Società miste e responsabilità ex Dlgs. n. 231/2001

Società miste e responsabilità amministrativa.

Cassazione penale 26 ottobre 2010 n. 234

A cura di avv. Cinzia Silvestri

La Cassazione penale n. 234/2010 riprende quanto già statuito dalla Cassazione penale 28699/2010 in punto di società miste.

Il caso rileva che la natura di una società quale ente pubblico economico non basta ad escluderla dalla applicazione del Dlgs. 231/2001”…. basando l’esclusione con riferimento allo svolgimento di funzioni pubbliche proprie degli enti territoriali, a seguito del trasferimento da parte dei Comuni della provincia di Enna delle loro funzioni appunto all’A.T.O. Enna”.

Prosegue la sentenza: “Una tale conclusione non può essere condivisa. La ratio dell’esenzione è infatti quella di escludere dall’applicazione delle misure cautelari e delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 231 del 2001, enti non solo pubblici, ma che svolgano funzioni non economiche, istituzionalemente rilevanti, sotto il profilo dell’assetto costituzionale dello Stato amministrazione.

In questo caso, infatti, …….necessità di evitare la sospensione di funzioni essenziali nel quadro degli equilibri dell’organizzazione costituzionale del Paese.

Nella fattispecie in esame tuttavia proprio la preminente, se non esclusiva, attività di impresa che deve essere riconosciuta alla Società….. non può essere messa in dubbio dallo svolgimento di una attività, che ha sicuramente ricadute indirette su beni costituzionalmente garantiti, quali ad esempio

il diritto alla salute (art. 32 Cost.),

il diritto all’ambiente (art. 9 Cost.),

ma che innanzitutto si caratterizza per una attività e per un servizio che, per statuto, sono impostati su criteri di economicità, ravvisabili nella tendenziale equiparazione tra i costi ed i ricavi, per consentire la totale copertura dei costi della gestione integrata ed integrale del ciclo dei rifiuti.

Non si tratta dunque di avallare un criterio “formale” di applicazione della norma, ma di individuare ……il suo corretto ambito applicativo….”

L’attribuzione di funzioni di rilevanza costituzionale, quali sono riconosciute agli enti pubblici territoriali, come i comuni, non possono …. essere riconosciute a soggetti che hanno la struttura di una società per azioni, in cui la funzione di realizzare un utile economico, è comunque un dato caratterizzante la loro costituzione.

Una conclusione diversa porterebbe all’inaccettabile conclusione, …. di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina in esame un numero pressochè illimitato di enti operanti non solo nel settore dello

smaltimento dei rifiuti,

e quindi con attività in cui viene in rilievo, come interesse diffuso, il diritto alla salute e all’ambiente, ma anche là dove viene in rilievo quello all’informazione, alla sicurezza antinfortunistica, all’igiene del lavoro, alla tutela del patrimonio storico e artistico, all’istruzione e alla ricerca scientifica, in sostanza in tutti i casi in cui vengono ad essere coinvolti, seppur indirettamente, dall’attività degli enti interessati, i valori costituzionali di cui alla parte prima della Costituzione …”…

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RIFIUTI: trasporto illecito

RIFIUTI: TRASPORTO ILLECITO
Art. 256 coma 4 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione – Sentenza 10 maggio 2012, n. 17460
A cura avv. Cinzia Silvestri
La sentenza pone il rilevante dubbio sulla individuazione della mera attività di movimentazione e quella di trasporto in relazione al sito in cui si svolge il deposito temporaneo ed anche con riferimento alle attività svolte sotto l’egida dell’ art. 230.
Pur dovendo fare riferimento al caso specifico trattato -che presenta particolarità – la sentenza suggerisce un ripensamento in concreto delle attività svolte ai fini della corretta applicazione della normativa sui rifiuti.
Il caso:
Veniva disposto il sequestro preventivo di autocarro utilizzato per trasporto di rifiuti speciali (terre, sabbie, sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni) effettuato senza l’osservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nell’atto abilitativo rilasciato da societa’ proprietaria del veicolo per violazione dell’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
II Tribunale del riesame contesta alla società, regolarmente iscritta all’albo, che il titolo abilitativo “non è esteso al trasporto di rifiuti diversi dalle “terre” ed in esso viene prescritto altresì che il trasporto di queste ultime ……deve essere accompagnato da copia del provvedimento di iscrizione corredata dalla dichiarazione di conformità all’originale resa dal legale rappresentante dell’impresa.
Nella specie, invece, il trasporto effettuato dall’autocarro in sequestro riguardava anche sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni ed esso non era accompagnato da alcun documento…”.
RIFIUTI DA MANUTENZIONE
Il Tribunale riporta la tesi difensiva volta a inquadrare il trasporto nella attivita’ manutentiva ex art. 266 comma 4 Dlgs. 152/2006.
” Si prospetta in ricorso che l’autocarro sequestrato non stesse effettuando un trasporto di “rifiuti, poiché, ai sensi dell’articolo 266, 4° comma, del Dlgs 152/2006, “I rifiuti provenienti da attività di manutenzione … si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività”.
Il materiale trasportato……avrebbe assunto la qualificazione di “rifiuto” solo dopo avere raggiunto il sito dove sarebbe stato legittimamente scaricato in “deposito temporaneo” in quanto si tratterebbe di area di cui la (societa’) avrebbe ottenuto la disponibilità dalla società …(appaltante)…”
Tale collegamento consentirebbe di considerare anche detta area “luogo di produzione dei rifiuti”, poiché essa sarebbe assimilabile alla sede/domicillo della società che materialmente eseguiva i lavori di manutenzione (la cui sede legale era ….. in Brescia).
Art. 230 Dlgs. 152/2006
Risponde il Collegio che “…più pertinente sarebbe stato il richiamo al primo comma dell’articolo 230 del Dlgs 152/2006, ove viene prevista una eccezione alla regola generale del divieto di creazione del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione nelle ipotesi non di manutenzione generica bensì di manutenzione specifica di reti ed infrastrutture…”
CONTESTAZIONE
Vero e’ che non si discute nel caso in esame di deposito temporaneo bensi’ “...
di un trasporto di rifiuti, verso il luogo individuato per il deposito temporaneo, senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione; sicché, in relazione alla …… violazione dell’articolo 256, 4° comma, del Dlgs 152/2006, non può certo affermarsi che a quelle prescrizioni non dovesse ottemperarsi quando pure il luogo di deposito temporaneo potesse ritenersi legittimamente individuato.
MOVIMENTAZIONE e TRASPORTO
Il Collegio richiama la distinzione tra l’attività di :
“movimentazione”: non necessita di alcuna autorizzazione
“trasporto” dei rifiuti, : rientra nella “gestione” ai sensi dell’articolo 183, comma 1 — lett. n), oggetto di specifica autorizzazione in quanto tale (con la conseguenza che solo dopo l’inizio del deposito temporaneo comincerebbe la gestione dei rifiuti in senso tecnico e l’obbligo di rispettarne regole e prescrizioni).
GESTIONE
Precisa la Corte che “non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo:
a) sia perché nulla è dato sapere circa l’effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge per considerare legittima detta forma di deposito;
b) sia perché non vi è stata movimentazione all’interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione.
In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti e per “rifiuto”, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia l’intenzlone o l’obbIigo di disfarsi), restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero.

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P.A.: ritardi nei pagamenti

P.A.:RITARDI NEI PAGAMENTI-MISURE in arrivo?
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Si riporta quanto reperito sul sito del governo a proposito di ritardi nel pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Ritardi che hanno contribuito e determinato questa grave crisi….
Interessanti le diapositive che riassumono l’operazione,che dovrebbe …”ossigenare” le imprese.
“…In particolare:
due decreti (“decreti certificazione”) riguardano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti rispettivamente delle
1)Amministrazioni centrali (inclusi gli enti pubblici nazionali) e uno per le
2) Regioni e enti locali, inclusi gli enti del Servizio Sanitario Nazionale.
Si dà attuazione più efficiente al DL 185/08, così come modificato dalla legge 183/2011 e in ultimo, meno di un mese fa, la legge n. 44 del 26 aprile 2012.
un decreto (“decreto compensazioni”) riguarda le compensazioni dovute a seguito di iscrizione a ruolo, in attuazione della legge n. 78 del 2010;
un decreto riguarda il Fondo Centrale di Garanzia, che prevede agevolazioni per le imprese creditrici della Pubblica Amministrazione, in attuazione della legge 214/2011 (cd. “salva Italia”).
A questi atti, si aggiunge l’accordo tra Associazione Bancaria Italiana e le Associazioni imprenditoriali, che istituisce un plafond dedicato alla smobilizzo dei crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione nonché le risorse dedicate già messe a disposizione da Cassa Depositi e Prestiti.
Il dettaglio degli interventi
I decreti “certificazione” attuano l’obbligo per tutti gli enti della pubblica amministrazione a certificare gli eventuali crediti vantati dalle imprese, per somministrazioni, forniture e appalti.
La certificazione si ottiene mandando un semplice modulo standard all’ente debitore. Il modulo è già allegato al decreto, scaricabile subito da internet, compilabile anche on line.
L’ente ha 60 giorni di tempo per rispondere, riconoscendo il debito oppure argomentandone l’inesigibilità totale o parziale. Se non risponde in tempo, viene nominato un “commissario ad acta” che nei successivi 60 giorni risponderà al debitore. Le risposte avvengono anch’esse attraverso un semplice modulo.
Con questa certificazione, il fornitore potrà:
compensare il suo credito nei confronti di regioni e enti locali con debiti iscritti a ruolo alla data del 30 aprile 2012 per tributi erariali e per tributi regionali e locali nonché per contributi assistenziali e previdenziali e per premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali (decreto “compensazioni”)
ottenere un’anticipazione bancaria a fronte del credito certificato. L’anticipazione può essere assistita da una garanzia fino al 70 per cento da parte del Fondo Centrale di Garanzia (elevabile fino all’80 per cento in caso di apporto di risorse da parte delle Regioni) e un importo massimo garantibile per singola impresa pari a 2,5 milioni di euro (il massimo consentito per legge).
fare una cessione, pro soluto o pro solvendo presso intermediari finanziari riconosciuti.
In tutti i casi si fornisce liquidità alle imprese e, nel caso di compensazioni, si semplifica anche il rapporto con il fisco.
In un’ottica di ulteriore semplificazione, Consip s.p.a. sta predisponendo una piattaforma elettronica per fa incontrare fornitori e debitori. La certificazione elettronica permetterà di evitare, nel caso di cessione del credito, gli obblighi di redazione di atto pubblico e di notificazione nel caso di cessione, risparmiando tempo e soldi.

