Il Ministro Clini scrive alle Regioni.
Segnalazione da Studio Legale Ambiente.
Sul sito del ministero dell’ambiente e’ pubblicata lettera del Ministro Clini; lettera d’ intenti sulla necessita’ di dare riordino alla gestione del servizio idrico ed in seguito a quanto espresso dalla Corte Costituzionale n. 26/2011.
Trasporto rifiuti: modifiche DL n. 5/2012
Trasporto rifiuti – IMPRESE AGRICOLE
Il viaggio non è considerato trasporto ...se finalizzato a raggiungere luogo per deposito temporaneo (Art. 193 comma 9 bis Dlgs. 152/2006 e art. 28 DL n. 5/2012)
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL n. 5/2012 (semplificazioni) è all’esame della Camera ed in attesa di conversione.
L’art. 28 D.L. 5/2012 (vigente al 10.2.2012) modifica anche l’articolo 193 del D.Lgs. 152/06 inserendo il comma 9 bis.
AZIENDA AGRICOLA
Il Governo esclude l’applicazione degli adempimenti relativi al trasporto in presenza di presupposti, quali:
1) “La movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola”: il Governo sottolinea la unicità del gestore; il trasporto avviene tra fondi che appartengono alla medesima azienda. Il termine “appartenenza” non è giuridico e si presta a varia interpretazione. Vero è che il Governo subito di seguito si esprime precisando la “disponibilità giuridica”.
2) “ancorche’ effettuati percorrendo la pubblica via”: i fondi possono non essere contigui e necessitare, per il raggiungimento, di percorrere, ad esempio, la pubblica via;
3) “Non e’ considerata trasporto ai fini del presente decreto”: viene esclusa dunque la normativa e gli adempimenti relativi al trasporto della parte IV del decreto; e ciò previa verifica o meglio “ qualora risulti comprovato”:
a) “da elementi oggettivi ed univoci” : il riferimento apre le porte alla discrezionalità.
b) “finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo” : il deposito temporaneo ha subito modifica proprio con il DL 5/2012 al successivo comma 2 dell’art. 28 in favore delle imprese agricole (si rimanda alla pubblicazione in questo sito). Il deposito temporaneo dunque si estende a fattispecie prima non comprese sia sotto il profilo del “luogo” sia con riferimento ai “soggetti”. Il deposito temporaneo (art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 come riformato dall’art. 28 DL 5/2012) costituisce perno della intera disciplina. Il viaggio non è considerato trasporto solo e se finalizzato a raggiungere luogo per deposito temporaneo.
c) e la distanza fra i fondi non sia superiore a dieci chilometri: curiosa la precisazione e sfugge il criterio che ha prodotto tale affermazione.
COOPERATIVA AGRICOLA
ART. 183 e ART. 193 Dlgs. 152/2006
L’inciso finale dell’art. 193 comma 9bis deve essere letto in combinato disposto con le modifiche dell’art. 183 com. 1 lett. bb) (cfr. art. 28 DL 5/2012).
La modifica considera l’imprenditore agricolo socio di cooperativa agricola che
1) deposita (temporaneo) presso il sito che è nella disponibilità giuridica della cooperativa (socia) ; non necessariamene dunque il luogo di produzione.
2) trasporta presso il sito nella disponibilità giuridica della cooperativa (socia)
Si nota che il Governo apre il secondo capoverso dell’art. 28 Dl 5/2102 dedicato alla cooperativa agricola con l’inciso ”Non e’ altresi’ considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall’imprenditore agricolo …”.
Quasi a precisare ipotesi diversa da quella precedente e tale da poter escudere in questo caso che, ad esempio, i fondi debbano avere una vicinanza inferiore ai … 10 chilometri (?).
Sembra invero una fattispecie diversa da quella relativa alla azienda agricola.
Si nota, altresì, l’inciso relativo alla “disponibilità giuridica” che evoca la esistenza di un titolo (contratto, proprietà, affitto ecc…).
Di seguito le modifiche apportate dal DL 5/2012 art. 28 commi 1 e 2
Deposito temporaneoArt. 183 co. 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006DL 5/2012 art. 28 Vigente al 10.2.2012 |
Trasporto rifiutiArt. 193 co. 9bis Dlgs. 152/2006DL 5/2012 art. 28 Vigente al 10.2.2012 |
bb) “deposito temporaneo”: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilita’ giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni: “….” |
9-bis. La movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola, ancorche’ effettuati percorrendo la pubblica via, non e’ considerata trasporto ai fini del presente decreto qualora risulti comprovato da elementi oggettivi ed univoci che sia finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo e la distanza fra i fondi non sia superiore a dieci chilometri.Non e’ altresi’ considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall’imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile dai propri fondi al sito che sia nella disponibilita’ giuridica della cooperativa agricola di cui e’ socio, qualora sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo.». |
Schema: modifiche deposito temporaneo
Schema : modifiche al deposito temporaneo.
Tabella di raffronto art. 183 co. 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 fino al DL 5/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Di seguito si riporta schema delle modifiche intervenute all’art. 183 del Dlgs. 152/2006 dal Dlgs. 4/2008 ad oggi ( tralascia il testo dell’art. 183 vigente dal 29.4.2006 al 12.2.2008).
Deposito temporaneoDal 13.2.2008 FINO al 24.12.2010(Dlgs n. 4/2008) | Deposito temporaneoDAL 25.12.2012 Al 9.2.2012 (Dlgs. 205/2010) |
Deposito temporaneoDal 10.2.2012 (DL n. 5/2012) |
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Art. 183 comma 1 lettera m) | Art. 183 comma 1 lettera bb) | Art. 183 comma 1 lettera bb) | |
Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: | Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: | Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, o, per gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni: | |
1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantita’ superiore a 2,5 parti per milione (ppm), ne’ policlorobifenile e policlorotrifenili in quantita’ superiore a 25 parti per milione (ppm); | 1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al Regolamento (CE) 850/2004 e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; | ||
2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi. In ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l’anno e il quantitativo di rifiuti non pericolosi non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito non può avere durata superiore ad un anno; | 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuto pericolosi. In ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno,il deposito non può avere durata superiore ad un anno; | ||
3) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
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4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose;
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5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del MATTM, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo |
Deposito temporaneo: modifiche DL 5/2012
Deposito temporaneo – IMPRESE AGRICOLE
Art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 e art. 28 DL n. 5/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL n. 5/2012 (semplificazioni) è all’esame della Camera ed in attesa di conversione.
L’art. 28 D.L. 5/2012 (vigente al 10.2.2012) modifica l’articolo 183 comma 1 lett. bb) del D.Lgs. 152/06 .
Gli imprenditori agricoli “creano” deposito temporaneo non solo nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (limite presupposto della disciplina) bensì anche presso il sito che “sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci”.
Il deposito può avvenire non solo nel luogo dove è prodotto il rifiuto ma anche in sito (suggerisce il Governo) diverso.
L’articolo richiama la “disponibilità giuridica” del sito e ciò evoca il sito “di proprietà” o “in affitto” e altro; sito, certamente, destinato all’uso proprio della “cooperativa agricola”.
La cooperativa agricola a dire il vero sembra il soggetto giuridico a cui è destinata la norma, imponendo anche l’appartenenza alla stessa come soci.
La modifica ha certo l’intento di agevolare l’imprenditore agricolo che può considerare deposito temporaneo anche i rifiuti raccolti in sito di propria appartenenza.
Per riassumere:
Il deposito di rifiuti è definito temporaneo se consiste in:
– raggruppamento di rifiuti
– effettuato prima della raccolta
– nel luogo di produzione dei rifiuti
– nel sito nella disponibilità della cooperativa agricola
con rispetto delle condizioni indicate nell’art. 183:
– i rifiuti sono suddivisi per categorie omogenee;
– a scelta del produttore: deposito non superiore ai 3 mesi ovvero i 30 mc, di cui al massimo 10 mc di rifiuti pericolosi. In ogni caso non superiore a 1 anno.
– sono rispettate le norme in materia di imballaggio, etichettatura delle sostanze pericolose, nonché le norme specifiche dettate per peculiari caratteristiche di rifiuto
La modifica all’art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 offre l’occasione per percorrere la storia delle modifiche normative intervenute in merito al deposito temporaneo.
Schema che si pubblica su questo sito con separato titolo.
Acque industriali: DPR n. 227/2011
DPR n. 227/2011 – Acque industriali (2)
Semplificazione / RINNOVO AUTORIZZAZIONE ALLO SCARICO
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Studio Legale Ambiente ha già pubblicato in questo sito breve commento all’art. 4 DPR n. 227/2011 in materia di Rumore (inquinamento acustico).
Utile concentrare l’attenzione sulle disposizioni del Regolamento (art. 3) che si occupano di Acque e della forma semplificata di rinnovo della autorizzazione.
Giova ribadire che le semplificazioni contenute nel DPR sono indirizzate solo alle micro/piccole/medie imprese (PMI).
ESCLUSIONI
Il Regolamento offre, invero, modalità “semplificata” di rinnovo della autorizzazione ma precisa la esclusione e dunque la non applicazione:
1) “per gli scarichi contenenti sostanze pericolose di cui all’art. 108 Dlgs. 152/2006” (cfr. comma 2 art. 3 DPR)
2) se si sono verificate modificazioni rispetto ai presupposti della autorizzazione già concessa (art. 3 comma 1)
3) se si tratta di acque reflue urbane
TERMINE DI 6 MESI
L’art. 124 comma comma 8 prevede che il rinnovo della autorizzazione debba essere richiesto 1 anno prima della scadenza.
Il DPR art. 3 prevede invece il termine di 6 mesi .
