tributo e la corrispondente voce di spesa per la gestione del servizio, la norma consente transitoriamente per l’anno 2013 ai comuni di continuare ad avvalersi per la riscossione del tributo dei soggetti affidatari del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Il comma 3 della norma in esame, nel sostituire il comma 4 dell’art. 14 del D. L. n. 201 del 2011, ripropone le stesse disposizioni presenti nella disciplina TARSU. Per tale tributo, infatti, l’art. 63, comma 2, del D. Lgs. n. 507 del 1993 escludeva dalla tassazione le aree comuni del condominio. Per quanto riguarda invece le aree pertinenziali delle attività economiche, la disposizione relativa alla TARSU era inserita nell’art. 6 del D.L. 29 settembre 1997, n. 328, convertito dalla legge 29 novembre 1997, n. 410, in base al quale, per il 1997 e il 1998, erano imponibili le superfici scoperte operative e venivano escluse dal tributo le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili. Successivamente, l’art.1, comma 3, del D.L. 26 gennaio 1999, n.8, convertito dalla legge 25 marzo 1999, n.75, ha esteso tale disciplina anche agli anni successivi al 1998.

Pertanto, con la norma proposta le superfici scoperte operative sono tassabili per intero, mentre non sono tassabili

le aree scoperte pertinenziali o accessorie di locali adibiti a civili abitazioni,

le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili diversi dalle civili abitazioni,

le aree comuni condominiali nei limiti previsti dalla norma.

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Proprietario incolpevole e sito inquinato

Il proprietario incolpevole e sito inquinato
note a TAR Veneto sez. III 8.2.2013

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri

Con ricorso e motivi aggiunti, la ricorrente proprietaria di uno stabilimento sito in un’area ricompresa all’interno del sito inquinato di interesse nazionale individuato ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, impugna gli atti con i quali sono stati ordinati adempimenti nell’ambito della procedura, già avviata, volta al disinquinamento delle aree.

La sentenza pone interesse alla questione del proprietario incolpevole.
Il ricorrente lamenta che al proprietario incolpevole dell’inquinamento non possono essere ordinati adempimenti nell’ambito delle procedure volte al disinquinamento e alla bonifica delle aree inquinate.

La Corte però avvalla orientamento restrittivo (non del tutto condivisibile) nei confronti del proprietario non colpevole dell’inquinamento e afferma l’obbligo…di attivarsi.
Il proprietario, afferma la Corte, non può “ disinteressarsi alla propagazione degli inquinanti, senza sopportare delle conseguenze per la propria inerzia”.

La Corte anzi richiama ed evoca,
1) dal punto di vista civilistico, la “…responsabilità risarcitoria ex art. 2051 c.c. per i danni causati da cose in custodia, per non aver posto in essere le misure idonee ad impedire che gli inquinanti presenti nell’area di pertinenza venissero rilasciati nell’ambiente circostante…”,
2) “…dal punto di vista della procedura amministrativa volta al risanamento ambientale, il proprietario, per l’art. 245 del Dlgs. n. 152 del 2006, è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 che, all’ultimo periodo del comma 1, specifica l’applicabilità delle procedure anche alle contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione…”

Giova ricordare che il richiamo della Corte è riferito alle “bonifiche” ovvero ai siti in cui si è rilevato il superamento delle Soglie di contaminazione (CSR).

La Corte ricorda anche che la disciplina relativa all’”onere reale “ ex art. 253 Dlgs. 152/2006 imcombe solo quando:
1) manca individuazione del responsabile o
2) infruttuosa escussione del responsabile

“….E’ vero che gli obblighi di
a) bonifica e ..
b) ripristino ambientale …
c) obblighi di riparazione per equivalente,
…gravano sul responsabile dell’inquinamento, ma …..nel caso in cui gli interventi vengano effettuati d’ufficio dall’autorità competente, nel caso in cui

1) sia impossibile identificare il responsabile o
2) esercitare nei suoi confronti le azioni di rivalsa,
le conseguenze sono poste a carico del proprietario, ancorché incolpevole, nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi, posto che vi è la specifica previsione di un onere reale sulle aree…”

Qualora dunque non sia possibile identificare il proprietario o impossibile esercitare azione di rivalsa l’amministrazione può provvedere alla bonifica d’ufficio. Le spese di tale bonifica possono essere ripetute nei confronti del proprietario incolpevole ai sensi dell’art. 253 comma 3 Dlgs. 152/2006.