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Rifiuti: deposito temporaneo (durata)

Rifiuti: Deposito temporaneo – Durata
Art. 256 Dlgs. 152/206 – Sentenza Corte di Cassazione 8 maggio 2012, n. 16988

A cura di avv. Cinzia Silvestri
La sentenza offre chiaro esempio dei riflessi applicativi della modifica intervenuta con Dlgs. 205/2010 al “deposito temporaneo”.
Si rinvia a schema sulle modifiche intervenute per il deposito temporaneo pubblicato su questo sito.
Il caso:
Con decreto veniva sequestrata (sequestro preventivo) una area adibita a deposito di rifiuti
dove erano stati rinvenuti 1400 mc. di rifiuti derivanti da attività di demolizioni edilizie.
L’ imputato (art. 256 comma 1 lett. a)) svolgeva la sua difesa argomentando anche sul fatto che si trattava “…di deposito temporaneo e di azienda iscritta all’Albo nazionale dei gestori di rifiuti”.
Il Tribunale rispondeva che “il deposito temporaneo è consentito fino ad un quantitativo massimo di 20 mc. ai sensi dell’articolo 183 lett. m) n. 2) del Dlgs 152/2006.”
La sentenza affronta la questione del deposito temporaneo alla luce delle modifiche intervenute con il DLgs. 205/2010..
Ed invero si denuncia l’errata applicazione dell’articolo 183 lett. bb) n. 2) del Dlgs 152/2006.
Ovvero: “…Si deduce che la disposizione citata in materia di deposito temporaneo dei rifiuti è stata modificata dal Dlgs 205/2010. Il testo attualmente vigente non pone più un limite quantitativo per configurare il deposito temporaneo di rifiuti, ma solo quello temporale dello smaltimento del rifluti entro tre mesi. I rifiuti di cui si tratta provenivano da lavori di demolizione e rifacimento del piazzale dell’azienda ed erano stati regolarmente registrati nel registro di carico e scarico e avviati allo smaltimento con cadenza regolare fino alla data del sequestro, così come risultante dal predetto registro e dai formulari, che vengono citati…”.
L’articolo 183, che ai sensi dell’articolo 10 del Dlgs 205/2010 ha sostituito il corrispondente articolo del Dlgs 152/2006, disciplina al comma 1, lett. bb) n. 2), il deposito temporaneo di rifiuti.
“La nuova norma …..ha solo modificato parzialmente il limite quantitativo del deposito temporaneo di rifiuti che e’ consentito :
oltre il termine di tre mesi e
fino ad un massimo di un anno,
elevandolo a complessivi trenta metri cubi (di cui al massimo dieci metri cubi di rifiuti pericolosi).
Nella sostanza, nella precedente versione della norma il detentore dei rifiuti speciali era obbligato a provvedere al loro smaltimento
entro tre mesi allorché il deposito, trattandosi di rifiuti non pericolosi, raggiungeva
i venti metri cubi (non pericolosi) o
i dieci metri cubi se si trattava di rifiuti pericolosi.
Attualmente il citato limite quantitativo è stato elevato fino al massimo di trenta metri cubi, se si tratta solo di rifiuti non pericolosi, ovvero nel caso di rifiuti misti tale limite quantitativo può comprendere rifiuti pericolosi in misura che non superi i dieci metri cubi.
Resta fermo il disposto secondo il quale il deposito temporaneo è consentito senza limiti quantitativi allorché lo smaltimento venga effettuato con cadenza trimestrale.
Era stato, infatti, già precisato da questa Corte che, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 3 aprile 2006 n. 152, articolo 183 lett. m), il produttore può decidere di conservare i rifiuti in deposito per tre mesi in qualsiasi quantità, prima di avviarli allo smaltimento o al recupero, privilegiando così il limite temporale, oppure può scegliere di conservare i rifiuti in deposito per un anno, purché la quantità non raggiunga i venti metri cubi, in applicazione del limite quantitativo.
La Cassazione dunque non condivide la decisione del Tribunale in ordine al sequestro e precisa: “…. il Tribunale ha ritenuto che fosse sufficiente il superamento del limite quantitativo previsto dalla norma, peraltro nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal Dlgs 205/2010, per qualificare come irregolare il deposito di rifiuti, senza accertare anche la violazione del limite temporale del termine di tre mesi entro il quale i rifiuti speciali possono essere depositati senza l’osservanza di detto limite quantitativo….”
La Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale e rinvia per un nuovo esame che tenga conto degli enunciati principi di diritto.

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Circolare GDF 83607/2012: il tentativo

Circolare GDF 83607/2012: il tentativo…
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La lettura della circolare del GDF obbliga ad alcune precisazioni.
Non bisogna dimenticare che la circolare e’ destinata agli operatori della GDF e non ai …destinatari del controllo.
La Circolare può essere considerata Linea Guida ed esprime correttamente l’intento dell’ organo che ha redatto il documento.
L ‘ attenzione, infatti, cade sul punto 4 della parte terza della Circolare che si esprime in ordine alla “necessita'” di prevedere la responsabilità amministrativa dell’Ente anche alle ipotesi di ...reato tentato.
Non pare  corretto indicare ” reato tentato” ….senza precisare.
Il reato comprende DELITTI e CONTRAVVENZIONI.
Il tentativo e’ applicabile solo ai DELITTI.
La Circolare non specifica e trasferisce la genericità dell’affermazione, trasferisce una informazione che può essere equivocata e creare procedimenti che possono essere evitati sin dall’origine.
S’intende che si confida nella magistratura quale filtro dovuto ad eventuali segnalazioni non rispondenti alla legge.
Ed invero si ricorda che il tentativo di reato (a. 56 c.p.) e’ applicabile solo ai DELITTI e non alle contravvenzioni ( art. 39 e 17 c.p.).
In particolare la necessita’ di estendere la punibilità al tentativo trova limite per le contravvenzioni.
In materia ambientale, si badi, i reati contemplati integrano per lo piu’ contravvenzioni ( che richiedono per la punibilità anche la sola colpa) e dunque il tentativo di “reato” (rectius delitto) non può essere esteso.
L’art. 26 del Dlgs. 231/2001 si esprime correttamente nominando i soli DELITTI.
Prevede che qualora il delitto tentato sia commesso dal soggetto agente  allora la società vedrà ….ridotte le sanzioni pecuniarie ed interdittive.
Si potrebbe dire che l’art. 26 citato estende dunque il beneficio della riduzione della pena del tentativo (qualora accertato) anche alla Società.
La sentenza della Cassazione penale n. 7718/2009 si riferisce a dire il vero al delitto di truffa ai danni dello stato e dunque non soffre eccezione.
Ciò che si rileva e’ la formulazione letterale del punto 4 (ed altri unti) della circolare  sembra attribuire all’art. 26 Dlgs. 231/2001 la forza di affermare una estensione di responsabilità per tentativo che certo non può essere attribuita.
Il tentativo trova la sua disciplina nel codice penale all’ art. 56 ed il limite della sua applicabilità non e’ derogato dall’articolo 26 che si limita, in conformità, a prevedere la semplice riduzione delle sanzioni pecuniarie (multa) e delle sanzioni interdittive eventualmente previste nel caso di delitti.
Si trascrive quanto rinvenuto in circolare GDF n. 83607/2012 (www.ilsole24ore.com):
“‘4. La rilevanza del tentativo
Non sussistono dubbi sulla necessità di prevedere che la responsabilità amministrativa dell’ente debba essere estesa anche alle ipotesi di reato tentato. Lo si ricava dalla legge delega che, “pur non nominando il tentativo, fa riferimento ai reati la cui forma di manifestazione è quella consumata o tentata”, come affermato dalla relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 231/2001.
La norma dell’articolo 26, al comma 1, statuisce che “Le sanzioni pecuniarie e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà in relazione alla commissione, nelle forme del tentativo, dei delitti indicati nel presente decreto”, mentre al comma 2 prevede che “L’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”.
La Corte di Cassazione, Sez. V, con la sentenza n. 7718/2009 ha affrontato – per la prima volta – il tema della responsabilità degli enti in relazione al delitto tentato in ordine ad una truffa ai danni dello stato, concludendo per una sua rilevanza ai fini dell‟applicazione dell‟impianto normativo di cui al D. Lgs. n. 231/2001.

adminCircolare GDF 83607/2012: il tentativo
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Sistri: partenza 30 giugno 2012

Sistri: partenza al 30 giugno

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente

E’ opportuno evitare ogni considerazione in merito alla notizia pubblicata sul sito del sistri in relazione alle dichiarazioni del Ministro Clini sulla necessità di far “partire” il Sistri.

La notizia –  che segue il recente possibile scandalo Sistri  e che sembra collegare proprio la tracciabilità dei rifiuti al mondo dell’illecito – desta perplessità.