La lettura dell’art. 3 sembra indicare che
– in caso di acque reflue industriali (e non quelle urbane)
– se non ci sono modifiche sostanziali rispetto alla precedente autorizzazione
– il termine per chiedere il rinnovo è di 6 mesi anziché 1 anno.
La modifica del termine a mezzo di Regolamento lascia perplessi stante anche la importanza delle conseguenze alla omissione.
In merito alla forza del Regolamento, con riferimento al problema della gerarchia delle fonti, si riporta il testo dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attivita’ di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri… : « 2. – Con decreto del Presidente della Repubblica, ….sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potesta’ regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari.».
ISTANZA/DICHIARAZIONE – responsablità
Ai fini della autorizzazione il titolare dello scarico presenta all’autorità competente istanza corredata da dichiarazione sostitutiva ai sensi dell’art. 47 DPR 445/2000 che attesti che sono rimaste immutate:
a) le caratteristiche quali e quantitative dello scarico (volume, massa, sostanze caricate ecc..)
b) le caratteristiche del ciclo produttivo
c) tipologia e quantità di sostanze impiegate nel ciclo produttivo
d) impianti aziendali di trattamento
e) localizzazione dello scarico
La semplificazione si attua, dunque, come per il rumore, spostando la responsabilità in capo al dichiarante tramite dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà inviato esclusivamente per via telematica (come specificato dall’art. 5 DPR 227/2011).
Le falsità in atti e le dichiarazioni mendaci sono soggette a responsabilità penale come indicato all’art. 76 del DPR 445/2000 (al quale si giunge solo dopo il percorso che parte dall’art. 3 DR 227/2011 – art. 47 e poi 48 e poi 76 DPR 445/2000).
Forse le norme di semplificazione che rimandano alle dichiarazioni in sostituzione all’atto di notorietà dovrebbero richiamare espressamente le conseguenze e le responsbilità che conseguono a dichiarazioni mendaci ,come recita l’art. 76 DPR 445/2000 (richiamato dall’art. 48).
Utile ricordare il testo dell’art. 47 fonte di responsabilità:
Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.
2. L’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso.
3. Le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 e le dichiarazioni rese per conto delle persone indicate nell’ articolo 4, comma 2, sono considerate come fatte a pubblico ufficiale.
4. Se i reati indicati nei commi 1, 2 e 3 sono commessi per ottenere la nomina ad un pubblico ufficio o l’autorizzazione all’esercizio di una professione o arte, il giudice, nei casi più gravi, può applicare l’interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione e arte.
C.E.R.: Circolare Albo Gestori
CER: Circolare n. 95/2012 / Albo Nazionale Gestori Ambientali
Utilizzazione codici dell’elenco europeo dei rifiuti
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Con circolare del 24 gennaio 2012 il Comitato Nazionale dell’Albo, in seguito alle richieste di chiarimenti pervenute, ha fornito indicazioni in merito all’utilizzo dei codici Cer da utilizzare per l’iscrizione da parte delle imprese in alcune categorie.
In particolare:
Iscrizione alla categoria 4
(raccolta e trasporto di rifiuti urbani e assimilati)
Andranno utilizzati i codici riportati nel capitolo 20 del Catalogo europeo dei rifiuti per quanto riguarda i rifiuti non identificati ma comunque di provenienza urbana;
dovrà essere utilizzato il codice CER 180103* (rifiuti che devono essere raccolti e smaltiti applicando precauzioni particolari per evitare infezioni) per identificare le siringhe usate giacenti su strade o aree pubbliche o aree o strade private soggette ad uso pubblico.
Iscrizione nella categoria 4 (raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi) o
Iscrizione nella categoria 5 (raccolta e trasporto di rifiuti pericolosi)
Ai fini dell’iscrizione in categoria 4 possono essere individuati determinati rifiuti con i codici riportati nel capitolo 20 del CER, ma che per la loro origine possono essere classificati come rifiuti speciali, ossia:
20 01 01 –carta e cartone
20 01 08 – rifiuti biodegradabili di mense e cucine
20 01 25 – oli e grassi commestibili
20 03 04 – fanghi da fosse settiche
20 03 06 – rifiuti da pulizia delle fognature
Tali codici possono essere utilizzati anche per l’iscrizione in categoria 5 qualora tale categoria ricomprenda anche i rifiuti speciali non pericolosi così come regolamentato dal comma 7 dell’art. 212 del d.lgs. 152/06 e s.m.i.
Viene infine disposta l’abrogazione delle circolari rispettivamente del 22 dicembre 1999 e del 15 dicembre del 2000.
Allegato: Circolare 24 gennaio 2012 prot. 0095
Sistri: proroga al 30.6.2012?
Sistri: proroga al 30.6.2012?
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
La tormentata storia della operatività (ad oggi al 2.4.2012) del Sistri continua.
Il DL n. 216/2011 (29.12.2012) – che aveva rinviato la operatività del Sistri al 2.4.2012 – è in corso di conversione (entro il 29.2.2012).
A breve ne conosceremo l’esito ma già si anticipa che la legge di conversione potrebbe contenere la ulteriore proroga della operatività Sistri al 30.6.2012.
Il testo del DL è stato modificato dal Senato e consegnato alla lettura della Camera in data 16.2.2012.
Utile ricordare parte del percorso “normativo”:
1) OPERATIVITA’ SISTRI AL 9.2.2012
Con Legge del 14 settembre 2011 n. 148 veniva fissata la data per la operatività del Sistri al 9.2.2012 (conversione del DL 138/2011 art. 6 comma 2).
Il Legislatore esprimeva nel testo la necessita’ di garantire un adeguato periodo transitorio per
1) consentire la progressiva entrata in operativita’ del Sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI), nonche’
2) l’efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI.
2) OPERATIVITA’ SISTRI AL 2.4.2012
Qualche mese (dicembre 2011) dopo, il Governo interveniva con Decreto Legge cosidetto “milleproroghe” – DL n. 216/2011 art. 13 comma 3 (in vigore dal 29.12.2011)- e “prorogava l’inizio della operatività del SISTRI al 2.4.2012 e cosi prevedeva:
“3. All’articolo 6, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, le parole: “9 febbraio 2012” sono sostituite dalle seguenti: “2 aprile 2012.”
3) OPERATIVITA’ SISTRI AL 30.6.2012
Ebbene con Atto del senato n. 3124 approvato il 15.2.2012 l’inizio della operatività Sistri sembra rinviata al 30.6.2012.
L’atto del Senato così si esprime:
“al comma 3, le parole: «2 aprile 2012» sono sostituite dalle seguenti: «30 giugno 2012»
e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi:
«A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per la gestione del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), la competente Direzione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare può avvalersi dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale per lo svolgimento di tutte le attività diverse da quelle individuate dal contratto in essere avente ad oggetto la fornitura del relativo sistema informatico e la gestione del relativo sito internet. A decorrere dal medesimo termine, ogni sei mesi il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare trasmette alle Camere una relazione sullo stato di attuazione del SISTRI. A quest’ultimo fine, per quanto attiene alla verifica del funzionamento tecnico del sistema, la competente Direzione del Ministero può avvalersi di DigitPA, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;
La parola ora alla Camera.
Schema art. 2 L. 241/1990
(2) Silenzio della P.A.? nuovi rimedi dal DL n. 5/2012
Schema – Art.1 DL n. 5/2012 e art. 2 L. 241/1990
a cura di avv. Cinzia Silvestri
Di seguito schema dell’art. 2 L. 241/1990 come modificato dal DL. 5/2012.
Si rimanda alla lettura del breve commento su questo sito.
L. n. 241/1990
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DL n. 5/2012 vigente al 10.2.2012 |
Art. 2 Conclusione del procedimento
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1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. 2. Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni. 3. Con uno o piu’ decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri competenti e di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa, sono individuati i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini non superiori a novanta giorni entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza 4. Nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilita’ dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessita’ del procedimento, sono indispensabili termini superiori a novanta giorni per la conclusione dei procedimenti di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, i decreti di cui al comma 3 sono adottati su proposta anche dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e per la semplificazione normativa e previa deliberazione del Consiglio dei ministri. I termini ivi previsti non possono comunque superare i centottanta giorni, con la sola esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l’immigrazione. 5. Fatto salvo quanto previsto da specifiche disposizioni normative, le autorita’ di garanzia e di vigilanza disciplinano, in conformita’ ai propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di rispettiva competenza. 6. I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento e’ ad iniziativa di parte. 7. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 17, i termini di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo possono essere sospesi, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, per l’acquisizione di informazioni o di certificazioni relative a fatti, stati o qualita’ non attestati in documenti gia’ in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2. |
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8. La tutela in materia di silenzio dell’amministrazione e’ disciplinata dal codice del processo amministrativo. |
8. La tutela in materia di silenzio dell’amministrazione e’ disciplinata dal codice del processo amministrativo. Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti. |
9. La mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilita’ dirigenziale. |
9. La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonche’ di responsabilita’ disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente. |
9-bis. L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di piu’ elevato livello presente nell’amministrazione. |
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9-ter. Decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il privato puo’ rivolgersi al responsabile di cui al comma 9-bis perche’, entro un termine pari alla meta’ di quello originariamente previsto, concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario. |
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9-quater. Il responsabile individuato ai sensi del comma 9-bis, entro il 30 gennaio di ogni anno, comunica all’organo di governo, i procedimenti, suddivisi per tipologia e strutture amministrative competenti, nei quali non e’ stato rispettato il termine di conclusione previsti dalla legge o dai regolamenti. Le Amministrazioni provvedono all’attuazione del presente comma, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. |
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9-quinquies. Nei provvedimenti rilasciati in ritardo su istanza di parte e’ espressamente indicato il termine previsto dalla legge o dai regolamenti di cui all’articolo 2 e quello effettivamente impiegato. |
Silenzio della P.A.? nuovi rimedi dal DL n. 5/2012
(1) Silenzio della P.A.? nuovi rimedi dal DL n. 5/2012
Art.1 DL n. 5/2012 (semplificazioni e sviluppo) e art. 2 L. 241/1990 (conclusione procedimento)
a cura di avv. Cinzia Silvestri
Il Dl n. 5/2012 all’art. 1 modifica e sostituisce i commi 8 e 9 dell’art. 2 L. 241/1990 ed aggiunge i commi da 9bis a 9-quinquies.