Come si giustifica tale richiesta di rimborso?
Continua la Corte precisando che la ripetizione dlela somma anticipata per la bonifica “ …trova la propria giustificazione nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata..”

La Corte sembra affermare che laddove non si trova il responsabile ..comunque “paga” il proprietario.
Tuttavia si ricorda che l’art. 253 comma 3 Dlgs. 152/2006 subordina ad attenta istruttoria e a provvedimento motivato “l’impossibilità di accertare la identità del soggetto responsabile….”

“…Resta ferma la possibilità per il proprietario incolpevole che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, di rivalersi nei confronti del responsabile per le spese sostenute e l’eventuale maggior danno subito ….

Dunque il proprietario incolpevole – laddove non sia stato individuato con certezza il vero responsabile (si pensi alle contaminazioni storiche) – si trova a dover pagare comunque :

a) spontaneamente (salvo regresso sul responsabile se individuato)

b) forzatamente alla amministrazione (perchè beneficia della bonifica)

La Società proprietaria dell’area anche se dovesse risultare non responsabile dell’inquinamento, può comunque essere tenuta a sopportare le conseguenze della bonifica.

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Sicurezza: RSPP – note a sentenza Cass. pen. 11492/2013

Sicurezza: RSPP – responsabilità
Cassazione penale n. 11492/2013 (e 2132/2010)

A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente

Si pone nel solco della sentenza Cassazione penale 2132/2010 (già indicata su questo sito e che parzialmente si riporta) la sentenza della Cassazione penale 11492/2013.

Il caso (Cass. pen. 11492/2013) coinvolge RSPP e il dirigente di una ASL.
L’addebito era l’omissione di installazione (o di fare installare) e “…di mantenere in modo adeguato l’impianto elettrico del locale adibito a terapia, di avere omesso di garantire l’adeguato isolamento tra i conduttori dell’impianto elettrico, di avere omesso di predisporre la messa a terra delle parti metalliche, di avere omesso gli opportuni accorgimenti per proteggere l’impianto da sovraccarichi, di avere omesso di predisporre in modo visibile la tabella recante le istruzioni da seguire per i soccorsi da prestare a persone eventualmente folgorate…”
Tali addebiti di colpa venivano ritenuti causalmente collegati con l’incidente: il paziente Q.O., che era sottoposto ad una terapia mediante apparecchio elettromedicale, a causa di una verificatasi sovratensione dell’impianto elettrico aveva ricevuto una forte scossa elettrica a seguito della quale era caduto dal letto, perdendo i sensi e riportando anche una lesione lacero-contusa al capo, con ricovero in ospedale per gg. 3.

La Corte evidenzia alcuni aspetti in relazione alla figura del RSPP al quale viene contestata la
1) “ negligente sottovalutazione dei rischi”, collegati alla presenza nei locali di un impianto elettrico non a norma, che provocava situazioni repentine di sovratensione, con conseguente malfunzionamento degli apparecchi medicali ed un aumento rapido della corrente erogata dagli elettrodi, idonee a generare nel paziente una sensazione dolorosa e delle contrazioni più forti che potevano generare panico (e giustificare così la contestuale caduta della parte offesa e le relative lesioni, sia pure di carattere lieve) e
2) nella imperizia dimostrata dallo stesso ad affrontare la situazione di pericolo.

Le due sentenze (Cass. penale 2132/2010 e 11492/2013) riassumono con particolare chiarezza il ruolo del RSPP e ricordano che tale figura non è immune da responsabilità; responsabilità che può concorrere con quella del datore di lavoro ed anche divenire esclusiva.
La Cassazione ribadisce i caratteri tipici RSPP ovvero:
a) non è titolare di alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa antinfortunistica e
b) “..lo stesso opera … quale “consulente” in tale materia del datore di lavoro..”
c) il datore di lavoro “..è (e rimane) direttamente tenuto ad assumere le necessarie iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio.

DELEGA DI FUNZIONI
Entrambe le sentenze delineano la differenza tra il ruolo di RSPP e la delega di funzioni.
“…. la “designazione” di RSPP che il datore di lavoro è tenuto a fare a norma del cit. Decreto, art. 31 (individuandolo, ai sensi del successivo art. 32, tra persone i cui requisiti siano “adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative”), non equivale a “delega di funzioni” utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica, perchè gli consentirebbe di “trasferire” ad altri – il delegato – la posizione di garanzia che questi ordinariamente assume nei confronti dei lavoratori. Posizione di garanzia che, come è noto, compete al datore di lavoro in quanto ex lege onerato dell’obbligo di prevenire la verificazione di eventi dannosi connessi all’espletamento dell’attività lavorativa…”
Dunque il datore di lavoro con la nomina del RSPP non delega, non trasferisce l’obbligo del rispetto della normativa antinfortunistica.
RSPP
a) “..è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale..”,
b) “..spettandogli solo di prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonchè di informazione e formazione dei lavoratori (cfr. art. 33 del decreto cit.).
Il datore di lavoro, quindi,
a) è il titolare della posizione di garanzia…,
b) ha l’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi (non delegabile) e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, appunto in collaborazione con il RSPP
c) solo di datore di lavoro risponde della omessa valutazione del rischio

RESPONSABILITA’ CONCORRENTE
Ed invero così si esprime anche la Cass. penale 11492/2013 :
“…Ne consegue che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo (Sezione 4, 15 luglio 2010, Scagliarini).
Ciò perchè, in tale evenienza, l’omissione colposa al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP, impedendo l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento, finirebbe con il costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio: con la conseguenza, quindi, che, ……ben potrebbe rectius, dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell’art. 113 c.p. , e art. 41 c.p. , comma 1 dell’evento dannoso derivatone.
La Cassazione dopo aver delineato il rapporto RSPP e datore di lavoro precisa lo spazio di responsabilità “concorrente” del RSPP.

Il RSPP “…che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio), può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.

Ne consegue che il RSPP qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso derivatone, essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere addirittura esclusivo.

Dunque la
a) “mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e
b) la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché
c) la mancata informazione e formazione dei lavoratori
può integrare una omissione rilevante e attribuire in concorso la responsabilità anche al RSPP.
IL RSPP ha il potere e dovere di segnalazione dei Rischi; l’omissione colposo di tali segnalazioni impedisce “…l’attivazione da parte dei soggetti muniti delle necessarie possibilità di intervento…” e finisce per “…costituire (con)causa dell’evento dannoso verificatosi in ragione della mancata rimozione della condizione di rischio.

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Modello 231 e reati ambientali

Modello “231” : Interesse e vantaggio
Reati ambientali e difficoltà di individuazione del vantaggio e dell’interesse ex art. 5 Dlgs. 231/2001

A cura di Studio Legale Ambiente -Cinzia Silvestri

La Circolare Assonime del 2012 riassume con chiarezza la problematica della individuazione dell’interesse e del vantaggio a favore dell’ente che costituisce presupposto per la imputazione della Società.

La circolare richiama l’ interpretazione offerta dalla giurisprudenza al fine di individuare il concetto di vantaggio e interesse e offre una propria indicazione nei confronti dei reati ambientali : “ .. non vi è interesse dell’ente a provocare un disastro ambientale né ciò può arrecargli vantaggio; tuttavia quando l’imprenditore non organizza l’attività in linea con le prescrizioni del Dlgs. 231/2001 accetta implicitamente il rischio di incorrere in un reato presupposto… mostra di essere negligente o imprudente. Quando poi l’accettazione del rischio di violare la legge è il risultato di scelte di contenimento di costi e di risparmio di spese è ragionevole ritenere sussitente il “vantaggio” dell’Ente..”
La circolare poi conclude con prudenza ricordando la difficoltà di individuare l’interesse edil vantaggio nell’ambito dei reati ambientali e richiama l’attenzione alla “specificità imprenditoriale” e “al pericolo di gravare l’impresa di rischi che la politica imprenditoriale intende invece scongiurare…”

In particolare:
La relazione ministeriale al Dlgs. 231/2001 precisava
1) interesse è da interpretare in senso soggettivo verificabile ex ante
2) il vantaggio è da considerare in senso oggettivo ex post

Un esempio chiarisce l’intento: un amministratore corrompe con propri fondi un pubblico ufficiale al fine di vincere una gara di appalto. Tale condotta produce effetti positivi sulla societa (vince l’appalto).
La Società potrebbe difendersi adducendo l’autonomia dell’agire dell’amministratore o che nulla sapeva.
Vero è che tale illecito è reso possibile dalle lacune organizzative dell’Ente che ne diviene responsabile.
L’ente non risponde solo se il comportamento dell’amministratore ha eluso fraudolentemente l’assetto organizzativo dell’ente finalizzato proprio ad evitare quel reato (cfr. circolare assonime)

3) La società risponde dunque se il reato è commesso nell’interesse della stessa.
4) La Società risponde anche se la commissione del reato abbia portato a favore della società un interesse minimo . E’ il caso previso dall’art. 12 Dlgs. 231/2001 che prevede una pena ridotta per l’ente se il reato è stato commesso per un prevalente interesse dell’autore o di terzi. Il legislatore vuole colpire quelle condotte illecite che, seppure non finalizzate all’interesse pieno dell’Ente sono state commesse proprio per l’omessa vigilanza dello stesso.

Vantaggio. Il vantaggio viene individuato in “qualunque utilità patrimoniale oggettivamente apprezzabile”. Ad esempio il risparmi aziendale sui costi.
Quando una Società riceve vantaggio? Il vantaggio (economico) deve essere rilevante e superiore agli effetti negativi che la condotta illecita comporta.
Elemento determinante per poter affermare che la società ha conseguito quel vantaggio idoneo a rendere imputabile l’ente è la connessione tra:
Soggetto agente (es amministratore)→ reato → apparato organizzativo dell’ente.
Non si può sanzionare l’ente solo perché sia ad esso imputabile un qualche vantaggio economico derivante dall’illecito commesso (reato-→ vantaggio conomico) deve esserci connessione specifica tra soggetto/reato/ organizzazione dell’ente.

In tema di “Sicurezza” è di recente intervenuta sentenza del Tribunale di Tolmezzo 23.1.2012 che ha affermato: Nell’ambito dei reati colposi d’evento, i criteri dell’interesse e del vantaggio vanno posti in relazione alla condotta che viola le disposizioni poste a tutela della sicurezza e dalla salute dei lavoratori, condotta che deve essere finalisticamente orientata verso un risultato favorevole per l’ente (interesse) o deve, comunque, aver comportato un concreto beneficio per la “corporation” (vantaggio) in termini di risparmio di costi aziendali.
La Corte di appello di Brescia ha affermato : Al fine di ascrivere all’ente il reato di lesioni colpose commesse in violazione delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori è necessaria la prova che la condotta del soggetto apicale fosse soggettivamente diretta ad avvantaggiare l’ente o abbia comunque oggettivamente comportato un beneficio per lo stesso, ad esempio in termini di risparmio dei costi o dei tempi di lavorazione.

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CSS: modifiche DM 20.3.2013

 Combustibile solido secondario: modifiche

segnalazione a cura di Studio legale Ambiente

L’allegato X (disciplina dei combustibili) alla parte quinta
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 reca la disciplina
dei combustibili consentiti negli impianti è stato modificato dal DM 20.3.2013 pubblicato nella Gazz. Uff. del 2.4.2013.

La modifica si coordina con il recente  regolamento del Ministro dell’ambiente del 14 febbraio 2013, n. 22, pubblicato il 14 marzo 2013, con il quale, in applicazione dell’art. 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono stati stabiliti i criteri
specifici da rispettare affinche’ determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS) cessano di essere qualificate come rifiuto;
 

DECRETO 20 marzo 2013
Modifica dell’allegato X della parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni e integrazioni, in materia di utilizzo del combustibile solido secondario (CSS). (13A02815) (GU n.77 del 2-4-2013)

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La Società risponde anche se il reato si estingue?

La Società risponde anche se il reato si estingue?
Art. 8 Dlgs. 231/2001 – autonoma responsabilità dell’ente

A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


Recita l’art. 8 Dlgs. 231/2001 :

1. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:
a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.
3. L’ente può rinunciare all’amnistia.

L’art. 8 sembra imporre autonoma responsabilità della società anche nei casi in cui il reato
1) si estingue (ad esempio a seguito di oblazione ex art. 162 bis c.p. – tipico il caso di reato ex art. 256 comma 1 lett. a) Dlgs. 152/2006)
2) non è identificato il colpevole
3) il colpevole non è imputabile
4) casi di improcedibilità (remissione di querela)

E’ recente la sentenza del Tribunale di Molfetta 11-01-2010 relativa ad un infortunio sul lavoro che ha affermato: “ In virtù del principio di autonomia della responsabilità dell’ente, stabilito dall’ art. 8, D.Lgs. n. 231/2001, l’ente è responsabile anche quando il reato presupposto si estingue per morte del reo intervenuta prima della condanna”(cfr. Corriere del Merito 2010)

Vero è che alcuni autori hanno auspicato un chiarimento legislativo laddove la norma confligge con norme di senso nettamente contrario.
Le varie Linee Guida (ad esempio ABI Circolare 12.7.2012) affermano con convinzione la responsabilità dell’Ente in autonomia; Linee guida peraltro orientate ad una visione cautelativa e prudenziale …. non essendo tenute, per struttura, ad analizzare le complicanze giuridiche sottese.

Autore non identificato/non imputabile
La relazione ministeriale al Dlgs. 231/2001 giustificava tale autonomia in quanto il reato appare completo in tutti i suoi elementi ed anzi la mancata individuazione del reo è fatto tipico nella responsabilità di impresa….
Alcuni autori però hanno correttamente evidenziato che l’autonoma responsabilità dell’ente stride con i principi cardine posti dal nostro ordinamento primo tra tutti l’art. 27 Cost “La responsabilità penale è personale”.
Ai fini della responsabilità dell’Ente , il reato deve essere commesso nell’ interesse e/o a vantaggio. E si deve ricordare che la responsabilità della società è esclusa qualora gli autori abbiano “agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

“Come si potrebbe dimostrare questo interesse esclusivo se l’autore non viene identificato, tenuto conto che l’interesse – riguardante la volontà/proposito dell’autore materiale del reato – deve essere valutato ex ante?
In conclusione, la mancata individuazione dell’autore del reato comporterebbe la mancanza dei presupposti necessari per la sussistenza della responsabilità della società e per la qualificazione della sanzione” (cfr. testualmente da “D.Lgs. n. 231/2001: la responsabilità amministrativa delle società ed enti per reati commessi da dirigenti e dipendenti. Spunti di riflessione – [Fisco, 2005, 28 (commento alla normativa)] – Pietro Accardi, Massimiliano Giua, Giuseppe Mango…) 

L’art. 8 Dlgs. 231/2001 confligge con altre norme . Si pensi all’art. 37 c.p Casi di imrocedibilità .
1. Non si procede all’accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente quando l’azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’autore del reato per la mancanza di una condizione di procedibilità .
Ebbene  la remissione della querela è un caso di improcedibilità che avrebbe l’effetto di impedire l’azione penale nei confronti del reo ma …..non nei confronti dell’Ente ai sensi dell’art. 8 citato.

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Delegato ambientale e responsabilità

Delegato ambientale e responsabilità: deposito incontrollato rifiuti

Cass. pen. Sez. III, n. 43773/2012

A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


La sentenza precisa il rapporto tra
a) il legale rappresentante della società ed
b) il proprio delegato ambientale.

Spesso il legale rappresentante ritiene di escludere la propria responsabilità con il mero conferimento della delega a soggetto idoneo.
Vero è che il Giudice è chiamato a valutare la responsabilità del legale rappresentante con riferimento al concreto verificarsi degli eventi e al suo contributo causale a prescindere dalla delega conferita.

Nel caso in esame invero, pur esistendo la delega ambientale che coinvolge il delegato, il Giudice ha verificato che il legale rappresentante era a conoscenza dei fatti e nulla ha posto in essere per evitare il reato.

In particolare:
La sentenza coinvolge due soggetti
1) l’amministratore unico di una società
2) il responsbaile in materia ambientale della stessa società
quali colpevoli, secondo il Tribunale di primo grado, ex artt. 192 comma 1 e 256 Dlgs. 152/2006 “per avere effettuato, in concorso fra di loro e nelle rispettive qualità ….., depositi incontrollati di rifiuti non pericolosi …..e li condannava alla pena di Euro 5.000,00 di ammenda ciascuno.

La difesa degli imputati, pur articolata, è di interesse nella parte in cui sostenevano che la “ …decisione ..era contraddittoria poichè affermava la responsabilità penale sia di ….rappresentante legale ….sia di…..responsabile in materia ambientale della predetta ditta. Invero – secondo la difesa dei ricorrenti – la responsabilità dell’uno escludeva quella dell’altro…”

La Cassazione respinge le difese.

Il Giudice di primo grado invero aveva accertato con “…un esame analitico ed esaustivo delle risultanze processuali…” che il rappresentante legale e il procuratore speciale responsabile in materia ambientale della ditta – avevano effettuato un deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi, quali:
a) terre esauste di decolorazione per un quantitativo pari a circa 504 mc;
b) sansa esausta.

Trattavasi di rifiuti depositati a tempo indeterminato, senza un idoneo programma di smaltimento .
Ricorrevano pertanto nella fattispecie in esame gli elementi costitutivi del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, come contestato ai capi A) e C) della rubrica.
Sul punto della concorrrente responsabilità la cassazione precisa che sussiste la responsabilità penale di entrambi in quanto il legale rappresentante era a “…. conoscenza che il deposito dei rifiuti non pericolosi si protraeva da lungo tempo, senza che fosse stato predisposto un idoneo programma di smaltimento di rifiuti medesimi – non aveva posto in esser alcun intervento operativo ed efficace onde porre termine alla situazione illecita creata all’interno dell’azienda gestita dallo stesso ……

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Sistri: se ne parla ancora

SISTRI: Riparte il Sistri, al via il 1° ottobre 2013 per i rifiuti pericolosi, per tutti gli altri rifiuti speciali l’avvio è fissato a marzo 2014


a cura di Cinzia Silvestri e Dario Giardi

Sul sito istituzionale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, è stato pubblicato comunicato ufficiale che informa di  imminente decreto del Ministro Clini con il quale verrà riattivato il sistema di tracciabilità dei rifiuti speciali e pericolosi dal 1 ottobre 2013 per i produttori di rifiuti pericolosi con più di dieci dipendenti e per gli enti e le imprese che gestiscono rifiuti pericolosi, mentre per tutte le altre imprese l’avvio del sistema è fissato per il 3 marzo 2014.

Il pagamento dei contributi di iscrizione al sistema resterà sospeso per tutto il 2013.
Nel comunicato si ribadisce la volontà di utilizzare i sei mesi preparatori prima dell’avvio per i produttori di rifiuti pericolosi, per consolidare la collaborazione con le imprese coinvolte e per eliminare le pesantezze burocratiche e amministrative che sono state avvertite come un limite del progetto.
In particolare è prevista una specifica calendarizzazione:
· dal 30 aprile saranno avviate, per concludersi entro il 30 settembre, le procedure di verifica per l’aggiornamento dei dati delle imprese per le quali il sistema partirà ad ottobre;
· dal 30 settembre al 28 febbraio 2014 sarà effettuata analoga verifica per tutte le altre imprese.
Le imprese che trattano rifiuti non pericolosi potranno comunque utilizzare il Sistri, su base volontaria, dal 1 ottobre prossimo.

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Studio Legale Ambiente ritorna on line

Studio Legale Ambiente

Il sito Studio Legale Ambiente ritorna on line (dopo quasi un mese) dopo essere stato oscurato da un criminale informatico (hacker è parola lieve)  .

Non è stato possibile recuperare la grafica precedente all’oscuramento e pertanto rivive con la grafica salvata su Facebook (del 2011).

Ben venga perchè questa impostazione ed immagine è di un giovane ragazzo di nome Simone e pertanto è un omaggio a lui.

adminStudio Legale Ambiente ritorna on line
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Vetro: quando cessa di essere rifiuto?

I rottami di vetro quando cessano di essere rifiuti?
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Interessante il Regolamento UE che disciplina il delicato passaggio tra rifiuto e non rifiuto.
Oggetto del Regolamento sono i rottami di vetro ma il collegamento esplicito alla Direttiva 2008/98/UE rende la lettura di questo testo punto di riferimento anche per altri materiali.
Regolamento UE 1179/2012

adminVetro: quando cessa di essere rifiuto?
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Registro Gas e officina: quesito

REGISTRO gas e officina/ quesito
A cura di Studio Legale Ambiente e Dario Giardi
Quesito: Il concessionario che ha un’officina interna deve iscriversi al nuovo registro gas fluorurati?
Risposta: Per quanto riguarda i concessionari presso i quali si svolge attività di recupero di gas fluorurati dagli impianti di condizionamento montati su veicoli, si sottolinea come tali soggetti debbano iscriversi al registro come imprese e debbano iscrivere, al contempo, le persone che svolgeranno l’attività e che, a questo scopo, dovranno ottenere l’attestato.
L’iscrizione deve essere precedente all’ottenimento dell’attestato. In assenza di iscrizione l’attestato non viene rilasciato.
L’indicazione fornita dal Ministero dell’Ambiente è che operatori che svolgessero la mera operazione di ricarica, senza che quest’ultima sia preceduta o seguita dall’azione di recupero, sono esentati dall’obbligo di frequentare il corso e quindi di iscriversi al registro.

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Registro: obbligo per condizionatori e gas …

Registro: Gas fluorurati ad effetto serra
È operativo il registro – DM 43/2012
Segnalazione a cura di Cinzia Silvestri e Dario Giardi – Studio legale Ambiente
In data 11 febbraio 2013 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Comunicato del Ministero dell’Ambiente che istituisce, presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Registro telematico nazionale delle persone e delle imprese certificate. Il Registro, previsto dal D.M 43/2012, è dunque operativo e sarà gestito dalle Camere di commercio dei capoluoghi di regione.
Ricordiamo che il DPR 43/2012, in vigore dal 5/05/2012, prevede l’iscrizione al Registro telematico nazionale dei soggetti certificati per persone e imprese che svolgono le seguenti attività:
1. installazione, manutenzione o riparazione di apparecchiature fisse di refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore contenenti gas fluorurati ad effetto serra;
2. installazione, manutenzione o riparazione di impianti fissi di protezione antincendio e di estintori contenenti gas fluorurati ad effetto serra;
3. recupero di gas fluorurati ad effetto serra dai commutatori ad alta tensione;
4. recupero di solventi a base di gas fluorurati ad effetto serra dalle apparecchiature che li contengono;
5. recupero di gas fluorurati ad effetto serra dagli impianti di condizionamento d’aria dei veicoli a motore.
L’iscrizione al Registro deve essere effettuata entro 60 giorni ed è necessaria per ottenere i certificati provvisori. Gli operatori dovranno poi conseguire, entro sei mesi dall’ottenimento del certificato provvisorio, una specifica certificazione previo superamento di un esame teorico e pratico. In seguito dovrà essere certificata anche l’impresa.
Dal sito ufficiale del Registro, accessibile all’indirizzo www.fgas.it imprese e persone possono presentare, esclusivamente per via telematica, la pratica di iscrizione. Sul sito del Registro è possibile inoltre accedere ai materiali di supporto (informazioni, quesiti, filmati didattici e la guida).

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