Ebbene. Rimaniamo in attesa e si rimanda a quanto pubblicato nel sito sistri.

adminSistri: partenza 30 giugno 2012
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Rifiuti: responsabilità dirigente comunale ( e non solo)

Rifiuti: responsabilita’ dirigente Comunale (e non solo)
Cassazione penale Sentenza 12 aprile 2012, n. 13927
Art. 256 Dlgs. 152/2006

A cura avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
Il Tribunale di Lecce condannava alla pena di 2 mila euro di ammenda per il reato di cui agli articoli 110 e 81 C.p., e Dlgs 152/2006, articolo 256, comma 1, lett. a), perché,
A) in qualità di dirigente del Comune di Lecce, in concorso con
B) il titolare dell’impresa Srl “, autorizzata alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, e
C) direttore di cantiere dell’impresa (assolti invece con la formula “perché il fatto non costituisce reato”)
in relazione al deposito senza autorizzazione di masse di alghe marine (rifiuti organici) su terreno di proprietà del Comune di Lecce dove erano state depositate circa 4000 me di alghe prelevate dalla darsena e due aree agricole dove erano state depositate alghe per circa 220 me di alghe prelevate dal porticciolo di proprietà di privati .
Il Dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale (imputato) impugnava la sentenza.
Il dirigente si difendeva adducendo, di aver agito sotto l’egida di ordinanza contingibile ed urgente emanata dal Sindaco e anche di non essere responsabile per il solo fatto di essere il dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale; ed anzi che il soggetto tenuto all’adempimento era il dirigente del settore ambiente, munito dei poteri per la gestione dei rifiuti.
La sentenza accoglie proprio questo punto.
La Corte precisa alcuni punti utili non solo per il dirigente pubblico ma anche per i privati o societa’.
Spesso infatti si assiste a procedimenti penali o amministrativi incardinati nei confronti di soggetti estranei all’ illecito e coinvolti solo perche’ rivestono uno certa qualifica. La sentenza richiama il concetto della riferibilita’ della responsabilità quale presupposto stesso per attribuire anche la colpa. La consapevolezza si pone su piano diverso!

Ebbene la Corte “….ha affermato il principio secondo il quale “l’amministratore o il legale rappresentante di un ente non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell’ente“, quando nell’ambito dell’ente “l’attività funzionale sia stata preventivamente suddivisa in settori, rami o servizi, e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari di quel servizio”.
In particolare in tema di rifiuti, è stato precisato che, “anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento degli enti locali (Dlgs 267 del 2000, e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate.
2. Orbene, nella vicenda in esame, il giudice di merito ha dato atto che
l’ufficio competente a gestire il progetto relativo all’utilizzazione delle alghe (posidonea oceanica) era quello del settore ambiente ed ufficio unico dei rifiuti. .
…. l’imputato, preposto al settore patrimonio e strategie territoriali del Comune di Lecce, aveva dato esecuzione all’ordinanza del Sindaco,…emessa nella sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, con la quale si disponeva la rimozione del materiale che ostruiva la darsena “per ripristinare la sicurezza e la navigabilità”.
Il giudice di merito ha erroneamente ritenuto neutra la portata di tale ordinanza rispetto all’operato dell’ imputato….”
“……Di certo sembra che l’ordinanza sindacale non avesse conferito espressamente all’imputato poteri rientranti nelle funzioni del dirigente del Settore ambiente.
Sul punto la sentenza non ha …chiarito gli esatti profili della posizione di garanzia …..base della responsabilità dell’imputato, chiamato a rispondere di deposito abusivo di rifiuti per non avere richiesto le autorizzazioni quanto al deposito delle alghe, atteso che la gestione dei rifiuti, come anche del progetto di utilizzare le alghe per contrastare i fenomeni erosivi delle spiagge, risultava invece direttamente riferibile alla competenza del Settore ambientale del Comune e del suo dirigente…”.
3. “Quindi la sentenza risulta ….carente anche quanto alla ricostruzione della
A) sussistenza del profilo soggettivo di responsabilità, in quanto se è vero che il reato ascritto può essere commesso anche a titolo di colpa, la non riferibilità all’imputato delle funzioni in materia ambientale ed il fatto che lo stesso avesse coinvolto il dirigente del Settore ambientale ……per i contatti con la Provincia in riferimento alla problematica delle alghe, devono indurre ad una rivalutazione del giudizio espresso dal giudice di prime cure, che si è limitato ad ancorare la responsabilità colposa alla mera consapevolezza che l’imputato aveva di operare in materia di rifiuti….”
B).”…nessun rimprovero può essere posto a carico del dirigente del Settore patrimonio se allo stesso non siano stati conferiti i compiti specifici relativi alle procedure in materia di rifiuti, posto che il Tribunale ha dato atto che lo stesso, nel corso dell’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco, ebbe a svolgere tale attività anche coordinandosi con il dirigente del Settore ambiente competente (questo sì munito dei relativi poteri).
È stato infatti precisato che “i dirigenti comunali possono essere titolari di posizioni di garanzia nello svolgimento dei compiti di gestione amministrativa a loro devoluti, residuando in capo al Sindaco unicamente poteri di sorveglianza e controllo…..
 

adminRifiuti: responsabilità dirigente comunale ( e non solo)
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Terre e rocce da scavo: Regolamento in arrivo?

Terre e rocce da scavo
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole allo schema di regolamento su terre e rocce da scavo.
Il regolamento si pone in attuazione dell’ art 49 DL 1/2012 convertito con L. 27/2012.
Si rimanda ad articolo pubblicato su questo sito.
Parere su regolamento terre e rocce da scavo

adminTerre e rocce da scavo: Regolamento in arrivo?
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Responsabilità omesso controllo autorizzazione: art. 260 Dlgs. 152/2006

Responsabilità omesso controllo autorizzazioni – art. 260 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione penale – Sentenza 10 aprile 2012, n. 13363
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il caso prende origine dalla contestazione dell’art. 53 bis del Dlgs. 22/97. (attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti – articolo inserito con L. 93/2001) che trova corrispondente nell’art. 260 Dlgs. 152/2006
 
L’art. 260 disciplina quelle attività organizzate per il traffico illecito.
Si realizza in genere a mezzo di comportamenti reiterati in violazione alle attività di GESTIONE. Coinvolge tutti i soggetti anche intermediari, commercianti ecc…
 
La sentenza attua il principio della corresponsabilità di cui all’art. 178  e chiarisce la distinzione tra la
1)   mera omissione di controllo della esistenza delle autorizzazioni altrui
2)   la consapevolezza da parte degli imputati dei provvedimenti ablativi o sospensivi delle autorizzazione degli impianti .
 
Ed invero gli imputati agivano nel tempo e reiteratamente con la consapevolezza della mancanza di autorizzazioni ed anche modificando il FIR.
Sulla mera omissione del controllo della esistenza delle autorizzazioni gli imputati si difendevano deducendo che : “..di verificare che il destinatario dei rifiuti sia munito delle prescritte autorizzazioni, in quanto la violazione di tale obbligo non comporta l’automatica applicazione di sanzioni ovvero la perdita automatica dell’iscrizione all’albo medesimo come affermato in sentenza.
Risponde la Corte precisando che : “la violazione dell’obbligo di verifica della regolarità delle autorizzazioni dei destinatari dei rifiuti è comunque produttiva di sanzioni,…”.
La Corte richiama l’art. 178 del Dlgs 152/2006 e l’orientamento che ritiene:
1)    “…la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse,
2)    il cui svolgimento richiede la cooperazione e la responsabilizzazione di tutti i soggetti che se ne occupano…”
 
Continua la Corte: “…Emerge, infatti, dall’esame degli articolo 188, 193 e ss. del Dlgs 152/2006 che tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti sono responsabili non solo della regolarità delle operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggetti che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso delle prescritte autorizzazioni da parte del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento.
È, perciò, evidente che l’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge, oltre ad integrare le fattispecie contravvenzionali previste dal testo unico sull’ambiente, può essere valutata quale elemento indiziario dell’elemento psicologico che integra le ipotesi delittuose previste in detta materia….”
Si badi che la Corte precisa: “gli imputati non sono responsabili del mero omesso controllo della esistenza e validità delle autorizzazioni delle quali dovevano essere in possesso i siti di conferimento dei rifiuti, ma avevano la piena consapevolezza che dette autorizzazioni erano inesistenti o scadute di validità, cosi configurandosi gli elementi soggettivo ed oggettivo del reato loro ascritto.
La prova della “consapevolezza” e pertanto dell’agire delittuoso degli imputati viene desunto da prove processuali quali:
1)   intercettazioni telefoniche
2)   operazioni di controllo della polizia giudiziaria, “..che hanno verificato conferimenti di rifiuti all’impianto di Milano avvenuti in modo assolutamente clandestino, del tutto “in nero”.
 

adminResponsabilità omesso controllo autorizzazione: art. 260 Dlgs. 152/2006
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ATO, Servizio idrico integrato: L.R.V. n. 17/2012

SERVIZIO IDRICO INTEGRATO – REGIONE DEL VENETO
ATO, Consigli di Bacino, affidamento a terzi e competenze nella L.R.Veneto n. 17/2012