L’articolo 2 della L. 241/1990 ha subito già dal 2005 numerosi interventi legislativi di modifica (L. n. 15/2005, 80/2005, 69/2009, Dlgs. 104/2010).
Con tecnica “legislativa” ormai in uso, il Governo chiude l’art. 1 del Decreto Legge n. 5/2012 con il comma 2 che prevede la non applicazione dell’art. 2 L. 241/1990 in quanto normati da leggi speciali a:
1) procedimenti tributari
2) procedimenti in materia di giochi pubblici
Dunque il comune lettore (cittadino) non troverà tale esclusione nell’art. 2 della Legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990) a completamento della disciplina e per chiarezza espositiva; ma dovrà conoscere il comma 2 dell’art. 1 del DL n. 5/2012!
Giova sempre ribadire che si tratta, ancora, di DL soggetto a Legge di conversione e dunque il testo può essere modificato.
Conclusione del procedimento: L. n. 241/1990 art. 2
L’art. 2 della L. 241/1990 impone alla amministrazione:
1) obbligo di concludere il procedimento con provvedimento espresso
2) termine di 30 giorni, ove non espressamente specificato
I commi da 1 a 7 precisano e articolano diversi tempi di conclusione a seconda del procedimento.
SILENZIO DELLA PA
Per tutti coloro che operano con la PA è noto come il silenzio della PA sia un vero e proprio problema, sempre giustificato o giustificabile, e che il processo amministrativo in sede giudiziaria (TAR) che si apre per ottenere la “risposta” dovuta, onera sempre il cittadino di costi e tempi tali da defaticare l’azione stessa.
Forse questo è l’intento.
Il Governo sembra voler operare un controllo :
a) a posteriori e sceglie la Corte dei conti quale controllore. Ed invero il ritardo/inadempimento crea costi anche alla amministrazione.
b) Preventivo: attuando un meccanismo di sostituzione alla inerzia e di responsabilità per coloro che tardano alla emissione del provvedimento finale.
CORTE DEI CONTI
IL GOVERNO dunque prevede, modificando il comma 8 dell’art. 2 L. 241/1990 che “Le sentenze passate in giudicato che accolgono il ricorso proposto avverso il silenzio inadempimento dell’amministrazione sono trasmesse, in via telematica, alla Corte dei conti.
RESPONSABILITA’
Non più solo la MANCATA emanazione del provvedimento costituisce elemento di Valutazione di responsabilità ma anche la TARDIVA emanazione dello stesso permette la valutazione anche disciplinare.
Il Governo allarga le maglie dei soggetti responsabili e richiama ipotesi di responsabilità disciplinare; passa dalla “valutazione della responsabilità dirigenziale” a:
“…La mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione
1) della performance individuale, nonche’
2) di responsabilita’ disciplinare e amministrativo-contabile
del dirigente e del funzionario inadempiente.
POTERE SOSTITUTIVO IN CASO DI INERZIA
Il cittadino dunque dovrà trovare all’interno della amministrazione il soggetto a cui fare riferimento in caso di inerzia del soggetto preposto al procedimento disatteso.
L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure
apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere
sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione
il potere sostitutivo si considera attribuito al
1) dirigente generale o, in mancanza,
2) al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza
3) al funzionario di piu’ elevato livello presente nell’amministrazione.
Termine di conclusione
Il dirigente individuato in sostituzione dovrà concludere il procedimento entro 15 giorni o altro dimezzato termine (con riferimento a quello richiesto dalla legge).
Autorizzazione unica ambientale?
Autorizzazione Unica Ambientale?
Il Governo rinvia ad agosto 2012 – DL n. 5/2012 art. 23
a cura di avv. Cinzia Silvestri
Il Governo ribadisce l’ intento di semplificare e ridurre gli oneri per le PMI (piccole e medie imprese) e promette l’autorizzazione unica, che invoglia le imprese e le nutre di speranza.
Si deve precisare che si tratta di un Decreto Legge soggetto a Legge di conversione e che dunque potrebbe subire nel tempo rilevanti modifiche.
Ebbene il Governo promette e precisa:
1)Autorizzazione integrata ambientale: le novità non incidono sulla AIA disciplinata dagli articoli 29 bis e ss. del Dlgs. N. 152/2006 ” ..Ferme restando le disposizioni in materia di autorizzazione integrata ambientale di cui al titolo 3-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152″
2) Oneri amministrativi: il governo richiama il DL n. 112/2008 art. 25 convertito con L.133/2008 precisando che la semplificazione avviene “anche” con riferimento agli oneri amministrativi …già disciplinati. La lettura del testo del 2008, richiamato dal governo, sorprende per la sua attualità trattandosi di DL che conferma gli stessi scopi e fini di quello attualmente in vigenza. DL del 2008 che intitolava l’ art. 25 “tagli oneri spese” ed e’ stato firmato da Napolitano, Berlusconi, Tremonti, Brunetta, ecc… ; precisa così il testo in commento: “…anche sulla base dei risultati delle attivita’di misurazione degli oneri amministrativi di cui all’articolo 25 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6agosto 2008, n. 133
3) REGOLAMENTO: dopo le premesse di rito, il Governo non disciplina ma promette futuro regolamento, con DPR, su proposta principalmente del Ministro Clini ( pensando che la proposta avvenga nella durata di questo Governo). Il richiamo alla Conferenza Unificata evoca, purtroppo, al lettore tempi poco compatibili con l’urgenza suggerita dal DL. Desta interesse inciso, frutto certo della confusione che ormai regna, in cui il Governo autorizza se stesso alla ….emanazione. Scrive, dunque, testualmente il Governo: “Governo e’ autorizzato emanare un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela territorio e del mare, del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e del Ministro dello sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281″
4) FINALITÀ‘: il REGOLAMENTO e’ volto a disciplinare l’autorizzazione unica ambientale e a semplificare gli adempimenti amministrativi delle piccole e medie imprese. Il preambolo racchiude, tra le molteplici righe, l’ intento del Governo espresso in poche e chiare parole.
5) PRINCIPI E CRITERI DIRETTIVI: il Regolamento dovrà seguire il solco tracciato dalla L. 59/1997 che, agli articoli 20 e seguenti, indica alcune linee guida per operare la semplificazione. Il riferimento alla L. 59/1997 vale approfondimento in separato commento; all’ epoca (1997) correttamente il Parlamento (legge) delegava il Governo ad emanare decreti legislativi….
6)PROPOSITI: il Governo entra nel merito della sua futura azione indicando i buoni propositi ed evocando quella semplicità auspicata e mai realizzata. Ed invero le parole chiave sono concentrate nella ” sostituzione, unico ente, proporzionalità, dimensione impresa, oneri a carico impresa”. In particolare e testualmente il governo indica:
a) l’autorizzazione sostituisce ogni atto di comunicazione,
notifica ed autorizzazione previsto dalla legislazione vigente in
materia ambientale;
b) l’autorizzazione unica ambientale e’ rilasciata da un unico
ente;
c) il procedimento deve essere improntato al principio di
proporzionalita’ degli adempimenti amministrativi in relazione alla
dimensione dell’impresa e al settore di attivita’, nonche’
all’esigenza di tutela degli interessi pubblici e non dovra’
comportare l’introduzione di maggiori oneri a carico delle imprese.
6) TEMPI: quanto tempo per emanare questo Regolamento? 6 mesi dalla data della entrata in vigore del presente DL ovvero entro il 10 agosto 2012?
Si chiude, infine, l’articolo 23 con precisazione:”… e dalla data di entrata in vigore del medesimo regolamento sono identificate le
norme, anche di legge, regolatrici dei relativi procedimenti che sono
abrogate dalla data di entrata in vigore del medesimo regolamento. “.
Semplificazioni: DL n. 5/2012 è vigente
Semplificazioni: DL n. 5/2012 è vigente
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Prosegue la maratona “legislativa” (rectius governativa) a suon di Decreti Legge.
Dopo il DL n. 1/2012 sulle Liberalizzazioni, il DL n. 2/2012 sull’Ambiente, la L. n. 3/2012 (sovraindebitamento), il DPR n. 227/2012 (semplificazioni acqua e rumore) arriva l’atteso decreto sulle semplificazioni che dovrebbe allegerire il carico degli adempimenti anche ambientali sin dal 10.2.2012.
Lo Studio Legale Ambiente offre alla lettura il Decreto legge segnalando gli articoli 23 e 24 in materia di semplificazioni ambientali e riservandosi il commento in altra comunicazione.
Rumore: DPR 227/2011 – semplificazioni
Rumore : DPR 227/2011 – semplificazioni (1)
Vigenza al 18.2.2012
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Lo Studio Legale Ambiente aveva già anticipato le novità oggi approdate con modifica nel provvedimento del Presidente della Repubblica (cfr. articolo del 10.7.2011 “Acque e rumore: semplificazioni amministrative” su questo sito).
Può essere utile parafrasare l’art. 4 del DPR; unico articolo che si occupa della semplificazione della documentazione di impatto acustico e che entrarà in vigore il 18.2.2012.
A dire il vero la semplificazione appare “contenuta” e si concreta, per lo più, nell’uso dell’atto di notorietà ovvero nella dichiarazione sostituitiva dell’esercente che attesta la propria condizione ed il livello del rumore sotto la sua personale responsabilità.