A cura di avv. Cinzia Silvestri
La Regione del Veneto ha promulgato la L. 17 del 27.4.2012, in BURV 35 del 4.5.2012, vigente dal 5.5.2012, disciplinando il servizio idrico integrato, come delegata dall’art. 2 comma 186 bis L. Finanziaria 2011.
In particolare la Regione individua gli ambiti territoriali ottimali, riprendendo e mantenendo inalterata la classificazione già operata con LRV. 27.3.1998, n.5 e ripresa nel PTA 2009 (art. 2).
La L. 17/2012 prevede che le funzioni amministrative di programmazione e controllo del servizio idrico verranno affidate a Consigli di Bacino(art. 1 co.4), i quali subentreranno in tutte le obbligazioni attive e passive delle AATO, assorbendo il personale in servizio presso le medesime (art. 13 comma 6).
I Consigli di Bacino sono persone giuridiche di diritto pubblico costituiti da accordi sottoscritti da Comuni appartenenti al medesimo ambito territoriale (art.3 comma 2).
Tali accordi dovranno essere conformi allo schema di convenzione per la cooperazione che la Giunta Regionale Veneto ha l’onere di elaborare entro il 4 giugno 2012 (30 gg dal 5.5.2012 – art. 12).
I Consigli di Bacino non possono gestire il servizio idrico integrato (art. 8 comma 2), che dunque dovrà essere conferito a soggetti terzi.
I Consigli di Bacino saranno composti da:
– assemblea, i cui membri saranno i Sindaci o gli assessori delegati dei Comuni;
– presidente: rappresentante legale del Consiglio di Bacino, eletto dall’assemblea tra i relativi partecipanti;
– comitato istituzionale: 3 membri scelti ed eletti tra i componenti dell’assemblea e presieduto dal presidente;
– direttore: nominato dall’assemblea da un elenco di dipendenti della Regione o degli enti strumentali ad essa, redatto dalla Giunta Regionale;
– revisore legale, anch’esso nominato dall’assemblea.
La L. 17/2012 non disciplina le modalità di affidamento della gestione, ma precisa che entro il 4 luglio 2012 la Giunta Regionale dovrà redigere lo schema di convenzione regolante i rapporti tra il Consiglio di Bacino e i gestori a cui è affidato il servizio idrico (art. 12).
Muta la determinazione della Tariffa del SII, che verrà calcolata (art. 7 comma 4) in base a:
-fascia territoriale;
– tipologia di utenza;
– scaglione di reddito;
– fasce progressive di consumo.
I Consigli di Bacino dovranno altresì destinare una quota di investimento non inferiore al 3% degli effettivi introiti dell’anno precedente alle comunità montane e, in subordine, ai comuni interessati, per la realizzazione di specifici interventi a tutela dell’assetto idrogeologico, difesa delle acque potabili e la alimentazione dei sistemi di acquedotto (art. 7 comma 5)
Sono inoltre istituiti:
A) il Coordinamento dei Consigli di Bacino (art. 5) composto da
– Presidente Giunta Regionale o assessore delegato
– presidenti dei Consigli di Bacino o loro delegati
con funzioni di vigilanza e monitoraggio dell’attività dei Consigli di Bacino.
B) il Comitato consultivo degli utenti (art. 9), con funzioni di controllo sulle scelte gestionali e pianificatorie del SII.
La terzietà e l’effettiva vigilanza di tale comitato è tuttavia dubbia: il comitato degli utenti è infatti istituito dai Consigli di Bacino, i quali ne garantiscono la partecipazione all’elaborazione della carta di servizio pubblico …i controllati dunque istituiscono i controllori, minandone l’autonomia.
La Giunta Regionale del Veneto è tenuta entro il 4 luglio (60 gg dalla pubblicazione – art. 12) all’adozione di direttive per la costituzione dei comitati consultivi.
Fintanto che i Consigli di Bacino non verranno costituiti il Presidente della Giunta nominerà dei commissari straordinari (pur non essendo esplicito il rinvio si ritiene valevole la DGRV 2413 del 29.12.2011 in BUR 9 del 27.1.2012) e rimarranno vigenti le concessioni, i contratti, i piani d’ambito e gli atti ad essa relativi per la gestione del SII.

adminATO, Servizio idrico integrato: L.R.V. n. 17/2012
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TARIFFA RIFIUTI: focus

RES/TIA 1 e 2 : “TARIFFA RIFIUTI”/considerazioni

 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

La “querelle” tra tariffa rifiuti e IVA rimborsabile è ottimo esempio di come il legislatore italiano, gli Enti, la giurisprudenza intersecano le proprie decisioni creando confusione all’utente finale. La sentenza della Corte di Cassazione del 9.3.2012 n. 3756 ha riaperto la questione e sancito la natura della Tariffa.

La confusione regna e costituisce ottimo terreno fertile per la “interpretazione”.
Utile una breve e non esaustiva rassegna della evoluzione del concetto di Tariffa fino alla futura RES.
Ebbene.
 
L’articolo 238 del Codice Ambientale così apre il suo primo comma:
1. Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.
 
Inizialmente l’art. 49 del decreto Ronchi (d.lgs. 22/97) che istituisce la “Tia 1” tariffa d’igiene ambientale prevedeva l’ entrata in vigore graduale, in ragione della percentuale di copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti raggiunto con il gettito del 1999. Con l’avvicinarsi delle scadenze graduate, il legislatore di fronte alle difficoltà di imporre una entrata di complessa applicazione, ha provveduto nel corso degli anni successivi a differire l’entrata in vigore della tariffa con le leggi finanziarie di fine anno.
Inoltre lo stesso art. 49 stabiliva che fino al momento dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà di questo prelievo, i Comuni avrebbero potuto applicare la tariffa “Ronchi” in via sperimentale, mediante apposite delibere regolamentari.
La tariffa Ronchi non è mai diventata obbligatoria per i Comuni, date le ripetute proroghe e i provvedimenti che hanno di fatto “congelato” la sua introduzione, per arrivare  alla definitiva abrogazione ad opera della “nuova”  tariffa integrata ambientale (tia2) di cui all’art. 238 del codice ambientale. (d.lgs. 152/2006).
Al comma 11 di tale articolo viene stabilito che sino alla completa attuazione della nuova tariffa, la cui procedura rimanda ad un apposito decreto ministeriale (ancora non emanato dal 2006) e l’adozione di specifiche previsioni regolamentari locali “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”
 Secondo l’interpretazione più accreditata con l’espressione “discipline regolamentari vigenti” devono intendersi i regolamenti comunali di introduzione e disciplina della tariffa nei propri territori, che alla data di entrata in vigore del codice ambientale erano stati già adottati.
Va detto che i Comuni hanno interpretato con grande libertà il modo di costruzione e applicazione del prelievo  (il c.d. “metodo normalizzato”  fissato dal DPR  158/99) stante la mancanza di criteri riguardanti i limiti di tale sperimentazione e pertanto tra i Comuni va registrata una estrema disomogeneità, ad esempio tra il grado di copertura dei costi, la ripartizione tra quota fissa e quota variabile, la determinazione dei coefficienti di produzione dei rifiuti.
In base a tali considerazioni dal 29 aprile 2006  (data di entrata in vigore del codice ambientale) non è più ammissibile il passaggio alla tariffa Ronchi (tia 1) in virtù del fatto che tale entrata è da ritenersi soppressa. In via transitoria  è “tollerata” la vigenza degli atti deliberativi comunali già assunti.
Con la mancanza di un quadro definito in materia di prelievo sui rifiuti,  le leggi finanziarie  dal 2007 hanno dettato una disciplina di congelamento delle delibere comunali stabilendo che restasse invariato il regime di prelievo adottato per l’anno precedente.
Successivamente il D.L.  30 dicembre 2008 n. 208  (art. 5 comma 2 quater)  ha previsto che  “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’art. 238 del d.lgs. 152/06 non sia adottato dal Ministero dell’Ambiente entro il 30 giugno 2010, i Comuni che intendono adottare la tia possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”.
L’interpretazione corretta di tale disposizione sembra quella di ritenere applicabile, dal 1° luglio 2010  la tia di cui all’art. 238 del codice ambientale, con applicazione del metodo normalizzato di cui al DPR 158/99, nelle more della emanazione del  decreto attuativo  dello stesso art. 238.
Su tale complessa situazione si inserisce l’interpretazione autentica fornita dall’art. 14 comma 33 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78,  il quale stabilisce la natura non tributaria  della tariffa (tia1) e devolve le controversie sorte dopo la sua entrata in vigore (31 maggio 2010)  al giudice ordinario.
Tale norma, nel tentativo di arginare gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale  del 24 luglio 2009, che aveva statuito la natura sostanzialmente tributaria  della tariffa Ronchi (l’unica applicata dai Comuni al momento e per la quale era stata versata l’Iva) confonde tuttavia tale tariffa  con quella di cui all’art. 238  del d.lgs. 152/06, cui invece il D.L. fa espresso riferimento.
La Corte costituzionale ha infatti affermato che è “indubitabile la natura tributaria della tia”  analogamente alla tarsu e che entrambi i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione della disciplina sull’Iva non trattandosi di corrispettivi per una prestazione contrattuale, ma di un esborso caratterizzato (in entrambi i casi)  dalla doverosità della prestazione, e dalla inesistenza di un rapporto sinallagmatico.
In tale quadro normativo si inserisce la Circolare del Ministero dell’Economia e Finanze che estende anche alla tariffa Ronchi (tia1)  la natura non tributaria che l’interpretazione autentica contenuta nel D.L. 78/10 rivolgeva alla c.d. tia2 (ex art. 238).
La circolare non tiene poi conto della giurisprudenza  formatasi negli anni  secondo cui ai fini della qualificazione di una entrata non sono mai risolutive da sole le espressioni formali utilizzate dal Legislatore o il modo in cui l’entrata è denominata, dovendosi invece accertare la natura del presupposto e i suoi meccanismi interpretativi. Ciò fino ad arrivare alla sentenza della Corte di Cassazione 9 marzo 2012  n. 3756 che afferma che la tia1 (introdotta dall’art. 49 del decreto Ronchi)  è un tributo, analogamente alla tarsu e in quanto tale non è assoggettabile a Iva. Perciò solo e soltanto su tale tributo non trova applicazione l’Iva del 10%.
L’Iva pagata sulla tia 1 rimane rimborsabile solo ai privati o a coloro che non hanno provveduto alla detrazione d’imposta in regime di impresa.
In linea di principio, avendo già recuperato l’Iva assolta sulla tia, le imprese non possono chiedere il rimborso, salvo la parte dell’Iva relativa alla quota di pro-rata di indetraibilità il cui calcolo è abbastanza complesso.
Per richiedere il rimborso bisogna riprendere i bollettini di versamento, riscontrare che si tratti di tariffa ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 22/1997, che sia stata applicata l’Iva, sommare l’Iva 10% non detratta relativamente alla quota di pro-rata di indetraibilità e inviare la relativa istanza.
Va sottolineato che, aggiunge la Corte di cassazione, dal 1° gennaio 2013 tarsu, Tia1 e Tia 2 sono destinate a scomparire, tutte sostituite dal nuovo Tributo comunale sui rifiuti e sevizi (RES) previsto e disciplinato dall’art. 14  d.l. 6 dicembre  2011 n. 201 (recante misure per la crescita, equità e il consolidamento dei conti pubblici). Tale tributo sarà a carico di chiunque possieda, occupi o detenga  a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Da tale data saranno quindi soppressi tutti i prelievi relativi alle gestione dei rifiuti urbani (sia di natura patrimoniale, sia di natura tributaria).
 Il tributo comprenderà, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).
La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.
 