Il richiamo inoltre alla documentazione di cui all’art. 8 L. 447/95 lascia perplessi . L’art. 8 impone la documentazione con riferimento a precisi ambiti di applicazione (VIA, richiesta di comuni, concessioni edilizia) mentre il richiamo operato dall’art. 4 in commento sembra prescindere dal contesto applicativo.
In particolare:
1) ESCLUSIONI: Il Regolamento esclude “dall’obbligo di presentare la documentazione di cui all’articolo 8, commi 2, 3 e 4, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, le attivita’ a bassa rumorosita’ elencate nell’Allegato B”.
Ed invero l’”attività alberghiera” o una “palestra” (elenco B) viene considerata a “bassa rumorosità” e dunque non più tenuta a presentare la documentazione indicata nell’art. 8 L. n. 447/1995.
Si pensi al comma 4 dell’art.8 (impatto acustico) che prevedeva anche per le attività sportive il deposito di documento di “previsione di impatto acustico”.
2) ECCEZIONI: Prosegue il Regolamento ponendo “eccezione” e dunque obbligo di documentazione laddove si utilizzino impianti di diffusione sonora ovvero:
“….fatta eccezione per l’esercizio di ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, mense, attivita’ ricreative, agroturistiche, culturali e di spettacolo, sale da gioco, palestre, stabilimenti balneari che utilizzino impianti di diffusione sonora ovvero svolgano manifestazioni ed eventi con diffusione di musica o utilizzo di strumenti musicali.
Dunque la “palestra” gode della semplificazione amministrativa solo se non utilizza impianti di diffusione sonora!
3) PREVISIONE DI IMPATTO ACUSTICO: “…In tali casi e’ fatto obbligo di predisporre adeguata documentazione di previsione di impatto acustico ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge 26 ottobre 1995, n. 447. Resta ferma la facolta’ di fare ricorso alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorieta’ di cui all’articolo 8, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, ove non vengano superati i limiti di emissione di rumore di cui al comma 2.
Il richiamo all’art. 8 comma 2 della L. 447/95 evoca documentazione di “impatto acustico” richiesta dai comuni o nell’ambito addirittura della procedura di VIA.
In pratica la “palestra” che organizza evento con diffusione di musica è tenuta a presentare la documentazione di “impatto acustico”.
Continua il Regolamento richiamando invero il successivo comma 2 dell’art. 4 in commento e precisa che 1) se non vengono superati i limiti di emissione di cui al piano di classificazione comunale o 2) del DPCM 1991 (se non adottato il piano) allora la “palestra” (ad esempio) può usufruire della dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 8 comma 5 L. 447/95.
Il richiamo all’art. 8 comma 5 impone la verifica dei criteri indicati dalla Regione (art. 4 co. 1 lett. l) L. 447/95) per la redazione della documentazione di cui all’art. 8 commi 2,3,4 con le modalità DPR 445/2000 (che ha abrogato la L. 15/68).
4) ATTIVITA’/emissioni NON superiori:
Le attività ritenute a “bassa rumorosità” seguono la disciplina di cui al comma 1 dell’art. 4.
Il Regolamento permette di escludere la documentazione ex art. 8 L. 447/1995 e di sostituirla con dichiarazione di atto di notorietà a quelle attività
- diverse da quelle indicate nel comma 1
- le cui emissioni di rumore non siano superiori ai limiti stabiliti dal documento di classificazione acustica del territorio comunale di riferimento ovvero,
- ove questo non sia stato adottato, ai limiti individuati dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 novembre 1997, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 1° dicembre 1997, 3.
ATTIVITA’ emissioni superiori.
Il DPR, al comma 3, precisa in merito a quelle attività che invece presentano (comportano) emissioni di rumore superiori ai limiti stabiliti dal documento di classificazione acustica comunale o se questo non è stato adottato alla legge di riferimento DPCM 1997.
Se le emissioni sono oltre il limite:
A)“è fatto obbligo di presentare la documentazione prevista dall’art. 8 comma 6 del L. 447/95” ovvero l’indicazione delle misure previste per ridurre o eliminare le emissioni sonore causate dall’attività e dagli impianti.
b) la documentazione deve essere predisposta da tecnico competente in acustica.
Modello "231": quali responsabilità?
Modello “231” – Responsabilità dell’Ente /Società: un chiarimento
Nota a sent. Cass. pen. Sez. VI, Sent. del 16-07-2010, n. 27735
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La sentenza della Cassazione penale n. 27735/2010 precisa la natura della responsabilità della Società.
Con chiarezza espositiva riassume l’orientamento maggioritario e declina i passaggi fondamentali della disciplina.
Si riporta tra “virgolette” il testo della sentenza che esprime i passaggi logici e giuridici che permettono l’attribuzione di responsabilità alla Società, precisando anche in merito all’onere probatorio.
Di interesse il passaggio che riguarda l’adozione del Modello “231”; ovvero del modello organizzativo volto a prevenire la commissione dell’illecito da parte delle persone apicali (e non apicali) della Società.
Qualora l’accusa (PM) provi la commissione dell’illecito della persona fisica (es. dirigente) nell’interesse (ad esempio) della Società accade che la stessa sia responsabile per non aver adottato tutti quegli accorgimenti necessari ad evitare l’evento e dunque sia colpevole nella sua “dis-organizzazione” e tenuta a rispondere in proprio dell’illecito, a mezzo del pagamento della somma statuita dal Giudice.
La non obbligatorietà/non adozione del Modello “231” si traduce nella:
1)perdita di prova liberatoria;
2) colpa in “organizzazione”.
La Cassazione dribla il dogma della responsabilità oggettiva che… incombe.
In particolare:
1) RESPONSABILITA’ PROPRIA DELLA SOCIETA’
La Cassazione precisa la natura propria della responsabilità che si fonda nel rapporto di immedesimazione organica. Ciò permette che la società risponda di fatto commesso da altro soggetto.
“Il fatto – reato commesso dal soggetto inserito nella compagine della societas, in vista del perseguimento dell’interesse o del vantaggio di questa, è qualificabile come “proprio” anche della persona giuridica, e ciò in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega il primo alla seconda: la persona fisica che opera nell’ambito delle sue competenze societarie, nell’interesse dell’ente, agisce come organo e non come soggetto da questo distinto; nè la degenerazione di tale attività funzionale in illecito penale è di ostacolo all’ immedesimazione.
2) TERTIUM GENUS
“Il D.Lgs. n. 231 del 2001 ha introdotto un tertium genus di responsabilità rispetto ai sistemi tradizionali di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un’autonoma responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei reati espressamente elencati nella sezione 3^ da parte un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto-reato “è fatto della società, di cui essa deve rispondere“.
Conclusivamente, in forza del citato rapporto di immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l’ente risponde per fatto proprio, senza coinvolgere il principio costituzionale del divieto di responsabilità penale per fatto altrui (art. 27 Cost.).
3) RESPONSABILITA’ OGGETTIVA
“Nè il D.Lgs. n. 231 delinea un’ipotesi di responsabilità oggettiva, prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo”.
4) ONERE DI PROVA
“Grava sull’Accusa l’onere di dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell’interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende “per rimbalzo” dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo.
5) MODELLO 231 – EFFETTO LIBERATORIO
“Militano, inoltre, a favore dell’ente, con effetti liberatori, le previsioni probatorie di segno contrario di cui al D.Lgs. n. 231, art. 6, e, specificamente, l’onere per l’ente di provare, per contrastare gli elementi di accusa a suo carico, “che l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi” (art. 6, lett. a) e che, sulla base di tale presupposto, ricorrono le altre previsioni elencate nelle successive lettere del citato art. 6.
Nessuna inversione dell’onere della prova è, pertanto, ravvisabile nella disciplina che regola la responsabilità da reato dell’ente, gravando comunque sull’Accusa l’onere di dimostrare la commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.Lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente. Quest’ultimo ha ampia facoltà di fornire prova liberatoria.
SERVIZI PUBBLICI LOCALI E CONCORRENZA
SERVIZI PUBBLICI LOCALI: art. 25 DL n. 1/2012
(Liberalizzazioni – concorrenza del Servizio)
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Lo Studio Legale Ambiente offre breve scheda delle novità introdotte dall’Art. 25 DL. 1/2012 ancora in fase di conversione.
ARTICOLO 25 – Promozione della concorrenza nei servizi pubblici locali
L’articolo introduce una serie di disposizioni a carattere generale in riferimento alla disciplina dei servizi pubblici locali finalizzate ad incentivare, ma anche imporre, una gestione concorrenziale di tali servizi.
Tra di queste si citano le seguenti:
- viene imposto alle Regioni, a tutela della concorrenza e dell’ambiente come principi generali dell’ordinamento nazionale, di organizzare entro il 30 giugno 2012 lo svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali di dimensioni comunque non inferiori al territorio provinciale e tali da consentire economie di scala e massimizzazione dell’efficienza del servizio. Decorso tale termine, il Governo può subentrare all’ente locale nell’ambito dell’organizzazione del servizio pubblico locale;
- a decorrere dal 2013 l’affidamento di servizi pubblici in base a procedure ad evidenza pubblica costituisce elemento di valutazione nell’ambito dei parametri di virtuosità di cui al patto di stabilità interno e ai sensi dell’art. 20 D.L. 98/2011;
- viene introdotto il criterio di attribuzione prioritaria di eventuali risorse pubbliche statali in favore degli enti di governo ovvero direttamente in favore dei gestori negli ambiti ottimali in cui vi siano state procedure ad evidenza pubblica di selezione del gestore;
- previsione dell’assoggettamento delle società in house e delle aziende speciali al patto di stabilità interno (modalità da definire con successivo D.M.) e obbligo di acquisizione di beni e servizi in base alla normativa sugli appalti pubblici (D.Lgs. 163/2006).
In aggiunta l’articolo integra l’attuale disciplina dei servizi pubblici locali, di cui all’articolo 4 del D.L. 138/2011, prevedendo:
- l’obbligatorietà del parere preventivo da richiedere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini dell’adozione, da parte dell’ente locale, della delibera di verifica della realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
- l’abbassamento della soglia di cui al comma 13 dell’articolo 4 del D.L. 138/2011 che per i servizi con valore inferiore a 900.000 euro consentiva, in deroga alla procedura ad evidenza pubblica, l’affidamento diretto. Tale soglia è ridotta a 200.000;
- ulteriori modifiche al regime transitorio di cui al comma 32 dell’articolo 4 del D.L 138/2011 prevedendo la cessione degli affidamenti diretti non conformi alla nuova disciplina entro la data del 31 dicembre 2012 anziché quella prevista del 31 marzo 2012 ed entro il 31 marzo 2013 per le gestioni affidate a società a partecipazione mista pubblica e privata di cui alla lettera b) del comma 32 dell’articolo 4 del D.L 138/2011. Viene inoltre prevista un’ulteriore deroga alla regola generale del ricorso alla gara prevedendo che la gestione di un servizio affidato in house può essere consentita per un periodo massimo di 3 anni solo nel caso in cui l’azienda affidataria del servizio, comporti, come esito di fusione aziendale, un processo di riduzione del numero di aziende dirette presenti nell’ambito ottimale di riferimento;
- l’inclusione del trasporto ferroviario regionale tra i servizi pubblici locali oggetto di riforma, sottoponendolo quindi tale settore alle procedure di affidamento basate sulla scelta del soggetto affidatario in base a gara e prevedendo un apposito regime transitorio che fa salvi, fino alla scadenza naturale dei primi sei anni di validità, gli affidamenti e i contratti già deliberati o sottoscritti in conformità sia del Regolamento CE 1370/2007 che dell’articolo 61 della legge 99/2009;
- previsione di specifici obblighi di natura informativa in capo ai concessionari e agli affidatari di servizi pubblici locali che sono tenuti a fornire, a seguito di specifica richiesta, agli enti locali, che devono bandire una gara per l’affidamento del servizio già esercitato dai concessionari e affidatari stessi, i dati concernenti le caratteristiche tecniche degli impianti e delle infrastrutture, il loro valore contabile iniziale, le rivalutazioni e gli ammortamenti e ogni altra informazione utile per la definizione dei bandi di gara. Qualora i concessionari e gli affidatari diano le suddette informazioni oltre il termine di 60 giorni dalla richiesta o diano informazioni false, il prefetto, su richiesta dell’ente locale, irroga una sanzione stabilita da minimo di euro 5.000 ad un massimo di euro 500.000.
Rumore : reato solo se “diffuso”
Rumore : reato solo se “diffuso” (art. 659 comma 1)
Cassazione penale del 14.12.2011 n. 270
a Cura di avv. Cinzia Silvestri
La Cassazione penale precisa l’ambito di applicazione della fattispecie di cui al comma 659 comma 1 c.p. che richiede il disturbo ad un numero indeterminato e diffuso di soggetti.
Se il disturbo è arrecato a persone determinate quali ad esempio ad un solo nucleo familiare di un appartamento o ad alcuni soggetti precisati allora il fatto rumoroso può costituire semmai illecito civile.
Dunque.
Il caso attiene al disturbo arrecato dal condizionatore d’aria di una gioielleria.
La Corte esclude innanzitutto che la gioielleria possa essere inclusa tra le attività “rumorose (esercizio della professione o di un mestiere rumoroso) ex art. 659 comma 2 c.p..
La persona offesa si costituiva parte civile e venivano assunti testi.
Senonchè la Corte nel caso di specie non rinviene gli elementi costitutivi del reato di cui al primo comma dell’art. 659 c.p.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente rilevanti “…debbono incidere sulla tranquillità pubblica – essendo l’interesse ..tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillità .. della pubblica quiete, la quale implica,.. l’assenza di cause di disturbo per la generalità dei consociati.”
Il disturbo deve avere “…potenzialità diffusa …. potenzialità di essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare”.
Prosegue la Cassazione: “ Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo,come nel caso di specie, ai soli occupanti di un appartamento, all’interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, sicchè un fatto del genere può costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile” .
Legge n. 3/2012: sovraindebitamento
Sovraindebitamento ed usura: LEGGE 27 gennaio 2012, n. 3
Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonche’ di composizione delle crisi da sovraindebitamento(GU n.24 del 30-1-2012 )Entrata in vigore del provvedimento: 29/02/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Studio Legale Ambiente offre lettura del testo della L. n. 3/2012.
Dopo il DL n. 1/2012 (Liberalizzazioni) e il DL 2/2012 (Ambiente) si aggiunge la L. n. 3/2012 vigente al prossimo 29.2.2012.
La legge evoca due provvedimenti, già dibattuti, della usura e del sovraindebitamento (DL 212/2011, cosidetto “salva imprese, il cui testo è pubblicato su questo sito ).
La parte dedicata al “sovraindebitamento” delude le categorie ad oggi in difficoltà a fronte dei mancati e ritardati pagamenti, spesso ed anche, delle pubbliche amministrazioni (es. appalti); delude proprio coloro che non possono accedere alla procedura e che rimangono comunque esposti al fallimento a causa del comportamento di coloro che posticipano i pagamenti ad un anno, e più ,e creano una catena di insolvenza .
Matrici da riporto/sottoprodotto: DL n. 2/2012
(1) “Matrici da riporto”: art. 3 DL n. 2/2012 – Cosa sono?
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La tecnica legislativa usata per formulare il concetto espresso nell’art. 39 comma 2 Dlgs. 205/2010 impone una vera e propria “gimkana” tra le norme ed i testi legislativi.
Il concetto suggerito dall’art. 3 DL 2/2012 è, a dire il vero, semplice: i materiali di riporto per essere considerati sottoprodotti ed esclusi dal novero dei rifiuti devono passare il vaglio dell’asse normativo che impone la verifica della natura di “non rifiuto/sottoprodotto/cessazione della natura di rifiuto” ; i criteri e le condizioni saranno indicati nel DM non ancora emanato e già previsto in materia di sottoprodotti”.
Dunque il DM (già previsto dall’art. 184 bis) e non ancora esistente è l’attore principale e l’anello mancante della catena.
La tecnica legislativa che rimanda la definizione di criteri (qualitativi e quantitativi) a strumenti attuativi e tecnici (DM) è nota, ma certo non aiuta in chiarezza.
Di fatto, stante la mancanza del DM, la disposizione dell’art. 39 comma 2 Dlgs. 205/2010 come riformato dal DL n. 2/2012, è senza effetto!
Vero è che la lettura dell’art. 39 è utile esecizio di pazienza imposto al lettore il quale è costretto a percorrere l’intricata normativa che richiama norme che richiamano altre norme: percorso che si affronta spesso, come in questo caso, per giungere al …nulla.
Art. 39 Dlgs. 205/2010
L’art. 39 non è inserito nel TU ambientale (Dlgs. 152/2006) e ruota “come un satellite” attorno al testo Unico.
Il Governo richiama con il DL n. 2/2012 (vigente al 25.1.2012) l’art. 39 comma 4 aggiungendo dopo il primo periodo la novella.
Il comma 4 dell’art. 39, come modificato dal DL n. 2/2012, risulta ad oggi riscritto:
“4. Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2, e’ abrogato l’articolo 186 . “Con il medesimo decreto sono stabilite le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.».
Non basta riesumare l’art. 39 comma 4.
L’art. 39 comma 4 richiama il DM di cui all’art. 184bis comma 2 Dlgs. 152/2006.
Decreto Ministeriale che porterà:
1) alla abrogazione dell’art. 186 (terre e rocce da scavo).
2) Stabilirà le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.».
Art. 184 bis comma 2 Dlgs. 152/2006
DUNQUE l’art.184 bis[1] comma 2 (sottoprodotto) del Dlgs. 152/2006 (creazione del Dlgs. 205/2010) testualmente recita:
“2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinche’ specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o piu’ decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformita’ a quanto previsto dalla disciplina comunitaria .
Art. 185 comma 4 Dlgs. 152/2006
Si approda dunque alla costuzione logica di una intera frase compiuta ovvero :
Il decreto Ministeriale – che dal 25.12.2010 continua a non esistere – può contenere le condizioni alle quali le matrici di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.».
Dunque il legislatore (rectius Governo) impone riferimento al complesso ed avversato art. 185 in materia di esclusioni che recita al comma 4: “..Il suolo escavato non contaminato e altro materiale allo stato naturale, utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati, devono essere valutati ai sensi, nell’ordine, degli articoli 183, comma 1, lettera a), 184-bis e 184-ter.
La frase di senso compiuto al quale giunge il lettore sembra essere:
Il DM che verrà emanato e relativo a indicare i criteri per determinare o meno la natura di sottoprodotto di certe materie conterra’ anche le condizioni alle quali le matrici di riporto di cui all’art. 185 comma 4 Dlgs. 152/2006 saranno sottoprodotti.
Matrici di riporto
Scrive il Governo nel preambolo del DL “…chiarendo in particolare che nel più ampio concetto di terreno, suolo e sottosuolo deve intendersi ricompera la matrice ambientale “materiale da riporto”..”
Giova precisare che il termine “matrici di riporto” è nuovo ed evoca un linguaggio pratico più che giuridico; linguaggio semmai usato in materia di “bonifiche” nell’allegato 2 al titolo V (criteri generali per la caratterizzazione dei siti contaminati”). In quel contesto (bonifiche) il legislatore si esprime richiamando le “matrici del suolo e sottosuolo e materiali di riporto”. La matrice è quella “ambientale” dal contenuto esteso ed il “materiale di riporto” non trova definizione specifica nel Dlgs. 152/2006.