Res: rifiuti – Andando nello specifico, la nuova tariffa si comporrà di due aspetti importanti. Uno riguardante i rifiuti che dovranno essere pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa dovrà avvenire annualmente e sarà proporzionata alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Nel determinare le tariffe, dovrà tenersi conto sia della quota relativa al costo del servizio, sia di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.
Res: servizi – Nella sua seconda componente, relativa ai servizi, il Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). Costoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.
 
Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.

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ATO, conseguenze abrogazione

ATO, conseguenze della abrogazione
Consiglio di Stato n.  2117 del 13.4.2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Si segnala la sentenza 2117/2012 pronunciata dal Consiglio di Stato il 13.4.2012.
La sentenza si distingue per l’attenzione a problema attuale ovvero quello delle competenze dell’ATO e delle conseguenze alla Sua abrogazione.
 Il Consiglio di Stato accoglie le doglianze della Società contro la Provincia ribaltando la decisione del TAR Latina che aveva invece accolto le doglianze della Provincia.
 
Scrive il Consiglio di Stato: “Gli a.t.o. – ora soppressi con l’art. 2 co. 186bis della L. 23 novembre 2009 n. 191 – andavano istituiti da parte delle Regioni, sentiti le province ed i comuni interessati, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del D. Lgs. 152/06 – art. 200 co. 2 – ma tale istituzione non era obbligatoria, tanto è che le stesse Regioni potevano adottare modelli alternativi, ove fossero stati compatibili con un adeguato piano regionale dei rifiuti, nel rispetto degli obiettivi strategici fissati dalla normativa statale – art. 200 co. 7.
Il tenore della norma, la larga autonomia riservata alle Regioni rappresentata dalla non stringente obbligatorietà della formazione degli a.t.o. e l’assenza di misure sostitutive straordinarie in caso di inerzia, dimostrano che il termine di sei mesi aveva carattere ordinatorio e che dunque l’istituzione degli a.t.o. rispondeva a ragioni di buona amministrazione e non ad un termine vincolato.
Perciò dalla mancata istituzione di tali figure organizzatorie non poteva che derivare la continuatività delle competenze previste dalla legislazione anteriore, non essendo ipotizzabile la paralisi dell’esercizio dei poteri, tra l’altro in una materia sensibile come quella dei rifiuti”.
 Ebbene.
Oggetto del contendere è l’aggiornamento di AIA ad opera della Regione Lazio ad una società a partecipazione maggioritaria pubblica per la realizzazione di un impianto di trattamento, recupero e valorizzazione di rifiuti non pericolosi.
La Provincia impugnava il provvedimento di rinnovo AIA avanti al TAR, che accoglieva la difesa della P.A.
Il TAR invero riconosceva la mancata applicazione dell’art. 14 quater L. 241/90, poiché la Regione non aveva tenuto conto del dissenso manifestato dalla Amministrazione Provinciale in merito alla localizzazione dell’impianto.
 
La sentenza 2117/2012 vede pienamente vittoriosa la difesa della società di gestione dei rifiuti.
Ed invero il Consiglio di Stato così decide:
1. ATO – competenza ATO.
L’art. 200 co. 2 D.Lgs. 152/06 suggerisce, ma non impone l’istituzione delle ATO, ben potendo la Regione adottare modelli alternativi nel rispetto e in attuazione del piano regionale dei rifiuti: l’istituzione degli A.T.O. rispondeva a ragioni di buona amministrazione e non ad un termine vincolato (art. 200 comma 7 T.U.A.)
 Ne consegue che il termine per l’individuazione degli ambiti ottimali è ordinatorio e il mancato rispetto è privo di conseguenze.
La pianificazione regionale, ex art. 199 T.U.A. compete alle Regioni e non alle Province e dunque a nulla vale il contenuto del piano amministrativo fatto valere dalla Provincia, superato dal successivo piano regionale.
 In assenza di ATO, dunque, permane la vigenza della disciplina anteriore, non essendo ipotizzabile la paralisi dell’esercizio dei poteri, tra l’altro in materia sensibile come quella dei rifiuti.
 Importante inciso è espresso dai Giudici quanto alla incompetenza assoluta della Provincia in materia di affidamento del servizio di gestione rifiuti, in quanto è del tutto palesemente estranea non solo alle attribuzioni della Provincia, ma quest’ultima non è nemmeno titolare di legittimazione che attiene alla tutela della concorrenza degli operatori economici del settore.
 2. VIA – conferenza di servizi
Il capo di sentenza sul punto deve essere letto considerando la vecchia formulazione dell’art. 26 D.Lgs. 152/06:
Il provvedimento di valutazione di impatto ambientale sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nulla osta, assensi comunque denominati in materia ambientale, necessari per la realizzazione e l’esercizio dell’opera o intervento inclusa, nel caso di impianti che ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. 59/2005, l’autorizzazione integrata ambientale”.
Alla luce di tale disciplina il Consiglio di Stato ritiene tardivo il dissenso della Provincia espresso in conferenza di servizi per il rinnovo dell’AIA, in quanto le problematiche inerenti la localizzazione dell’impianto dovevano avanzarsi, semmai, in sede di rilascio di VIA.
L’esito favorevole del procedimento di VIA ha avuto carattere assorbente e ciò valga a tacitare ogni doglianza della Provincia.
 

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Tariffa igiene ambientale/IVA: rimborsi?

Tariffa Igiene Ambientale e IVA : a quando i rimborsi?

A cura di avv. Cinzia Silvestri

La Corte di cassazione con sentenza 9.3.2012 n. 3756 ha precisato, come ormai noto, che in tema di tariffa igiene ambientale non è applicabile l’Iva e dunque va rimborsata ai cittadini.

Su questo sito già si è commentata la sentenza che trova illustre precedente già nella sentenza della Corte di cassazione 238/2009.

Vero è che a seguito della sentenza del 2009 il Legislatore era interventuto con DL 78/2010 al fine di evitare il rimborso pregiudizievole …allo Stato.

La giurisprudenza ha emesso pronunce ondivaghe.

Ciò che si nota è che le agenzie di riscossione (nel Veneto Veritas) hanno trattato le sentenze favorevoli come se fossero provvedimenti legislativi e dunque fondanti il loro potere di riscossione, mentre le sentenze a sfavore e che impongono il rimborso divengono immediatamente ….un nulla di fatto.

Le agenzie di riscossione, dunque, attendono che sia lo Stato a dare loro indicazioni o addirittura un parere delle Agenzie delle Entrate o magari attendono probabile DL simile a quello emanato dal DL 78/2010 che ….ricomponga la vicenda ed eviti il rimborso.

Si allega invero comunicato della Veritas pubblicato sul sito che afferma di attendere disposizioni e che comunque non sono loro i destinatari delle domande di rimborso …. senza indicare però il destinatario…

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Responsabilita' magistratura

Responsabilità della magistratura
Segnalazione a cura Avv. Cinzia Silvestri
L’ attenzione alla responsabilità della magistratura e’ sollecitata dalle Comunità Europee.
In particolare:
Corte giustizia CE  Sez. III del 24 novembre 2011
Numero: causa C-379/10
Collegio: Pres. Lenaerts  Rel. Danwitz 
MASSIMA
DANNI – Risarcimento del danno – Danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie – Disciplina nazionale che limita la responsabilità civile dei giudici ai soli casi di dolo o colpa grave – Obblighi incombenti sull’Italia in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri – Violazione – Sussistenza.
La Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza del principio generale di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge 13 aprile 1988, n. 117, sul risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati:
escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, qualora tale violazione risulti da interpretazione di norme di diritto o da valutazione di fatti e prove effettuate dall’organo giurisdizionale medesimo;
limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave.

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Rifiuti pericolosi: Ecotossico (H14)

RIFIUTI PERICOLOSI – Ecotossico (H14)
L. n. 28/2012 di conversione del DL n. 2/2012 art. 3
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
L’ allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152  del 2006, il punto 5 e’ stato sostituito da nuova formulazione con L. n. 28/2012 di conversione del DL 2/2012.
La modifica del punto 5 dell’allegato D coinvolge anche H14 (ecotossico) .
E’ noto che le modifiche apportate dal Dlgs. 205/2010 hanno provocato incertezze applicative ingenti.
Noto è il parere ISS/ISPRA del 29.11.2011, in vigenza del Dlgs. 205/2010, che ha tentato con parere e dunque in assenza di alcuna forza legislativa di dare indirizzo e interpretazione alla questione.
Ebbene, il legislatore proprio con riferimento all’H14 (L. 28/2012) precisa che “..Nelle more dell’adozione, da  parte  del  Ministero dell’ambiente e della tutela  del  territorio  e  del  mare,  di  uno specifico  decreto  che   stabilisca   la   procedura   tecnica  per l’attribuzione  della   caratteristica   H14,   sentito   il   parere dell’ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai  rifiuti  secondo le modalita’ dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7″)).
L’accordo ADR dunque assurge a fonte interpretativa per volontà legislativa.