La lettura dell’art. 39 sembra invero precisare, persino, il contenuto della “matrice di riporto” con riferimento all’art. 185 in:
1) suolo escavato non contaminato e
2) altro materiale allo stato naturale,
utilizzati in siti diversi da quelli in cui sono stati escavati.
Vero è che, a prescindere dal linguaggio usato, le “matrici”, come individuate dal Governo, per essere escluse dal novero dei rifiuti richiedevano ex art. 185 di essere valutate alla luce del triplice combinato disposto di cui agli articoli
1) 183, comma 1, lettera a): “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi;
2) 184-bis (sottoprodotto) e
3) 184-ter (cessazione dalla qualifica di rifiuto)
Dunque le matrici (materiali) di riporto (cosidette) già escluse dal novero dei rifiuti attraverso il vaglio degli articoli che impongono l’ardua verifica del passaggio nonrifiuto-sottoprodotto-cessazionerifiuto (183,184 bis e ter) richiedono, sembra, anche la verifica delle condizioni di cui al DM che …verrà.
Per esprimere questo concetto e con riferimento ad un oggetto preciso (suolo escavato, altro materiale utilizzato in sito diverso) il Governo ha prodotto norma di difficile lettura, dal travagliato percorso normativo.
Ambiente: DL n. 2/2012 e' vigente
E’stato pubblicato in gazzetta ufficiale il DL n. 2/2012 sulla emergenza ambientale
Continua la produzione normativa del Governo che ci allieta della pubblicazione ed entrata in vigore di alcune disposizioni dedicate all’ambiente.
StudioLegale Ambiente farà seguire alcuni commenti sul testo.
Impianti fotovoltaici e DL n. 1/2012
Impianti Fotovoltaici – DL n. 1/2012 art. 65
Focus: Impianti fotovoltaici in ambito agricolo
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Molte le novità contenute nel DL n. 1/2012 al quale si rimanda per la lettura completa (il testo è pubblicato su questo sito con precedente news).
Di interesse alcune novità sul dibattuto tema degli impianti fotovoltaici su terre agricole; tema affrontato dall’art. 65 del DL n. 1/2012.
Incentivi statali esclusi
L’articolo esclude – dalla data di entrata in vigore del presente decreto (25.1.2012) – gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, dall’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.
Progetti ed esercizio/vigenza DL
Il comma 2 fa salvi i progetti che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Impianti su serre
Il comma 3 equipara in termini di incentivo gli impianti fotovoltaici costruiti su serre a quelli su edifici a condizione che le serre presentino un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati e la superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 50%.
Limite 1MW
Viene inoltre prevista l’abrogazione dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 10 del D.Lgs n. 28, ossia del limite di 1 MW imposto agli impianti a terra sui terreni agricoli.
In particolare:
“Art. 65 Impianti fotovoltaici in ambito agricolo
1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, non e’ consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.
2. Il comma 1 non si applica agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro la medesima data, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Detti impianti debbono comunque rispettare le condizioni di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.
3. Agli impianti i cui moduli costituiscono elementi costruttivi di serre cosi’ come definite dall’articolo 20, comma 5 del decreto ministeriale 6 agosto 2010, si applica la tariffa prevista per gli impianti fotovoltaici realizzati su edifici. Al fine di garantire la coltivazione sottostante, le serre – a seguito dell’intervento – devono presentare un rapporto tra la proiezione al suolo della superficie totale dei moduli fotovoltaici installati sulla serra e la superficie totale della copertura della serra stessa non superiore al 50%.
4. I commi 4, 5 e 6 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 sono abrogati, fatto salvo quanto disposto dall’ultimo periodo del comma 2.”
Liberalizzazioni: DL 1/2012 è vigente
Liberalizzazioni: DL. 24.1.2012 n. 1 – è vigente
A cura di avv. Cinzia Silvestri
E’ stato pubblicato ed è vigente dal 25.1.2012 il DL sulle “liberalizzazioni”.
In realtà il DL contiene numerose disposizioni finalizzate a scopi di “produttività”.
Principio di precauzione – TAR FVG
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE – TAR FVG n. 560/2011
Cementificio – Aia – autorizzazione – modifiche sostanziali – impugnazione – principio di precauzione
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
PRINCIPIO DI PRECAUZIONE AMBIENTALE
L’ambiente non può dirsi tutelato solo con l’osservanza del principio “chi inquina paga” se non altro perché il ripristino ambientale non sempre è possibile, dovendosi invece impedire il degrado e l’inquinamento agendo ex ante.
Il D. Lgs. 152/06 stabilisce sul punto che l’azione ambientale debba essere “informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente” oltre che al principio chi inquina paga (art. 3 ter D.Lgs. 150/06).
Il Codice ambientale non definisce tali principi, con il pericolo che essi rimangano inapplicati oppure invocati con l’unico fine di addossare responsabilità non ancorate ad effettive disposizioni normative.
Ebbene la sentenza n. 560 pronunciata dal TAR Friuli il 15.12.2011 contribuisce alla interpretazione proprio del principio di precauzione di cui all’art. 3 ter D.Lgs. 152/06, indicando i confini applicativi spesso abusati o mal compresi.
Il ricorrente, tra le eccezioni e domande sollevate, sosteneva appunto la violazione dell’art. 3 ter T.U.A. per carenza di VIA e perché il materiale utilizzato dal cementificio, in quanto pericoloso, avrebbe potuto potenzialmente mettere a repentaglio la sicurezza degli abitanti anche dei comuni limitrofi e dunque doveva essere negato.
Il TAR rigetta tale doglianza, perchè il principio di precauzione non impone di evitare tutte le attività solo perché potenzialmente pericolose, ma impone una preventiva “accurata e calcolata gestione del rischio” anche se, ed anzi soprattutto, laddove “i dati scientifici non ne consentono una preventiva e completa valutazione”.
Prosegue il Tribunale, affermando che l’osservanza dell’art. 3 ter D. Lgs. 152/06 si accerta verificando l’adozione delle migliori tecniche disponibili e la corretta identificazione del c.d. “livello di esposizione”, cioè la tollerabilità e la concreta possibilità di intervento dei pubblici poteri.
Il Tar impone dunque una previa valutazione non solo del rischio, ma anche delle azioni al fine di fronteggiare il pericolo, nella consapevolezza dei limiti di azione, che vale anche come misura della responsabilità.
Secondo il Tribunale, infatti, la responsabilità giuridica per violazione del principio di precauzione non impone di astenersi dallo svolgere un’attività pericolosa, laddove questa sia autorizzata, ma di adottare “determinate misure di cautela e di studiare e di applicare misure di cautela proporzionate al rischio”.
Il TAR quindi rigettava il ricorso perché l’AIA era stata rilasciata dopo una “lunga e puntigliosa istruttoria” dalla quale si evinceva la serietà dell’esame del pericolo per la salute e per l’ambiente e la conformità del cementificio alla normativa specifica di riferimento, che “si rivela, allo stato, l’unica possibile attestazione relativa all’accertamento della non pericolosità”.
LA SENTENZA
UN COMUNE impugnava il decreto della Regione con cui veniva autorizzata la modifica sostanziale dell’AIA concedendo al Cementificio la richiesta autorizzazione all’utilizzo del combustibile CDR- Q (combustibile da rifiuto di elevata qualità), a parziale sostituzione del pet-coke.
Il Comune declinava il suo interesse nel fatto che il cementificio era collocato a soli 2,5 km di distanza dal proprio centro residenziale. Deduceva in ricorso tra i vari motivi i seguenti motivi:
1) la mancata o insufficiente adozione, nella valutazione della modifica sostanziale richiesta, delle “migliori tecniche disponibili”,
2) la scarsa considerazione per i fenomeni di inquinamento significativi derivanti dalla modifica prospettata, nonchè per la problematica relativa alla produzione di rifiuti, per le modalità di utilizzazione dell’energia prodotta, per prevenire gli incidenti e per il ripristino del sito “post impianto”…..
Con un secondo argomento il Comune afferma che nel progetto presentato non sarebbero state fornite motivate indicazioni sulle misure precauzionali collegate:
a) alla presenza di stoccaggi presso l’impianto di produzione; b) all’adozione delle misure atte ad evitare fenomeni di autocombustione, formazione di miscele esplosive e sviluppo di odori;
c) alle caratteristiche dei mezzi di trasporto e alle modalità di trasferimento all’impianto onde evitare spandimenti accidentali del contenuto ed aumenti di pressione interna per la formazione di gas;
d) alle modalità di controllo del rischio dell’autocombustione e dell’esplosione;
e) alle modalità di controllo del rischio di emissioni di odori molesti.
Il Tar dopo aver analizzato minuziosamente ogni eccezione anche dal punto di vista istruttorio, conclude diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente e rigetta il ricorso rendendo legittima l’autorizzazione rilasciata dalla Regione.
Il TAR ritiene che ai fini del rilascio della autorizzazione, sono state date le indicazioni necessarie sulle misure precauzionali da adottare e che, sostanzialmente, tutti i profili in contestazione con il secondo motivo di ricorso sono stati analizzati e fatti oggetto di specifica valutazione nelle varie conferenze di servizi .
Con un ultimo motivo di censura il Comune asserisce che il provvedimento regionale impugnato si porrebbe in contrasto con il c.d. principio di precauzione di cui all’art. 3 ter, co.3, del D.Lgs.n.152/2006.
Precisa il TAR: “…Anche in questo caso la censura, che parte dall’asserita sussistenza di una serie di presupposti (omessa adozione di un adeguato sistema di monitoraggio e di controllo degli effetti sull’ambiente derivanti dalla combustione di CDR-Q, omesso impiego delle migliori tecniche disponibili, carenza di istruttoria, etc.), dettagliatamente smentiti ai punti che precedono, si rivela palesemente infondata.
Infatti, per la corretta applicazione del principio di precauzione, occorre in pratica che le misure di prevenzione siano adottate in conformità alla migliore tecnica disponibile e che venga esattamente definito il livello di “esposizione”, ossia della misura della tollerabilità dell’inquinamento e del canone di intervento dei pubblici poteri.
In altri termini, il principio di precauzione, non può essere essere invocato come pretesto per fini meramente protezionistici perché invece implica la necessità di una accurata e calcolata gestione del rischio in tutti quei casi in cui i dati scientifici disponibili non ne consentono una preventiva completa valutazione.
Sul piano strettamente giuridico, ciò comporta, in pratica, la necessità di considerare non soltanto i vantaggi, ma anche gli svantaggi dell’adozione di determinate misure di cautela e di studiare ed applicare misure di cautela proporzionate al rischio.
Nel corso del procedimento che ha portato all’adozione dell’atto in questa sede censurato pare al Collegio che entrambe queste valutazioni siano essere state effettuate in modo approfondito, attraverso una lunga e puntigliosa istruttoria, con l’acquisizione di una copiosa documentazione tecnica che dimostra la serietà con cui gli organi competenti hanno proceduto all’esame dei pericoli per la salute e per l’ambiente, giungendo infine alla verifica di una conformità alla normativa specifica di riferimento, che si rivela, allo stato, l’unica possibile attestazione relativa all’accertamento della non pericolosità”.
Aria: reato ambientale e danno?
Aria: reato ambientale e danno
nota a Corte di Cassazione Sentenza 28 dicembre 2011, n. 48474
a cura di avv. Cinzia Silvestri
L’art. 279 Dlgs. 152/2006 chiude la parte V relative alle emissioni in atmosfera indicando le sanzioni.
L’articolo è stato riformato dal Dlgs. 128/2010 che ha modificato i primi 4 commi.
L’articolo inoltre in virtù del combinato disposto dei commi 2 e 5 è interessato anche dalla responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies (cfr. articolo pubblicato su questo sito).
Ebbene.
Recente sentenza della cassazione ha precisato con riferimento all’art. 279 comma 1
1) la natura formale del reato
2) la continuità rispetto alla normativa DPR 203/88
Il legislatore anticipa l’intervento punitivo. Non occorre il danno all’ambiente ma è bastevole il pericolo della lesione.
l reato integra il cosidetto reato formale di pericolo perché mira a realizzare a scopo di prevenzione un controllo anticipato da parte dell’autorità”.
Questa tesi per certi versi collide con il principio di offensività.
Ebbene la sentenza in commento si pone sul solco di questa giurisprudenza.
LA SENTENZA
Il legale rappresentante di una Ditta esercente l’attivita di stampaggio di materie plastiche veniva condannato dal Tribunale ex art. 279 Dlgs. 152/2006 perché gestiva un impianto che generava emissioni in atmosfera senza autorizzazione” (reato commesso il 18 giugno 2006) e lo condannava alla pena di € 200,00 di ammenda assolvendolo invece da altre residue imputazioni.
Il reato dunque veniva commesso sotto la vigenza del Dlgs. 152/2006 (vigente da aprile 2006).
L’imputato impugnava precisando che la norma violata
1) implica la lesione o messa in pericolo derivante dalla presenza nelle sostanze emesse di caratteristiche tali da ledere o costituire un pericolo;
2) l’attivita istruttoria non aveva consentito di provare la natura inquinante delle emissioni e il conseguente pericolo per la salute umana e per l’ambiente circostante.
3) oggetto dell’attività era lo stampaggio di materie plastiche la cui lavorazione determinava delle emissioni asseritamente moleste ma non accertate nella realtà
La Corte decide il ricorso come infondato.
La Corte precisa che il Tribunale aveva correttamente affermato che la responsabilità penale dell’imputato sussisteva per il fatto che
1) l’impianto produttivo rientrava tra quelli potenzialmente produttivi di emissioni inquinanti,
2) l’impianto produceva in concreto odori molesti constatati dagli Ispettori dell’Arpam cui si erano rivolti con diverse segnalazioni i residenti della zona.
3) la presenza di emissioni diffuse maleodoranti in assenza delle doverose precauzioni e gli accorgimenti da parte del titolare dell’impianto atti ad impedire il verificarsi del fenomeno.
La responsabilità può essere esclusa laddove sia fornita prova che l’impianto presenta una mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti.
CONTINUITA’ TRA DPR 203/88 E ART. 279 DLGS. 152/2006
Il reato previsto dall’articolo 279 del Dlgs 152/06, afferma la cassazione si pone in rapporto di continuità normativa con la precedente disciplina di cui al Dpr 203/88 — così Cass. Sez. III 14 aprile 2010 n. 18774, Migali, Rv. 247173).
PROVA E REATO FORMALE di pericolo
Il Tribunale ha ritenuto, sulla base di una prova specifica attestante la presenza di emissioni inquinanti , che l’assenza di autorizzazione integrasse l’elemento costitutivo del reato: questo, oltretutto si configura come reato non di danno ma formale, mirando la norma a garantire il controllo preventivo da parte della P.a. sul piano della funzionalità e della potenzialità inquinante di un impianto industriale (Cass. Sez. III 28 giugno 2007 n.35232, Fongaro, Rv. 237383).
il reato de quo è configurabile indipendentemente dalla circostanza che le emissioni superino i valori limite stabiliti, dovendosi fare invece riferimento alla presenza di emissioni comunque moleste ed inquinanti ex se connaturate quindi alla natura formale del reato (v. Cass. n. 352321/07 cit.).
Responsabilità società e qualità dell'aria
Responsabilità dell’Ente e Dlgs. 231/2001
Aria – art. 279 Dlgs. 152/2006
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo StudioLegaleAmbiente continua la pubblicazione di brevi aggiornamenti sulla responsabilità della Società in materia di reati ambientali.
Responsabilità operativa già dall’agosto del 2011 e che suggerisce alle aziende di dotarsi di Modello cosidetto “231”.
Modello già conosciuto dalle Società grazie alla normativa sulla sicurezza (Dlgs. 81/2008 art. 30) e che presenta, in materia ambientale, peculiarità tali da non poter coincidere con quello sulla sicurezza.
ART. 279[1] DLGS. 152/2006 – Aria e riduzione delle emissioni
La parte V del Dlgs. 152/2006 è stata riformata dal Dlgs. 128 del 29.6.2010.
Il comma 2 del Dlgs. 231/2001 art. 25 – undecies si conclude con la lettera h) che menziona la violazione dlel’art. 279 comma 5 che richiama il comma 2 ovvero:
Chi, nell’esercizio di uno stabilimento[2], viola i valori limite di emissione[3] (cfr. anche lett. q) art. 268) o le prescrizioni stabiliti
1) dall’autorizzazione,
2) dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto,
3) dai piani e dai programmi o
4) dalla normativa di cui all’articolo 271 o
5) le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorita’ competente ai sensi del presente titolo
e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 1.032 euro.
Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.
Ebbene in questi casi, aggiunge il comma 5, si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa.
La qualità dell’aria non è definita dalla parte V del Dlgs. 152/2006.
La qualità dell’aria si esprime in maniera diversa dalla emissione in quanto:
1) L’emissione evoca la quantità di sostanza inquinante introdotta in atmosfera, da una certa fonte inquinante e in un determinato arco di tempo; generalmente essa viene espressa in tonnellate/anno.
2) La qualità dell’aria invece si esprime per concentrazione (cfr. anche art. 268 co. 1 lett. s)) ovvero la quantità di sostanza inquinante presente in atmosfera per unità di volume; generalmente espressa in mg/mc e viene utilizzata per esprimere valori di qualità dell’aria.
Il riferimento al comma 5 dell’art. 279 sembra dunque limitare la responsabilità dell’Ente solo a quelle ipotesi in cui oltre alla violazione dei limiti di emissione esista anche la violazione di limiti di qualità dell’aria. Si tratta sempre di quantità di sostanza inquinante che rileva però diversamente .
In sintesi:
reato | Pena ex Dlgs. 152/2006 | Sanzione persona giuridica ex Dlgs. 231/2001 | Sanzioni interdittive |
art. 279 comma 5: violazione emissione e qualità aria |
Arresto fino a 1 anno |
Fino a 250 quote |
Non prevista |
[1] Art. 279
…2. Chi, nell’esercizio di uno stabilimento, viola i valori limite di emissione o le prescrizioni stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271 o le prescrizioni altrimenti imposte dall’autorita’ competente ai sensi del presente titolo e’ punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 1.032 euro. Se i valori limite o le prescrizioni violati sono contenuti nell’autorizzazione integrata ambientale si applicano le sanzioni previste dalla normativa che disciplina tale autorizzazione .
….5. Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell’arresto fino ad un anno se il superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite di qualità dell’aria previsti dalla vigente normativa….
AIA e conferenza servizi
AIA e Conferenza Servizi
TAR Calabria 1345 del 8/11/2011
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La sentenza del TAR Calabria applica la disciplina del Dlgs. 59/2005 ma contiene utili spunti di chiarimento sul rapporto tra le varie procedure VIA, VAS e AIA nel sistema previgente (Dlgs. 59/2005) e in quello oggi vigente (Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010).
La sentenza decide infine la causa precisando la natura del parere negativo reso dalla Conferenza di servizi e sulla natura decisoria od istruttoria “della Conferenza”.
LA SENTENZA
Con ricorso veniva impugnato il parere negativo reso a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, indetta a seguito dell’istanza ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, per la realizzazione, di una piattaforma depurativa di reflui speciali non pericolosi, a ridosso della zona industriale, accanto ad una cava per l’estrazione della sabbia nonché ad un impianto di depurazione a servizio degli insediamenti produttivi, in area ancora formalmente normata come “zona agricola”.