Allegato D punto 5 del Dlgs. 152/2006 parte IV

 

Dlgs. 152/2006dal 29.4.2006 al 24.12.2010 Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 205/2010 ed in vigoredal 25.12.2010 al 24.3.2012 Dlgs. 152/2006 come riformato dalla L. 28/2012 ed in vigoredal 25.3.2012
5. Se un  rifiuto e’  identificato  come   pericoloso   mediante riferimento specifico o generico a sostanze  pericolose  e  come non pericoloso  in  quanto  “diverso”  da  quello  pericoloso  (“voce   a specchio”),esso e’ classificato come pericoloso solo se le  sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad  esempio,  percentuale  in peso), tali da conferire al rifiuto in questione  una  o  piu’  delle proprieta’ di cui all’allegato III  della  direttiva  91/689/CEE  del Consiglio. 
Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 si  applicano i valori limite di cui al punto 4, mentre
le caratteristiche H1,  H2, H9, H12, H13 e H14 non devono  essere  prese  in  considerazione,  in quanto mancano i criteri di riferimento sia a livello comunitario che a  livello  nazionale,  e  si  ritiene  che  la  classificazione   di pericolosita’  possa   comunque   essere   correttamente   effettuata applicando i criteri di cui al suddetto punto 4.  La  classificazione di un rifiuto identificato da una “Voce a specchio” e la  conseguente attribuzione del codice sono effettuate dal produttore/detentore  del rifiuto.
 
5. Se un rifiuto e’ identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso e’ classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire  al  rifiuto  in questione una o piu’ delle proprieta’ di cui all’allegato I.  “5. Se un rifiuto e’  identificato  come  pericoloso  mediante riferimento specifico o  generico  a  sostanze  pericolose, esso e’classificato  come  pericoloso  solo se le   sostanze   raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in  questione una o piu’ delle proprieta’ di  cui all’allegato I. 
 
 
 
Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11, di  cui
all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del  presente allegato.
Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14,  di  cui
all’allegato I, la  decisione  2000/532/CE  non  prevede  al  momento alcuna specifica. Nelle more dell’adozione, da  parte  del  Ministero
dell’ambiente e della tutela  del  territorio  e  del  mare,  di  uno specifico  decreto  che   stabilisca   la   procedura   tecnica  per l’attribuzione  della   caratteristica   H14,   sentito   il   parere dell’ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai  rifiuti  secondo
le modalita’ dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7″).

 
Si ricorda:
– Un rifiuto è pericoloso se presenta una o più caratteristiche di cui all’allegato I, cioè le caratteristiche contrassegnate dalla lettera H (art. 183 comma 1 lettera b)[1], definizione ripresa anche dall’art. 184 comma 4 T.U.A.).
– Ai sensi dell’art. 184 comma 5 T.U.A.[2], però, anche l’allegato D, che descrive i codici CER, deve ritenersi “vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi” .
La pericolosità di un rifiuto, dunque, deriva dalla applicazione combinata degli allegati D e I: un rifiuto è pericoloso per definizione (all. D) oppure perché contiene una data percentuale di sostanze pericolose (all. I).
A dire il vero l’allegato D prevedeva già un rinvio all’allegato I, laddove al punto 5 stabiliva quando un  rifiuto dovesse classificarsi
Infiammabile o facilmente infiammabile (H3A e H3b)
Irritante (H4)
Nocivo (H5)
Tossico (H6)
Cancerogeno (H7)
Corrosivo (H8)
Tossico per la riproduzione (H10) le percentuali di sostanze pericolose conteneva determinate circostanze di sostanze pericolose, tali da conferire al rifiuto una o più proprietà di cui all’allegato I (tossicità, infiammabilità, ecc…).
Mancavano però le linee guida per una corretta applicazione dell’allegato I, fornite appunto, seppur in via transitoria, dall’art. 3 comma 6 D.L. 2/12 modificato:
 
a) H3, H4, H5, H6, H7, H8, H10 e H11:
si applica il punto 3.4. allegato D:
 
– punto di infiammabilità < o = 55 °C,
– una o più sostanze classificate come molto tossiche in concentrazione totale > o = 0,1%,
– una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale > o = 3%,
– una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale > o = 25%,
– una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale > o = 1%,
– una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale > o = 5%,
– una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale > o = 10%,
– una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37 e R38 in concentrazione totale > o = 20%,
– una sostanza riconosciuta come cancerogena (categorie 1 o 2) in concentrazione > o = 0,1%,
– una sostanza riconosciuta come cancerogena (categoria 3) in concentrazione > o = 1%,
– una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificata come R60 o R61 in concentrazione > o = 0,5%,
– una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificata come R62 o R63 in concentrazione > o = 5%,
– una sostanza mutagena della categoria 1 o 2 classificata come R46 in concentrazione > o = 0,1%,
– una sostanza mutagena della categoria 3 classificata come R40 in concentrazione > o = 1%;
 
b) H1, H2, H9, H12, H13:
non applicabili, perché la decisione 2000/532/CE nulla disciplina in merito.
 
c) H14 (ecotossicità):
in attesa di un Decreto del MATTM tale caratteristica è attribuita secondo l’ADR per la classe 9 M6 e M7.
 
L’ADR è un accordo sancito a livello europeo, che disciplina il trasporto delle merci pericolose, imponendo misure per l’imballaggio e (allegato A dell’accordo) e la costruzione, l’equipaggiamento e l’esercizio dei veicoli (allegato B dell’accordo).
 
Le merci sono suddivise in classi a seconda dei rischi derivanti dalla loro manipolazione e contatto.
La classe 9 è una categoria residuale che comprende la pericolosità non descritta nelle altre classi:
 
– Classe 1a – Materie e oggetti suscettibili di esplosione
– Classe 1b – Oggetti caricati con materie esplosive
– Classe 1c – Merci di accensione, artefizi e merci analoghe
– Classe 2 – Gas compressi, liquefatti o disciolti sotto pressione
– Classe 3 – Materie liquide infiammabili
– Classe 4.1 – Materie solide infiammabili
– Classe 4.2 – Materie soggette ad accensione spontanea
– Classe 4.3 – Materie che a contatto con l’acqua sviluppano gas infiammabile
– Classe 5.1 – Materie comburenti
– Classe 5.2 – Perossidi organici
– Classe 6.1 – Materie tossiche
– Classe 6.2 – Materie ripugnanti o suscettibili di produrre infezioni
– Classe 7 – Materie radioattive
– Classe 8 – Materie corrosive
– Classe 9 – Materie e oggetti pericolosi diversi
Le materie incluse nella classe 9 sono poi al loro volta suddivise in sottoclassi:
M1 Materie che, inalate sotto forma di polvere fine, possono comportare un rischio per la salute;
M2 Materie ed apparecchi che, in caso d’incendio, possono formare diossine;
M3 Materie sviluppanti vapori infiammabili;
M4 Pile al litio;
M5 Congegni di salvataggio;
M6-M8 Materie pericolose per l’ambiente:
M6 Materie inquinanti per l’ambiente acquatico, liquide;
M7 Materie inquinanti per l’ambiente acquatico, solide;
M8 Microrganismi e organismi geneticamente modificati;
M9-M10 Materie trasportate a caldo:
M9 Liquide;
M10 Solide;
M11 Altre materie che presentano un pericolo durante il trasporto ma che non corrispondono alle definizioni di nessun’altra classe.
Le materie M6 e M7 di cui alla classe 9 sono dunque: “materie pericolose per l’ambiente comprendono le materie liquide o solide inquinanti per l’ambiente acquatico e le soluzioni e miscele di queste materie (come i preparati e i rifiuti) che non possono essere classificate nelle altre classi, o nelle altre rubriche della classe 9 elencate nella Tabella A del capitolo 3.2. Esse comprendono anche i microrganismi e gli organismi geneticamente modificati” (punto 2.2.9.1.9 ADR).
 


[1] Art. 183 comma 1 lett. b)  "rifiuto  pericoloso":  rifiuto  che  presenta  una  o   piu' caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto;

 

[2] art. 184 comma 4 e 5 Dlgs. 152/2006 come modificato dal Dlgs. 205/2010:
(4. Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto)).
((5.  L'elenco  dei  rifiuti di cui all'allegato D alla parte quarta del  presente  decreto  include  i  rifiuti  pericolosi e tiene conto dell'origine  e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori  limite  di  concentrazione delle sostanze pericolose. Esso e' vincolante  per  quanto  concerne  la  determinazione  dei rifiuti da considerare  pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco  non  significa  che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma  restando  la  definizione di cui all'articolo 183. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da  adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla  presente disposizione, possono essere emanate specifiche linee guida  per agevolare l'applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I.))

 

adminRifiuti pericolosi: Ecotossico (H14)
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Contributo Sistri: novembre 2012?

Contributo Sistri 2012: novembre 2012 –   Comunicato del Ministero dell’Ambiente
 a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Il Ministero dell’Ambiente, con comunicato del 20 aprile u.s. pubblicato sul proprio sito istituzionale www.minambiente.it, ha confermato la volontà di procedere ad una revisione del sistema Sistri in modo da semplificare e rendere più efficienti le procedure.
Nell’ambito di questo lavoro è stato deciso un differimento al 30 novembre 2012 del termine per il pagamento dei contributi per l’anno in corso, che scadeva il 30 aprile p.v.
A seguito della lettera inviata in data 13 marzo u.s., (già pubblicata su questo sito ) il Ministro Clini ha proposto alle associazioni imprenditoriali interessate di valutare insieme le modalità per rendere finalmente operativo il sistema, senza aggiungere oneri amministrativi alle già complesse procedure cui le imprese sono sottoposte per rispettare gli adempimenti ambientali ed in particolare quelli in materia di rifiuti.
 
 

adminContributo Sistri: novembre 2012?
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Materiali da riporto e terre: il punto

Materiali da riporto e terre e rocce: il punto
a cura di avvocato Cinzia Silvestri
 
Sono stati convertiti in Legge i decreti Legge 1 e 2 del 2012.
1)   DL n. 1/2012 (Liberalizzazioni) è stato convertito in Legge n. 27/2012 e vigente dal 17.4.2012
2)   DL n. 2/2012 (Ambiente) è stato convertito in Legge n. 28/2012 e vigente al 17.4.2012
 
Già si è evidenziato il legame tra i due decreti legge  che dialogano e pongono legame tra
1)   i materiali da riporto (DL. 2/2012 art. 3) e
2)   le terre e rocce da scavo (art. 49 DL 1/2012).
 

art. 3 DL 2/2012
(materiali  riporto)
Art. 49 DL. 1/2012
(terre e rocce)
2. Ai fini dell’applicazione del  presente  articolo,  per  matrici
materiali di  riporto  si  intendono  i  materiali  eterogenei,  come
disciplinati dal decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge  24
gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti  e
rilevati,  non  assimilabili   per   caratteristiche   geologiche   e
stratigrafiche al terreno in  situ,  all’interno  dei  quali  possono
trovarsi materiali estranei.
1-bis. Il decreto di cui al comma  precedente,  da  adottare  entro
sessanta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto, stabilisce le condizioni alle quali
le terre e rocce da scavo sono  considerate  sottoprodotti  ai  sensi
dell’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.

 
 
A dire il vero il legislatore sembra ricondurre terre e rocce da scavo (186) e materiali da riporto all’unico referente normativo dell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 (sottoprodotto); norma cardine e unica fonte sulla quale si innesta il Regolamento “futuro” che dovrebbe trovare vigenza nel giugno del 2012.
L’avvento del DM (Regolamento) espungerà dal Dlgs. 152/2006 l’articolata e vessata disciplina delle terre (art. 186); terre che ritrovano nella definizione delle “matrici da riporto” alcuni elementi ed assonanze (“riempimenti, rilevati…).
 
L’assetto futuro della disciplina troverà base nell’art. 184bis (sottoprodotto) e applicazione (condizioni) nel regolamento e nella disciplina delle matrici; disciplina non prevista nel Dlgs. 152/2006 (con articolo espresso come lo erano le terre) bensì nell’art. 49 della L. 28/2012 (DL 1/2012).
 
Materiali da riporto e terre e rocce da scavo sembrano dunque destinati ad  essere qualificati come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 sulla base delle condizioni previste nel futuro Decreto.
 
Vero è che il legislatore ha scomodato l’art. 185 Dlgs. 152/2006 per i soli materiali da riporto fornendo “interpretazione autentica”.
I materiali da riporto dunque sono esclusi di per se’ ed in quanto equiparati al suolo dalla normativa sui rifiuti.
 
L’intento del legislatore è benevolo e accoglie la necessità di alleggerire la gestione, ad esempio, dei cantieri edili e dei materiali utilizzzati a fini edilizi.
Vero è che il legislatore non si è accontentato di inserire i “materiali da riporto” tra i sottoprodotti (art. 184 bis) ma è andato oltre, con forzatura, attribuendo diretta “esclusione” ai materiali da riporto della normativa sui rifiuti (dimenticando ratio e storia dell’art. 185 Dlgs. 152/2006).
In sintesi i materiali da riporto dovrebbero seguire la seguente disciplina:
1)    materiali da riporto esclusi ex art. 184 bis Dlgs. 152/2006 se sottoprodotti fino alla emanazione del DM futuro
2)    materiali da riporto esclusi ex art. 185 Dlgs. 152/2006 dalla normativa rifiuti alla emanazione del DM futuro

adminMateriali da riporto e terre: il punto
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MUD 2011

MUD 2011
Online l’applicazione e la guida per la compilazione
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 
Il 17 aprile u.s., è stata pubblicata sul sito http://www.sistri.it/, l’applicazione per la compilazione della Dichiarazione MUD 2011 (cd. Scheda Sistri art. 28 D.M.  52/2011)
 
Come previsto dal D.M. n. 52/2011 la dichiarazione deve essere presentata, con riferimento al periodo 1 gennaio 2011 – 31 dicembre 2011, ai sensi dell’articolo 12 del D.M. 17/12/2009 così come modificato dal D.M. 22/12/2010, da:

  • produttori iniziali di rifiuti pericolosi;
  • produttori di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g) del D.lgs. n. 152/2006 con più di 10 dipendenti;
  • imprese ed enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti che già erano tenuti alla presentazione del modello unico di dichiarazione ambientale di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 70.

Si ricorda che i soggetti che effettuano a titolo professionale
1)  attività di raccolta e trasporto dei rifiuti e
2)  commercianti e
3)  gli intermediari di rifiuti senza detenzione
non sono tenuti alla presentazione della Dichiarazione SISTRI per le attività di trasporto ed intermediazione. I medesimi soggetti saranno tenuti a presentare la Dichiarazione SISTRI se effettuano operazioni di recupero o smaltimento o sono produttori di rifiuti per i quali vige l’obbligo di presentazione.
 
La Dichiarazione deve essere effettuata, entro il 30 aprile 2012:
accedendo unicamente con il dispositivo USB assegnato ai Delegati di Sede, nello spazio riservato;

  • compilando le Schede Rifiuti per ciascuna Unità Locale iscritta al SISTRI;
  • inserendo le informazioni come meglio descritte nella Guida per l’utilizzo dell’applicazione per la compilazione della Dichiarazione MUD 2011 (allegato I).

 
Al fine di evitare errori frequenti si ricorda che nel modulo DR (destinatario dei rifiuti) deve essere indicato l’impianto di destinazione e non il trasportatore.
Si sottolinea al riguardo che essendo il trasportatore esentato dalla dichiarazione l’informazione relativa al destinatario non può essere desunta da altra fonte.
L’applicazione per la compilazione dei moduli è disponibile nell’area riservata sistri accessibile mediante l’utilizzo del dispositivo usb del delegato dell’unità locale interessata.
 
Allegato 1_GUIDA_APPLICAZIONE_DICHIARAZIONE_MUD_2011:  

adminMUD 2011
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Bonifiche: "accordo" imminente

Aree da bonificare… il governo elenca.
segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Sul sito del Governo compare elenco che segue l’annuncio della intesa relative alle bonifiche.
Si legge nell’allegato:
Principali aree da disinquinare
57 aree da risanare. 2,2 miliardi di euro stanziati dal Ministero
Sono 57 i cosiddetti Sin (siti di interesse nazionale) da disinquinare.
2,2 miliardi di euro l’importo stanziato dal ministero dell’Ambiente dal 2001 a oggi. La somma è destinata agli interventi pubblici o di interesse pubblico. I privati sono tenuti a intervenire con propri investimenti.
Su circa 20 Sin il ministero ha concluso la sua parte di attività, ma l’attività non è finita. Anzi, spesso non è nemmeno cominciata. Difatti per legge (decreto 152 del 2006) la competenza è passata a Province e Arpa. E lì, spesso, tutto si è fermato.
Aree perimetrate
Pari a circa 500mila ettari le aree a terra perimetrate. Corrispondono a poco meno del 2% del territorio nazionale.
Pari a circa 90mila ettari la perimetrazione delle aree a mare.
Tipologia principali aree da bonificare
 Marghera: polo industriale
 Napoli orientale: ex raffineria Mobil
 Gela: petrolchimico Eni
 Priolo: petrolchimico Eni-ex Esso–Isab-Lukoil
 Manfredonia: polo chimico
 Brindisi: petrolchimico e 2 centrali elettriche a carbone
 Taranto: acciaieria Ilva e raffineria Eni
 Cengio (Savona): ex Acna (industrie chimiche)
 Piombino: siderugia
 Massa e Carrara: siderurgia e amianto
 Casale Monferrato: amianto
 Litorale Domizio Flegreo e Agro Aversano: cimitero di rifiuti della camorra
 Pitelli (La Spezia): discarica rifiuti a ridosso dell’arsenale della marina militare
 Balangero (Torino): miniera di amianto e discarica di altri tossici nocivi
 Pieve Vergonte (Val d’Ossola): vecchia chimica
 Sesto San Giovanni: siderurgia
 Pioltello Rodano: ex Sisas (acetilene e derivati; discarica cancerogena di circa
cinquant’anni fa)
 Napoli Bagnoli: acciaieria dismessa e stabilimento Eternit

adminBonifiche: "accordo" imminente
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Fotovoltaico: Limiti Regionali " illegittimi"

Fotovoltaico: la Regione non può limitare la installazione
LR Veneta n. 7/2011 art. 4 e 15 – finanziaria 2011
Corte Costituzionale n. 85/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La decisione della Corte Costituzionale sembra riportare un po’ di ordine tra le fonti e tra i poteri istituzionali. E ciò accade proprio nelle more della pubblicazione della finanziaria Regionale del 2012, quasi a monito di maggior impegno nel rispetto dei poteri e delle competenze.
La nuova finanziaria 2012 trova anticipato commento, su questo sito, con riferimento al ” contributo ambientale dei gestori dei rifiuti”; norma che crea la dovuta perplessità e si auspica anche interesse costituzionale.
La installazione di impianti fotovoltaici deve avvenire nel rispetto delle norme statali anche sotto il profilo delle limitazioni possibili e la Regione non puo’ imporre limiti non previsti.
Si rimanda alla lettura della sentenza che affronta diversi temi.
In questa sede si chiarisce il punto centrale della questione.
In particolare:
La Corte Costituzionale con sentenza n. 85/2012 ha dichiarato la illegittimità costituzionale di alcuni articoli della LRVeneto ( finanziaria 2011) con riferimento alle limitazioni alla installazione di impianti fotovoltaici.
Oggetto del giudizio di legittimità costituzionale gli articoli :
-4, comma 1, e
-15, commi 1 e 2,
della legge della Regione Veneto 18 marzo 2011, n. 7
(Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2011)
in riferimento agli artt. 41 e 117 della Costituzione.
Art. 4 L. R. Veneto n. 7/2011
Il ricorrente deduce che l’art. 4, comma 1, della legge reg. Veneto n. 7 del 2011 dispone che, non possono essere rilasciate
autorizzazioni alla realizzazione ed all’esercizio di impianti fotovoltaici
a terra in area agricola
di potenza di picco superiore a 200kWp,
di impianti di produzione di energia alimentati da biomassa di potenza elettrica superiore a 500kWe,
nonché di quelli alimentati a biogas e bioliquidi di potenza elettrica superiore a 1000kWe.
Ad avviso della difesa dello Stato, tale norma vìola l’art. 117, primo comma, Cost., perché prevede un limite alla produzione di energia da fonti rinnovabili sul territorio regionale, in contrasto con le norme internazionali – le quali incentivano, invece, lo sviluppo delle suddette fonti di energia, individuando soglie minime di produzione che ogni Stato si impegna a raggiungere entro un determinato periodo di tempo.
Stato competenza concorrente (art. 117 co. 3 Cost.)
Recita la sentenza:”….l’art. 4, comma 1, della legge reg. Veneto n. 7 del 2011 lede anche l’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce allo Stato la competenza legislativa concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. In particolare, la norma contrasterebbe con il principio fondamentale posto dall’art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), il quale stabilisce che le Regioni possono procedere alla individuazione di aree non idonee alla realizzazione di impianti da fonti rinnovabili, in attuazione e nel rispetto delle Linee Guida nazionali e dall’art. 17 (in combinato disposto con l’allegato 3) delle Linee Guida adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). Detto art. 17 dispone che le aree non idonee possono essere individuate solo a determinate condizioni, tassativamente elencate, nessuna delle quali ricorre nella norma censurata (in particolare, ai sensi delle citate linee guida ministeriali, le aree non idonee possono essere individuate in relazione non a categorie generalizzate di aree, ma esclusivamente a specifici siti, con riguardo all’installazione solo di determinate tipologie e/o dimensioni di impianti, previo espletamento di una istruttoria approfondita, che individui le specifiche aree particolarmente sensibili o vulnerabili all’interno delle tipologie di aree elencate all’allegato 3).
……”
Ebbene la CORTE COSTITUZIONALE
“…dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, della legge della Regione Veneto 18 marzo 2011, n. 7 (Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2011);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 15, commi 1 e 2, della legge della Regione Veneto n. 7 del 2011, nella parte in cui, nel sostituire l’articolo 16, comma 1, della legge della Regione Veneto 27 novembre 1984, n. 58 (Disciplina degli interventi regionali in materia di protezione civile), e nell’introdurre nel medesimo articolo 16 il comma 1-bis, prevede che il Presidente della Provincia sia autorità di protezione civile, responsabile dell’organizzazione generale dei soccorsi a livello provinciale nei casi di emergenza di protezione civile, per gli eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del servizio nazionale della protezione civile).

adminFotovoltaico: Limiti Regionali " illegittimi"
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Gestori Rifiuti: "contributo ambientale"

L.R. Veneta n. 13/2012 (Legge Finanziaria): Gestori Rifiuti

CONTRIBUTO REGIONALE E COMUNALE GESTIONE RIFIUTI

Modifiche alla L.RV n. 3/2000 art. 37

A cura di avv. Cinzia Silvestri

L’art. 41 L. 13 del 6.4.2012 Legge finanziaria del veneto per l’esercizio 2012 in BUR 27 del 10.4.2012, modifica l’articolo 37 della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3 “Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti”.

I gestori degli impianti di rifiuti verranno a breve gravati da un contributo da corrispondersi in parte ai Comuni e in parte alle Regioni per il disagio provocato dallo smaltimento e dal recupero dei rifiuti nonché per la bonifica e la realizzazione degli interventi successivi alla cessazione dell’attività.

L’importo di tale ..contributo sarà determinato dalla Giunta Regionale del Veneto entro 60 gg a decorrere dall’ 11 aprile 2012.

 Vale la pena di riflettere sul primo comma:

1)    I soggetti che effettuano la gestione di impianti

a)    di smaltimento o

b)    di recupero di rifiuti

devono corrispondere un

c)    contributo ambientale destinato, quota parte,

d)    a interventi finalizzati prioritariamente al ristoro del disagio indotto nel territorio dalla presenza dell’impianto a favore dei comuni ove gli impianti sono ubicati e,

e)    per la restante parte, a favore della Regione per far fronte ai:

f)     costi derivanti dalla gestione post mortem di discariche non più attive nonché

g)    agli interventi di bonifica e ripristino ambientale posti a carico delle amministrazioni pubbliche interessate ai sensi della vigente normativa di settore

 Dunque Regione e Comune si dividono il “contributo ambientale” non meglio definibile e definito; contributo dovuto per il ristoro del disagio (infelice espressione) e per interventi di bonifica e ripristino ambientale

 Il mancato versamento di tale contributo entro il mese successivo alla scadenza del trimestre solare in cui è avvenuto il conferimento dei rifiuti (comma 4) comporta la sanzione di importo doppio rispetto all’ammontare del contributo (comma 5).

La disposizione desta perplessità sotto molteplici profili e anche in merito alla legittimità della disposizione sanzionatoria (oltre che del contributo). Dubbia la natura della imposizione soprattutto a favore dei Comuni.

Si auspica il controllo della effettiva destinazione di questo “contributo”alle finalità indicate 

 La Regione, infatti, prevede un onere contributivo generico per il finanziamento di opere future, probabili e non determinate.

 

1. NATURA

L’art. 41 non specifica la natura del contributo: tassa, tariffa, imposta?

Come insegna la disputa in materia di TARSU/TIA, la corretta determinazione della tipologia dell’onere incide sull’aspetto fiscale: il contributo sarà gravato da IVA?

 2. LEGITTIMITÀ

La finanziaria del Veneto non richiama il Piano di gestione dei rifiuti e dunque non giustifica il ..contributo.

3. LEGGE 3/2000

L’art. 41 Legge finanziaria richiama e modifica l’art. 37 l. 3/2000, antecedente rispetto al nuovo Testo Unico Ambientale e al nuovo assetto del potere legislativo in capo allo Stato e alle regioni.

 Si indica schema delle modifiche apportate.

L.R. 3/2000 ART. 41 L.R. 13/2012 – MODIFICHE ALL’ART. 37 L.R. 3/00
Art. 37 – Contributo ambientale ai comuni sede di impianti di recupero e di smaltimento di rifiuti Art. 37 – Contributo ambientale ai comuni sede di impianti di recupero e di smaltimento di rifiuti
1.I soggetti che effettuano la gestione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti devono corrispondere un contributo ambientale ai comuni ove gli impianti sono ubicati. 1. I soggetti che effettuano la gestione di impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti devono corrispondere un contributo ambientale destinato, quota parte, a interventi finalizzati prioritariamente al ristoro del disagio indotto nel territorio dalla presenza dell’impianto a favore dei comuni ove gli impianti sono ubicati e, per la restante parte, a favore della Regione per far fronte ai costi derivanti dalla gestione post mortem di discariche non più attive nonché agli interventi di bonifica e ripristino ambientale posti a carico delle amministrazioni pubbliche interessate ai sensi della vigente normativa di settore
2.Entro sessanta giorni dalla pubblicazione della presente legge, la Giunta regionale provvede:a) ad individuare le tipologie di impianti per la gestione dei quali è dovuto il contributo di cui al comma 1;b) a determinare l’entità del contributo in funzione della quantità e della qualità dei rifiuti movimentati;c) a determinare i criteri per la suddivisione del contributo fra i comuni confinanti effettivamente interessati al disagio provocato dalla presenza degli impianti.  2. La Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, provvede:a) ad individuare le tipologie di impianti per la gestione dei quali è dovuto il contributo di cui al comma 1;b) a determinare l’entità del contributo a favore dei comuni e della Regione in funzione della quantità e della qualità dei rifiuti movimentati;c) a determinare i criteri per la suddivisione del contributo fra i comuni confinanti effettivamente interessati al disagio provocato dalla presenza degli impianti.
3.La Giunta regionale provvede ad aggiornare annualmente il contributo ambientale.  3. Il gettito derivante dall’applicazione del contributo ambientale di cui al presente articolo, per la parte di spettanza regionale, viene introitato all’upb E0166 “Trasferimenti correnti da altri soggetti”. Le somme introitate per gli interventi per la gestione post mortem di discariche non più attive e per la bonifica, il ripristino e la mitigazione ambientale, sono vincolate nella destinazione all’upb U0107 “Trasferimenti per lo smaltimento dei rifiuti” e all’upb U0108 “Interventi strutturali nello smaltimento di rifiuti”.
4. Il gettito derivante dall’applicazione del contributo disciplinato dal presente articolo é destinato ad interventi finalizzati prioritariamente al ristoro del disagio indotto nel territorio dalla presenza dell’impianto. 4. Il contributo di spettanza regionale è versato dai gestori degli impianti di cui al comma 1 alla Regione, entro il mese successivo alla scadenza del trimestre solare in cui sono state effettuate le operazioni di conferimento dei rifiuti.
  5. Il mancato e puntuale versamento del contributo ambientale da parte dei gestori, accertato dall’autorità di vigilanza, qualora non comporti anche violazione dell’autorizzazione all’esercizio, è punito, a titolo sanzionatorio, con il versamento del contributo medesimo nella misura doppia di quella dovuta.
  6. Nelle upb del bilancio regionale di cui al comma 3, vengono introitati e vincolati all’utilizzo i contributi compensativi di mitigazione ambientale previsti negli impianti di gestione dei rifiuti autorizzati che non siano utilizzati secondo le indicazioni regionali dai comuni sede di impianto.
  7. La Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare, può provvedere ad aggiornare annualmente il contributo ambientale.
  8. Il gettito a favore dei comuni derivante dall’applicazione del contributo disciplinato dal presente articolo é destinato a interventi finalizzati prioritariamente al ristoro del disagio indotto nel territorio dalla presenza dell’impianto.

 
 
 

adminGestori Rifiuti: "contributo ambientale"
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