Il TAR affronta la eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto interposto avverso una determinazione assunta a conclusione di una conferenza di servizi, non ancora trasfusa in un provvedimento finale.
SI DISCUTE DUNQUE sulla determinazione decisoria o istruttoria della Conferenza di Sevizi.
1) Conferenza di tipo istruttorio
Nel caso che occupa, viene impugnato il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale e trova applicazione la disciplina di cui al D.L.vo n. 59 del 2009, in base al principio “tempus regit actum” riveniente dall’art. 11 delle preleggi.
Il TAR – valutando il combinato disposto degli articoli 5 comma 10 (convocazione Conferenza Servizi) e comma 12 (rilascio autorizzazione) che si conclude con “l’autorizzazione integrata ambientale non può essere comunque rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale”nonché dell’art. 7 – conclude che “il parere … non conclude il procedimento inteso ad ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (AIA), in quanto il modulo procedimentale rilevante, nel caso di specie, è quello della conferenza di tipo istruttorio e, quindi, non rappresenta un mezzo di manifestazione del consenso, quanto, piuttosto, un momento di emersione e di comparazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti.
In particolare, le Amministrazioni, chiamate ad esprimere il loro parere sugli insediamenti da realizzare, arricchiscono la visione e la ponderazione della scelta finale, che è, però, affidata, nel momento volitivo e decisionale, all’autorità regionale, competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale: di conseguenza, ad essa non si applicano le disposizioni volte a disciplinare l’eventuale dissenso delle Amministrazioni partecipanti in seno a conferenza di servizi avente competenze di tipo decisorio (Cons. Stato: Sez. VI, 4 giugno 2004 n. 3505; Sez. I , 13 dicembre 2010 36116).
Ne discende, per quanto rileva ai fini della definizione del presente giudizio, che il parere negativo reso dalla Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale …non si pone come atto conclusivo di un procedimento suscettibile di autonoma ed immediata impugnativa, ma si inserisce nel distinto procedimento unico che si sviluppa secondo le forme della conferenza di servizi, quale atto endoprocedimentale, che concorre alla determinazione conclusiva della conferenza stessa.
……Pertanto, nella specie, si appalesa inammissibile il gravame interposto avverso un atto endoprocedimentale, costituito dal parere negativo, … a conclusione della Conferenza dei Servizi per l’Autorizzazione Integrata Ambientale, avviata su istanza della parte ricorrente …ai sensi dell’art. 5 D. Lgs. n. 59/2005, non ancora trafuso nel provvedimento finale di formazione della volontà dell’Autorità Amministrativa competente.
2) Dlgs. 59/2005
Prima di giungere alla decisione il TAR affronta alcuni punti.
Il Tar chiarisce che:”… l’autorizzazione integrata ambientale, prevista dalla Direttiva IPPC 96/61/C.E., introdotta in Italia dal D.L.vo n. 59 del 2005, è un provvedimento rilasciato a seguito di una istruttoria in cui vengono valutati tutti i possibili impatti di una certa attività sull’ambiente, unitariamente e contestualmente, a fini di semplificazione dell’azione amministrativa: infatti, essa sostituisce tutti i provvedimenti riportati nell’Allegato II tra cui
1) Autorizzazione alle emissioni in atmosfera,
2) Autorizzazione allo scarico di cui al D.L.vo 11 maggio 1999 n. 152,
3) Autorizzazione alla realizzazione e modifica di impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti di cui al D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 art. 27).
Come la V.I.A., anche l’A.I.A. è uno strumento a carattere “preventivo e globale”.
…..L’art. 7 D.L.vo n. 59 del 2005 dispone che le informazioni o conclusioni pertinenti risultanti dall’applicazione della normativa sulla V.I.A. devono essere prese in considerazione per il rilascio dell’A.I.A.
AIA e VIA: differenze.
Il TAR precisa la differenza sostanziale tra le due procedure:
1)L’autorizzazione integrata ambientale è, quindi, un provvedimento che incide specificamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre
2) la procedura di V.I.A. investe, più propriamente, i profili localizzativi e strutturali.
Nel Dlgs. 59/2005 le due autorizzazioni (VIA ed AIA) e i due procedimenti, rimangono, distinti anche nel caso in cui uno stesso progetto debba essere sottoposto sia a V.I.A. che ad A.I.A..
3) Dlgs. 128/2010 (art. 10 Dlgs. 152/2006)
Con il D. Lgs. 29.6.2010 n.128 l’AIA viene, invece, ad affiancarsi alla valutazione ambientale strategica (V.A.S.) e alla valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), in tal modo eliminando una delle più macroscopiche anomalie del sistema previgente realizzando la disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali.
Attraverso una rilevante modifica dell’art. 10 del T.U., “sono stati poi meglio definiti i rapporti tra V.I.A. e A.I.A., in modo da evitare le duplicazioni e le disfunzioni che ancora connotavano il funzionamento dei due istituti.
La lettura dell’art. 10 D.Lgs. 152/06 è utile per comprendere i rapporti con la VAS.
L’ultimo comma dell’art. 10 permette che nella elaborazione dell’impatto ambientale VIA possano essere impiegate le informazioni contenute nella relazione del rapporto ambientale e in particolare la documentazione e le conclusioni della VAS.
Si noti che per il rilascio della VIA può essere impiegata l’istruttoria già eseguita per la VAS “realizzando quella disciplina unitaria e coerente delle autorizzazioni ambientali che costituiva uno degli obiettivi dell’originaria legge delega 15.12.2004, n. 308” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
Ed invero, l’art. 10 al comma 1 bis specifica che, in caso di richiesta congiunta di rilascio di VIA e AIA per impianti la cui valutazione spetta allo Stato, “lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’art. 29 ter e il provvedimento finale “ disponga altresì tutte le prescrizioni che l’AIA avrebbe contenuto in caso di istanza ad hoc.
La VIA e l’AIA, pur essendo entrambe provvedimenti a carattere “preventivo e globale”, sono infatti autonomi, in quanto “l’autorizzazione integrata ambientale è…un provvedimento che incide specificatamente sugli aspetti gestionali dell’impianto, mentre la procedura di VIA investe più propriamente i profili localizzativi e strutturali” (TAR Campania, 8.11.2011, n. 1345).
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Vero è che l’articolo 10, come modificato dal Dlgs. 128 del 29/6/2010, suggerisce la gerarchia tra le varie procedure di Via VAS e AIA evidenziando:
1) Preminenza della Via sull’Aia (comma 1)
2) La VIA può “assorbire “ l’AIA (comma 1)
3) Aia coordinata nell’ambito dei procedimenti di VIA (comma 2)
4) Casi di coincidenza di VIA e AIA (ma è la VIA che fa luogo dell’AIA)
Si riporta testualmente l’articolo oggi vigente:
10. Norme per il coordinamento e la semplificazione dei procedimenti.
1. Il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale fa luogo dell’autorizzazione integrata ambientale per i progetti per i quali la relativa valutazione spetta allo Stato e che ricadono nel campo di applicazione dell’allegato XII del presente decreto. Qualora si tratti di progetti rientranti nella previsione di cui al comma 7 dell’articolo 6, l’autorizzazione integrata ambientale può essere richiesta solo dopo che, ad esito della verifica di cui all’articolo 20, l’autorità competente valuti di non assoggettare i progetti a VIA
1-bis. Nei casi di cui al comma 1, lo studio di impatto ambientale e gli elaborati progettuali contengono anche le informazioni previste ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 29-ter e il provvedimento finale le condizioni e le misure supplementari previste dagli articoli 29-sexies e 29-septies del presente decreto. Qualora la documentazione prodotta risulti incompleta, si applica il comma 4 dell’articolo 23
1-ter. Nei casi di cui al comma 1, il monitoraggio e i controlli successivi al rilascio del provvedimento di valutazione di impatto ambientale avviene anche con le modalità di cui agli articoli 29-decies e 29-undecies
2. Le regioni e le province autonome assicurano che, per i progetti per i quali la valutazione d’impatto ambientale sia di loro attribuzione e che ricadano nel campo di applicazione dell’allegato VIII del presente decreto, la procedura per il rilascio di autorizzazione integrata ambientale sia coordinata nell’ambito del procedimento di VIA. È in ogni caso disposta l’unicità della consultazione del pubblico per le due procedure. Se l’autorità competente in materia di VIA coincide con quella competente al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, le disposizioni regionali e delle province autonome possono prevedere che il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale faccia luogo anche di quella autorizzazione. In questo caso, si applica il comma 1-bis del presente articolo
3. La VAS e la VIA comprendono le procedure di valutazione d’incidenza di cui all’articolo 5 del decreto n. 357 del 1997; a tal fine, il rapporto ambientale, lo studio preliminare ambientale o lo studio di impatto ambientale contengono gli elementi di cui all’allegato G dello stesso decreto n. 357 del 1997 e la valutazione dell’autorità competente si estende alle finalità di conservazione proprie della valutazione d’incidenza oppure dovrà dare atto degli esiti della valutazione di incidenza. Le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
4. La verifica di assoggettabilità di cui all’articolo 20 può essere condotta, nel rispetto delle disposizioni contenute nel presente decreto, nell’ambito della VAS. In tal caso le modalità di informazione del pubblico danno specifica evidenza della integrazione procedurale.
5. Nella redazione dello studio di impatto ambientale di cui all’articolo 22, relativo a progetti previsti da piani o programmi già sottoposti a valutazione ambientale, possono essere utilizzate le informazioni e le analisi contenute nel rapporto ambientale. Nel corso della redazione dei progetti e nella fase della loro valutazione, sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS