Impresa e P.A.: buoni propositi

Imprese e P.A.: buoni propositi
LEGGE 11 novembre 2011, n. 180 – Norme per la tutela della liberta’ d’impresa. Statuto delle imprese. (11G0238) (GU n.265 del 14-11-2011 ) Entrata in vigore del provvedimento: 15/11/2011
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La L. 180/2011 si occupa delle “imprese” e del rapporto con la P.A..
La lettura del provvedimento suscita, nel lettore, obbligato al rapporto quotidiano con la P.A., ..un leggero “sorriso”.
Una legge di “principi” , FORSE solo “buoni propositi” .
Tuttavia si evidenza che nel diritto amministrativo la violazione dei principi di legge comporta la illegitimità stessa del provvedimento; la violazione dei “principi” comporta la caducazione del provvedimento. L’intento del legislatore dunque è positivo e fornisce alla impresa strumenti per adire la giustizia laddove tali principi non siano rispettati. L’importante è capire e attivarsi per la tutela dei propri diritti.
In questo contesto vale la pena di segnalare l’art. 9 della L. 180/2011 in vigore già dal 15.11.2011 in merito ai “Rapporti con la pubblica amministrazione e modifica dell’articolo 2630 del codice civile “.
PRINCIPI
Il comma 1 dell’art. 9 apre al buon umore  e con fiduciosa speranza, precisa:
1. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, informano i rapporti con le imprese ai principi
1) di trasparenza,
2) di buona fede e
3) di effettivita’ dell’accesso ai documenti amministrativi, alle informazioni e ai servizi
svolgendo l’attivita’ amministrativa secondo criteri di
a) economicita’,
b) di efficacia,
c) di efficienza,
d) di tempestivita’,
e) di imparzialita’,
f) di uniformita’ di trattamento,
g) di proporzionalita’ e
h) di pubblicita’,
riducendo o eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali e burocratici relativi all’avvio dell’attivita’ imprenditoriale e all’instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore privato, nonche’ gli obblighi e gli adempimenti non sostanziali a carico dei lavoratori e delle imprese.
 CAMERE DI COMMERCIO E P.A.
Il Comma 2 dell’art 9 prosegue precisando che le P.A. “garantiscono”, “comunicano” con le camere di commercio:
2. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 garantiscono, attraverso le camere di commercio, la pubblicazione e l’aggiornamento delle norme e dei requisiti minimi per l’esercizio di ciascuna tipologia di attivita’ d’impresa. A questo fine, le medesime amministrazioni comunicano alle camere di commercio, entro il 31 dicembre di ogni anno, l’elenco delle norme e dei requisiti minimi per l’esercizio di ciascuna tipologia di attivita’ d’impresa.
RITARDI DELLA P.A.: BUON SENSO
Il comma 3 dell’art. 9 viene scritto ciò che sembra appartenere al buon senso ed alla giustizia sostanziale:
3. All’articolo 10-bis 1della legge 7 agosto 1990, n. 241, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo:
«Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione».
DOCUMENTI GIA’ CONOSCIUTI DALLA P.A.
il Comma 4 dell’art. 9 è operativo ma il legislatore  afferma, per iscritto, che le P.A. Amministrazioni non possono richiedere alle imprese copie di documentazioni già presenti nel registro (sembra ovvio e non lo è):
4. Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, le certificazioni relative all’impresa devono essere comunicate dalla stessa al registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, anche per il tramite delle agenzie per le imprese di cui all’articolo 38, comma 3, lettera c), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e sono inserite dalle camere di commercio nel repertorio economico amministrativo (REA). Alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 del presente articolo, alle quali le imprese comunicano il proprio codice di iscrizione nel registro delle imprese, e’ garantito l’accesso telematico gratuito al registro delle imprese. Le pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 non possono richiedere alle imprese copie di documentazione gia’ presente nello stesso registro.
OBBLIGO DI COMUNICAZIONE E SANZIONI
Il comma 5 dell’art. 9 si occupa di sanzioni e modifica l’art. 2630 c.c.:
5. Al fine di rendere piu’ equo il sistema delle sanzioni cui sono sottoposte le imprese relativamente alle denunce, alle comunicazioni e ai depositi da effettuarsi presso il registro delle imprese tenuto dalle camere di commercio, l’articolo 2630 del codice civile e’ sostituito dal seguente:
«Art. 2630. – (Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni e depositi). – Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una societa’ o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 103 euro a 1.032 euro. Se la denuncia, la comunicazione o il deposito avvengono nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti, la sanzione amministrativa pecuniaria e’ ridotta ad un terzo. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria e’ aumentata di un terzo».

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Organismo di Vigilanza ex Dlgs. n. 231/2001: nuove regole?

ODV e responsabilità delle Società – Legge Stabilità: dal 1.1.2012 nuove regole ( www.parlamento.it)
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Con Legge 12 novembre 2011 n. 183[1] in vigore dal prossimo 1.1.2012 il Parlamento ha previsto all’art. 14 comma 12 l’inserimento del comma 4bis al Dlgs. 231/2011 art. 6.
Il legislatore, con la finalità, si presume, di alleggerire i  costi di gestione alle aziende, permette di trasferire le funzioni dell’Organismo di vigilanza (ODV) ad organi, già, societari (nelle sole società di  capitali).
La scelta finale del Legislatore si concentra invero sulla parola “POSSONO” che sembra ammettere la possibilità (e non l’obbligo), per le sole società di capitali, di scegliere se concentrare le attribuzioni su organismi societari già esistenti o di mantenere l’ODV con tutte le sue peculiarità.
In particolare :
Nelle societa’ di  capitali
1)      il  collegio  sindacale,
2)      il consiglio di sorveglianza  e
3)      il  comitato  per  il  controllo  della gestione
POSSONO svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza  di cui al comma 1, lettera b, OVVERO le funzioni di
1)        vigilare  sul  funzionamento  e  l’osservanza  dei modelli
2)        curare il loro aggiornamento
Si ricorda invero che l’ODV è organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e di  controllo.
 
E’ utile richiamare alla memoria che tale modifica era già annunciata nella bozza del DL sviluppo del 23.10.2011 che al punto 114 così si esprimeva, anche con motivazione, annunciando invero la obbligatorietà della nomina:
“ 114 Attribuzione all’organo di controllo delle società di capitali delle funzioni dell’organismo di vigilanza previsto in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche …
1. All’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, dopo il comma 4 è inserito il seguente:
«4bis. Nelle società di capitali, ove lo statuto o l’atto costitutivo non dispongano diversamente, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo della gestione coordinano il sistema dei controlli della società e svolgono le funzioni dell’organismo di vigilanza di cui al comma 1, lettera b)».
 Motivazione
La proposta normativa, che si realizza mediante l’inserimento di un comma nell’articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa della persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300), è finalizzata a consentire la individuazione di un organismo di vigilanza, ai fini della legge richiamata, laddove già sussistano all’interno della struttura organi di controllo, con concentrazione delle funzioni e conseguenti risparmi di spesa per gli enti destinatari.”
 
Il testo dell’art. 6 del Dlgs. 231/2001 risulta dunque così riformato:  “Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente
1. Se il reato e’ stato commesso dalle persone indicate nell’articolo 5, comma 1, lettera a), l’ente non  risponde  se  prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato  ed  efficacemente  attuato,  prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di  gestione idonei a prevenire reati della specie di quello    verificatosi;
b) il compito  di  vigilare  sul  funzionamento  e  l’osservanza  dei modelli di curare il loro aggiornamento e’ stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di    controllo;
c) le persone hanno commesso il  reato  eludendo  fraudolentemente  i  modelli di organizzazione e di gestione;
d) non  vi  e’  stata  omessa  o  insufficiente  vigilanza  da  parte dell’organismo di cui alla lettera b).
2. In relazione all’estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati, i modelli di cui alla lettera a), del comma 1, devono rispondere alle seguenti esigenze:
a) individuare le attivita’ nel cui ambito  possono  essere  commessi   reati;
b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
c) individuare modalita’ di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
d) prevedere obblighi di informazione  nei  confronti  dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il  mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
3. I modelli di organizzazione e di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma  2,  sulla  base  di codici di comportamento redatti  dalle  associazioni  rappresentative degli enti, comunicati al Ministero della giustizia che, di  concerto con i Ministeri competenti,  puo’  formulare,  entro  trenta  giorni, osservazioni sulla idoneita’ dei modelli a prevenire i reati. (6)
4. Negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera  b),  del  comma  1,  possono  essere   svolti   direttamente dall’organo dirigente.
4-bis. Nelle societa’  di  capitali  il  collegio  sindacale,  il consiglio di sorveglianza  e  il  comitato  per  il  controllo  della gestione possono svolgere le funzioni dell’organismo di vigilanza  di cui al comma 1, lettera b).
5. E’ comunque disposta la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente.”



[1] “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2012)” Materia: LEGGE FINANZIARIA, ANNO FINANZIARIO 2012, BILANCIO DELLO STATO Pubblicazione: G.U. n. 265 del 14 novembre 2011 (suppl.ord.)
 
 
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Sicurezza: ambienti sospetti di inquinamento

Tutela della salute e sicurezza negli “ambienti confinati”
DPR 14 settembre 2011 n.177 – in vigore dal 23 novembre  2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
E’ stato pubblicato il D.P.R. 14 settembre 2011 n. 177 sul “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’art. 6 comma 8  lett. g)  del d.lgs. 81/08” (Gazzetta Ufficiale n. 260 dell’8 novembre 2011)
Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei Ministri nell’agosto scorso (entrerà in vigore il prossimo 23 novembre (decorsi cioè i quindici giorni dalla sua pubblicazione in G.U.).
Si richiamano di seguito le principali disposizioni introdotte dal decreto in parola.
Il regolamento si applica ai lavori in ambienti sospetti di inquinamento di cui agli articoli 66 (pozzi neri, fogne, camini, fosse, gallerie,  caldaie, cisterne),  121  (scavi)  e negli ambienti confinati di cui all’allegato IV punto 3  del d.lgs. 81/08 (vasche, canalizzazioni, tubazioni, serbatoi, recipienti e silos).
Secondo quanto previsto dall’art. 2, per svolgere un’attività lavorativa in ambienti confinati, le imprese o i lavoratori autonomi devono possedere come requisiti:
1)  essere in regola con le disposizioni riguardanti la valutazione dei rischi, sorveglianza sanitaria e gestione delle emergenze; 2) nel caso di imprese familiari e lavoratori autonomi obbligatorietà della formazione e sorveglianza sanitaria; 3) presenza di personale (in percentuale non inferiore al 30%) con esperienza almeno triennale in “ambienti confinati”, assunta con contratto di lavoro subordinato o con altri contratti (in tal caso certificati ai sensi del D.lgs. 276/03); 4) aver ricevuto specifica formazione e informazione compresa l’attività di addestramento di tutto il personale – incluso il datore di lavoro – relativamente all’applicazione delle procedure di sicurezza; 5) possedere dispositivi di protezione individuale (es. maschere protettive, imbracature di sicurezza) e una strumentazione e attrezzature di lavoro (es. rilevatori di gas, respiratori etc.)  idonei a prevenire i rischi propri di tali attività lavorative; 6) rispetto integrale degli obblighi in materia  di Documento Unico di regolarità Contributiva (DURC) e relativi alla parte normativa ed economica della contrattazione collettiva di settore
Il subappalto è consentito solo a condizione che sia espressamente autorizzato dal datore di lavoro committente, che dovrà anche verificare  il possesso da parte dell’impresa subappaltatrice dei requisiti di qualificazione;
Quando i lavori siano svolti tramite  appalto, deve essere garantito  che, prima dell’accesso nei luoghi di lavoro, tutti i lavoratori che verranno impegnati nell’attività siano puntualmente e dettagliatamente informati dal datore di lavoro committente dei rischi che possono essere presenti nell’area di lavoro;
Il datore di lavoro committente è inoltre tenuto ad individuare un proprio rappresentante, adeguatamente formato e addestrato, incaricato di vigilare sulle attività lavorative e con funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività svolte dai lavoratori impiegati dalla impresa appaltatrice o dai lavoratori autonomi, per limitare i rischi da interferenze.
Durante tutte le fasi di lavorazioni in “ambienti confinati”  deve essere adottata una procedura di lavoro specificamente diretta ad eliminare o quantomeno a ridurre al minimo i rischi propri dell’attività e che consenta, in caso di necessità, un intervento immediato del Servizio Sanitario nazionale e dei Vigili del Fuoco.
Il mancato rispetto di tutte le disposizioni previste dal D.P.R.  comporterà il venir meno della qualificazione necessaria da parte delle imprese per operare in ambienti confinati.
Per completezza di informazione si allega il testo integrale del provvedimento  DPR n. 177/2011
 

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Terre e rocce da scavo: DL Sviluppo

 Terre e Rocce da scavo: DL Sviluppo – Uno sguardo al futuro?

 a cura di avv. Cinzia Silvestri

La travagliata storia delle Terre e rocce da scavo (a memoria dell’ art. 186 Dlgs. n.152/2006 ss.) è destinata a non finire.

Per coloro che si sono occupati a lungo dell’art. 186 (Dlgs. n.152/2006) e ne hanno seguito l’evoluzione sin dal primitivo, ma attuale, provvedimento del 2001 (L. 443/2001), il contenuto nel prossimo DL Sviluppo ….rinnova la memoria.

Non si può dimenticare che, un anno fa circa, l’art. art. 39 comma 4 Dlgs. n. 205/2010 precisava che: “Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis,comma 2, e’ abrogato l’articolo 186.”.

 Ebbene, il “DL Sviluppo”, ancora in incubazione, porta con se’ un “ritorno al passato”, rievoca alla memoria di coloro che hanno scritto sul tema, ciò che è stato…. abrogato.

 E’ prematuro commentare ma vale la pena di ….segnalare.

 La bozza del 23.10.2011 Dl Sviluppo precisa all’art. 36:

La proposta è finalizzata a classificare le terre e rocce da scavo quali sottoprodotti e non rifiuti, consentendone pertanto il riutilizzo nell’ambito del medesimo intervento dal quale traggono origine e comportando, in tal modo, una riduzione dei costi delle infrastrutture.”.

Ovvero:

Sono da considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184‐bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, nelle more dell’emanazione del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui al comma 2 dello stesso articolo, le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, prodotte nell’esecuzione di opere pubbliche, anche se contaminate o mischiate, durante il ciclo produttivo, da materiali, sostanze o residui di varia natura, ancorchè inquinanti, derivanti dalle tecniche e dai materiali utilizzati per poter effettuare le attività di evacuazione, perforazione e costruzione ed impiegate, senza alcuna trasformazione diversa dalla normale pratica industriale, intendendosi per tale anche selezioni granulometrica, riduzione volumetrica, stabilizzazione a calce o a cemento, essiccamento, nell’ambito di un unico ciclo produttivo che preveda la loro ricollocazione secondo le modalità stabilite nel progetto di utilizzo approvato dalle autorità competenti anche ai fini ambientali ed urbanistici e nel rispetto delle caratteristiche ambientali del sito di destinazione, con riferimento alle concentrazioni di tabella 1, allegato 5, parte IV, del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni, fatta salva la possibilità, in caso di fenomeni naturali che determinano superamenti delle stesse, di adottare i valori del conto come concentrazioni soglia di contaminazione”.

 Relazione

La proposta, da verificare con il competente Ministero dell’ambiente, è finalizzata a classificare le terre e rocce da scavo quali sottoprodotti e non rifiuti, consentendone pertanto il riutilizzo nell’ambito del medesimo intervento dal quale traggono origine e comportando, in tal modo, una riduzione dei costi delle infrastrutture in particolare per le opere infrastrutturali che prevedono la realizzazione di gallerie”.

 

 

 

 

Nota 1: cfr. Codice dell’Ambiente, Giuffrè, 2008, commento all’art. 186 a cura di Cinzia Silvestri

Nota 2: Articolo 184-bis 1. E’ un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto e’ originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non e’ la produzione di tale sostanza od oggetto;
b) e’ certo che la sostanza o l’oggetto sara’ utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi;
c) la sostanza o l’oggetto puo’ essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale;
d) l’ulteriore utilizzo e’ legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non portera’ a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
2. Sulla base delle condizioni previste al comma 1, possono essere adottate misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinche’ specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti. All’adozione di tali criteri si provvede con uno o piu’ decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, in conformita’ a quanto previsto dalla disciplina comunitaria
Articolo inserito dall’articolo 12 del D.Lgs 3 dicembre 2010, n. 205.
 

 

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TIA e TARSU: abrogazione al 2013?


 TIA E TARSU: abrogazione al 2013? Nuovo Tributo: R.E.S. (Rifiuti e Servizi)

 a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi

 Il Consiglio dei ministri del 24 ottobre u.s., ha approvato, in prima lettura, schema di decreto legislativo (Allegato I) che incide anche sul Dlgs. del 14.3.2011 n. 23 inserendo dopo l’art. 14 … l’intera disciplina relativa a nuovo tributo chiamato RES (Rifiuti e Servizi).

RES che accorpa, innova, interpreta e rielabora la TIA e la TARSU1 (..abrogandole).

 Le disposizioni fissano al 1° gennaio 2013 l’entrata in vigore del TRIBUTO COMUNALE RIFIUTI E SERVIZI (RES). Il futuro tributo comprende, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).

 La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.

 Res: rifiuti – La nuova tariffa si comporrà :

  1. rifiuti: pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte s

    uscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa sarà annuale e proporzionato alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte.

    Tariffe determinate tenendo conto della quota relativa al costo del servizio e di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione.

  2. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.

    Res: servizi – Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). C
    ostoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.

Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.

 11Vale la pena di ricordare che la TARSU trova disciplina nel Dlgs. 507/93 ed è applicata dai Comuni quale tassa per il costo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani oltre che per lo spazzamento delle strade pubbliche; la tassa si parametra alla superficie dei locali di abitazione e di attività dove possono avere origine rifiuti di varia natura.

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Registro di carico e scarico: esclusioni

TRASPORTO IN CONTO PROPRIO
REGISTRO DI CARICO E SCARICO: SOGGETTI ESCLUSI
Art. 190 comma 1bis Dlgs. 152/2006 – Dlgs. n. 121/2011 art. 4 co. 1 lett. b)
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Coloro che trasportano in conto proprio rifiuti non pericolosi ai sensi dell’art. 212 comma 8 Dlgs. 152/2010 non sono più obbligati a tenere il Registro di carico e scarico (nei limiti indicati dalla legge) già dal 16.8.2011.
L’importante novità è stata inserita all’art. 190 Dlgs. 152/2006 (comma 1-bis) dal Dlgs. 121/2011 e operativa dal 16.8.2011:
Sono esclusi, dal 16.8.2011, dall’obbligo di tenuta di un registro di carico e scarico :
1)    gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile che
2)    raccolgono e
3)    trasportano
i propri rifiuti speciali purchè non pericolosi di cui all’art. 212, comma 8,
nonche’
4)    le imprese e
5)    gli enti che,
ai sensi dell’art. 212, comma 8,
6)    raccolgono e
7)    trasportano
i propri rifiuti speciali non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettera b)
ovvero “i rifiuti derivanti dalle attivita’ di demolizione, costruzione, nonche’ i rifiuti che derivano dalle attivita’ di scavo, fermo restando quanto disposto dall’articolo 184-bis” ovvero non integri i requisiti del “sottoprodotto” (art. 184bis).
Il legislatore sembra operare una esclusione ampia per gli imprenditori agricoli mentre restringe l’ambito di esclusione per le imprese ed enti ai soli rifiuti che derivano da demolizione, costruzione, nonché i rifiuti che derivano dalle attvità da scavo ecc…
Il comma 8 dell’art. 212 Dlgs. 152/2006 ha subito anch’esso profonda revisione dal Dlgs. n. 205/2010 e dunque, ad oggi, il riferimento al trasporto di rifiuti propri, anche ai fini della esclusione della tenuta del Registro e carico e scarico deve essere intesa:
1) I produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti, nonche’
2) i produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti pericolosi
3) in quantita’ non eccedenti
a) trenta chilogrammi o trenta litri al giorno,
non sono soggetti alle disposizioni di cui ai commi 5, 6, e 7 a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti.
Detti soggetti
1)    non sono tenuti alla prestazione delle garanzie finanziarie e
2)    sono iscritti in un’apposita sezione dell’Albo in base alla presentazione di una comunicazione alla sezione regionale o provinciale dell’Albo territorialmente competente che rilascia il relativo provvedimento entro i successivi trenta giorni. Con la comunicazione l’interessato attesta sotto la sua responsabilita’, ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 241 del 1990:
a) la sede dell’impresa, l’attivita’ o le attivita’ dai quali sono prodotti i rifiuti;
b) le caratteristiche, la natura dei rifiuti prodotti;
c) gli estremi identificativi e l’idoneita’ tecnica dei mezzi utilizzati per il trasporto dei rifiuti, tenuto anche conto delle modalita’ di effettuazione del trasporto medesimo;
d) l’avvenuto versamento del diritto annuale di registrazione di 50 euro rideterminabile ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Ministro dell’ambiente 28 aprile 1998, n. 406.
L’iscrizione deve essere rinnovata ogni 10 anni e l’impresa e’ tenuta a comunicare ogni variazione intervenuta successivamente all’iscrizione.
Le iscrizioni di cui al presente comma, effettuate entro il 14 aprile 2008 ai sensi e per gli effetti della normativa vigente a quella data, dovranno essere aggiornate entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente disposizione .

adminRegistro di carico e scarico: esclusioni
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Sistri e reati

SISTRI E REATI: responsabilità delle Società
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies co. 2 lett. g).
art. 260 bis Dlgs. 152/2006
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente continua lo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 Art. 260 bis Dlgs. 152/2006 (novità).
L’articolo 260 bis è stato introdotto nel nostro ordinamento dal  Dlgs. 205/2010  (vigente al 25.12.2010) assieme alle altre sanzioni relative al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) .
E’ tuttavia nota la vicenda normativa che ha coinvolto proprio l’art. 260 bis che, assieme a tutto il sistema Sistri, veniva abrogato dall’articolo 6, comma 2, lettera d) del Dl 13 agosto 2011, n. 138; per poi rivivere con la legge di conversione del  14 settembre 2011, n. 148; legge che ha posto nel nulla il decreto abrogativo.
Ebbene circa un mese prima della abrogazione a mano del Governo (DL 13.8.2011 n. 138) il Parlamento aveva riformato proprio ed anche l’articolo 260 bis (Dlgs. 121/2011 del 7.7.2011). introducendo i commi 9bis e 9ter.
L’entrata in vigore delle modifiche (17.8.2011) successiva alla abrogazione segnava una battuta di arresto dell’intera normativa.
La legge di conversione del 14.9.2011 n. 148 riporta in luce anche il testo modificato dell’art. 260 bis.
Le modifiche intervenute sull’art. 260 bis hanno introdotto solo i commi 9 bis e 9 ter. Sono modifiche che non prevedono nuovi comportamenti sanzionabili bensì benefici e riduzioni di pena.
 Reati ex art. 260 bis e Dlgs. 231/2001
Nel caso di reati e dunque di comportamenti ritenuti gravi dal legislatore e che vengono puniti con pena che incide sulla libertà personale quale la reclusione
1)    nessun trattamento premiale di riduzione della pena
2)    previsione di responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 ex art. 25 undecies.
Lo schema è il seguente:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Società
ex Dlgs. 231/2001
Sanzioni interdittive
art. 260 bis comma 6
Certificato analisi rifiuti falso
 
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 secondo periodo
Trasporto senza copia cartacea sistri rifiuti pericolosi
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 terzo periodo
Trasporto uso certificato fase indicazioni
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 8 primo periodo
Trasposrto con scheda cartacea sistri alterata
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.)
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis
Comma 8 secondo periodo
Trasporto scheda sistri alterata rifiuti pericolosi
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.) con aumento fino ad 1/3
Da  200 a 300 quote Non prevista

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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RESPONSABILITA' P.A. E DANNO

Comportamento scorretto della p.a. – TERMOVALORIZZATORE – Danno risarcibile – RESPONSABILITA’ DELLA PA – VIOLAZIONE DELLA BUONA FEDE – APPALTI – Consiglio di Stato 12.7.2011 n. 4196
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
 L’amministrazione espleta una gara di appalto per la costruzione di un termovalorizzatore e provvede anche alla aggiudicazione.
Dopo l’aggiudicazione però non vuole stipulare il contratto di appalto sostenendo la giuridica impossibilità di realizzare il medesimo termovalorizzatore e apponendo inoltre il vincolo archeologico sull’area interessata.
ED INVERO la P.A. dopo l’aggiudicazione ed in via istruttoria scopre sull’area un sito archeologico e dunque ritiene di non poter più dare avvio alla costruzione appaltata e revoca ogni provvedimento.
Il Consiglio di Stato a dire il vero rigetta tutte le doglianze dei ricorrenti rendendo legittima la decisione della amministrazione….. tuttavia riconosce la esistenza di un danno anche alla luce dei comportamenti tenuti da alcune amministrazioni .
Questa la novità.
 Il comportamento della P.A. si pone in violazione del canone di buona fede in senso oggettivo di cui all’art. 1337 c.c; la P.A. invero viola l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale.
La responsabilità della P.A. anche in sede precontrattuale si configura nella correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c. .
La valutazione del comportamento di buona fede in sede precontrattuale prevale sull’interesse stesso alla stipula del contratto tant’è che la stipulazione del contratto e dunque il raggiungimento dell’obiettivo non esclude la valutazione del comportamento ex art. 1337 c.c.. (cfr. Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24795; Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26724).
La mancata stipula del contratto può dipendere da vari fattori.
Si ritiene che la P.A. possa rispondere ex art. 1337 c.c. anche se l’omessa stipulazione del contratto dipenda da fattori non imputabili alla amministrazione .
Si pensi al caso in cui intervenga il radicale mutamento della vicenda sottesa in causa (il factum principis, Cons. Stato n. 1763/2006, cit.).
Si pensi al caso in cui la P.A. ponga in essere comportamento in violazione con l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale (nonché, prima ancora, la sua stessa finalizzazione – Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245; cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6).
Anche la Corte di cassazione evoca il significato oggettivo della buona fede che deve avere a tutela la reciprocità dell’affidamento delle parti contrattuali e che impone dunque a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass. civ., 10 novembre 2010, n. 22819).
QUANTIFICAZIONE DEL DANNO
Di particolare interesse la decisione in ordine alla quantificazione del danno.
Il Collegio invero richiama i parametri dell’interesse negativo ex art. 1337 c.c. ma ritiene applicabile tale criterio solo qualora il danno sia direttamente imputabile alla amministrazione e non derivi dunque da fattori successivi esterni e meritevoli di accogliemento (scoperta sito archeologico).
Ciò che importa è che il Consiglio di Stato  ha valutato comunque il comportamento della amministrazione e ha offerto un parametro per la liquidazione del danno.
 In particolare attingendo direttamento dalla sentenza:
1) art. 34 c.p.a. comma 4
“6.2.5. Ai fini della quantificazione del danno, il Collegio ritiene di fare applicazione della previsione di cui al comma 4 dell’art. 34, c.p.a., secondo cui in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine”.
 
2)interesse negativo non liquidabile
“A tal fine si ritiene di non poter seguire in modo integrale in tradizionale orientamento secondo cui, in caso di condanna per responsabilità di carattere precontrattuale, il quantum risarcitorio deve essere parametrato per intero all’interesse negativo rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative.”
 
3) danno emergente/occasioni perdute
Secondo l’orientamento giurisprudenziale allo stato prevalente, infatti, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Amministrazione a seguito della mancata stipula dal contratto, deve intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente), nonché
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, VI, 17 dicembre 2008, n. 6264; id., Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; id., Sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1667).
4) nesso diretto
Tuttavia, ad avviso del Collegio, il criterio in questione può essere integralmente e proficuamente utilizzato soltanto nelle ipotesi paradigmatiche in cui fra il comportamento scorretto dell’amministrazione e la mancata stipula del contratto intercorra un nesso di conseguenzialità diretta.
 5) temperamento
Al contrario, al medesimo criterio devono essere apportati dei temperamenti per le ipotesi in cui (come nel caso di specie) sussista, sì, un comportamento contrario a buona fede in senso soggettivo tenuto dall’amministrazione nel corso della fase precontrattuale, ma la mancata stipula del contratto non costituisca un effetto di tale comportamento, bensì l’effetto di fattori ulteriori autonomamente idonei, sotto il profilo causale, a determinare l’impossibilità di stipulare il contratto.
 
6) spese sostenute
In siffatte ipotesi, l’ammontare delle spese sostenute per la partecipazione alla gara può bensì essere assunta quale parametro per la determinazione del quantum risarcitorio, ma non quale posta risarcitoria in senso proprio, bensì quale criterio di computo idoneo a riempire di contenuto concreto una determinazione in via equitativa del danno risarcibile ai sensi dell’art. 1226, cod. civ.
7) congruità
Nel caso di specie, quindi, si ritiene congruo commisurare il quantum del risarcimento da corrispondere nella misura del quaranta per cento delle spese effettivamente sostenute ai fini della partecipazione alla gara (ivi comprese le spese di progettazione).
Non si ravvisano, invece, ragioni sistematiche o fattuali tali da indurre ad accogliere la domanda risarcitoria per ciò che attiene il preteso importo pari al 10 per cento del corrispettivo di gara.
Inoltre, non si ritiene di poter riconoscere il ristoro delle spese inutilmente sostenute nel corso delle trattative in vista del contratto non concluso, atteso che la società appellante non ha fornito alcun elemento di prova relativo ad ulteriori, possibili occasioni di stipulazione di contratti (altrettanto o maggiormente vantaggiosi rispetto a quello non concluso) i quali sarebbero stati impediti proprio dalle trattative indebitamente interrotte, in tal modo determinando l’obbligo di ristoro sotto il profilo del lucro cessante
Per quanto riguarda l’imputabilità soggettiva della condotta foriera di danno e la distribuzione del conseguente onere risarcitorio, si ritiene che la complessiva valutazione in ordine al comportamento delle amministrazioni appellate (e in ordine alla gravità dei relativi comportamenti) induca a distribuire il complessivo onere risarcitorio nella misura del 60 per cento a carico del Comune di Capannori e del 40 per cento a carico della Regione Toscana.
8) criteri:
in primo luogo, occorrerà determinare l’ammontare delle spese effettivamente sostenute per la partecipazione alla gara in questione (ivi comprese le somme per la predisposizione della documentazione di gara e del progetto, ove sussistenti e provate);
– le somme in tal modo determinate dovranno essere ridotte fino al quaranta per cento del loro ammontare complessivo;
– sul quantum risarcitorio in tal modo determinato, da intendersi quale debito di valore, dovranno essere computati gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria sino al giorno della pubblicazione della sentenza. Dovranno, inoltre, essere computati gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione sino all’effettivo soddisfo.
 

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Rifiuti: procedure semplificate

RIFIUTI E PROCEDURE SEMPLIFICATE

Note a TAR Lombardia – Milano n. 2311/2011 Silenzio assenso e revoca della iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

 a cura di avv. Cinzia Silvestri

 Il TAR Lombardia-Milano con sentenza n. 2311/2011 del 29.9.2011 affronta un caso abbastanza comune ma ancora foriero di discussione.

Bisogna sempre considerare che le sentenze traggono origine da casi specifici e che vanno lette nel contesto di riferimento evitando di “fare di tutta l’erba un fascio”.

Certo, si registra da parte della magistratura una sempre maggiore distanza dall’operare concreto delle imprese; distanza giustificata dalla tutela ambientale che lascia, tuttavia, l’impresa, che combatte con costi e responsabilità, spesso in balia di norme oscure, interpretazioni, discrezionalità amministrative, incertezze.

Questa sentenza sembra dire che l’impresa che opera in regime sempliifcato può sempre vedersi revocata la iscrizione per “qualsiasi violazione del DM 5.2.1998” e che l’amministrazone non è tenuta neppure a motivare il provvedimento di revoca in quanto è implicita la motivazione dalla stessa istruttoria compiuta.

Ed invero.

Una società impugnava il provvedimento con il quale la Provincia di Lecco ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività e quello dell’Albo nazionale delle Imprese che svolgono la gestione dei rifiuti che ha archiviato la domanda di iscrizione al registro presentata dalla società.

La società invero sosteneva, ai sensi dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006, di aver ottenuto l’autorizzazione semplificata all’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti per silenzio assenso, con la conseguenza che il provvedimento della Provincia di Lecco sarebbe tardivo. Inoltre la procedura semplificata permetterebbe di svolgere l’attività di recupero dei rifiuti in via accessoria e strumentale senza i requisiti richiesti in via ordinaria.

Lamentava la società anche in ordine alla motivazione del provvedimento della Provincia la quale non indicava in modo specifico, neppure per relationem, i requisiti mancanti.

  1. Il silenzio assenso della amministrazione (decorsi 90 giorni dalla comunicazione) non esaurisce il potere di controllo della amministrazione ed il potere di incidere sulla iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

La Corte precisa:

L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, ed oggi l’art. 216 del T.U. Ambientale prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d’inizio o di prosecuzione dell’attività.

Benché la comunicazione di cui trattasi sortisca effetto già per il decorso del termine di 90 giorni, in assenza di specifici divieti o richieste di integrazioni documentali da parte della Provincia, sulla scorta dei meccanismi tipici del silenzio assenso, la comunicazione medesima, pur sortendo l’effetto operativo di legittimare l’attività con il decorso dei termini di legge, soggiace alle disposizioni richiamate dall’art. 31, ultimo comma, del D. Lgs. 22/97 (oggi art. 214 del T.U. Ambiente), ovvero le statuizioni sulla veridicità delle comunicazioni rese e dei relativi atti che la compongono, nonché il divieto di conformazione se si siano rese dichiarazioni false e l’espressa previsione di applicazione della sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Inoltre poiché la disposizione del terzo comma dell’art. 216 prevede espressamente che la Provincia verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, disponendo non solo il divieto di inizio ma anche quello di prosecuzione della medesima, si deve ritenere che tale potere di controllo sia esercitabile anche in caso di accertamento successivo alla decorrenza dei termini di inizio attività, qualora si verifichino irregolarità od il mancato rispetto della norma tecnica a presupposto della quale viene svolta l’attività, senza che sia necessaria la rimozione del provvedimento di assenso tacito.

Ne consegue che nessuna consumazione del potere di controllo provinciale si è verificata per il fatto che il diniego di autorizzazione è stato emanato oltre un anno dopo la presentazione della domanda.”

  1. L’iscrizione semplificata deve rispettare le norme di cui all’art. 214 commi 1,2,3 e DM 5.2.1998.

Sul punto la Corte, pur avendo a riferimento la doglianza posta in causa, sembra ampliare la rilevanza del DM 5.2.1998. Il richiamo reciproco degli articoli 214 co. 1,2,3, e 216 co. 1,2,3 sembra invero precisare le “condizioni” senza le quali la iscrizione non può essere ottenuta; solo queste condizioni sono tali da giustificare un simile provvedimento foriero di grave danno per le aziende. Non tutto ciò che indicato nel DM 5.2.1998 (soprattutto nella parte deidicata ai principi art. 1 a 11) pare integrare questo requisito.

Tuttavia nel contesto la generalità dell’affermazione della Corte è giustificata dalla doglianza del ricorrente e la Corte precisa:

Il secondo motivo è infondato in quanto l’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 stabilisce al primo comma che l’autorizzazione semplificata opera “a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3”.

Ne consegue che non si può ritenere che la previsione della comunicazione di inizio di attività costituisca una forma di liberalizzazione dell’attività.

In secondo luogo poiché condizione indispensabile per l’utilizzo della procedura semplificata è, nel caso in questione, il rispetto del D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, non è possibile ritenere che la mera accessorietà dell’attività di recupero dei rifiuti rispetto all’attività principale giustifichi il mancato rispetto della normativa ambientale.

Sebbene, infatti, tra gli scopi del T.U. ambientale vi sia anche quello di favorire il recupero dei rifiuti rispetto alle tradizionali attività di smaltimento, la legge non ha voluto, con gli artt. 214 ss. del D. Lgs. 152/2006, ritenere che il recupero sia attività irrilevante dal punto di vista ambientale, quanto piuttosto sottoporla ad un regime amministrativo ambientale semplificato e di favore, a condizione però che siano rigidamente osservati i limiti stabiliti dal D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi. Solo il rispetto di fatto di queste condizioni legittima la piena efficacia della d.i.a. e la conseguente iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali.

Non è possibile quindi ritenere che l’attività di recupero non sia soggetta alla normativa ambientale ma a quella dell’attività principale.

  1. L’Amminstrazione non è tenuta a motivare nel provvedimento la condizione violata ex DM 5.2.1998.

L’affermazione desta perplessità. La Corte sembra giustificare, come motivata, la contestazione della amministrazione in quanto esiste documento (foto) dal quale desumere la motivazione del provvedimento.

Giustifica la Corte: “Il terzo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione, è infondato in quanto la mancanza dei requisiti richiesti dal DM 05.02.1998 per la gestione dei rifiuti non pericolosi risulta dal confronto diretto tra le foto del verbale dell’ispezione effettuata dalla Provincia il 7 giugno 2007 e la normativa violata. In particolare risultano cumuli scoperti mentre l’allegato 5 al DM citato richiede che “lo stoccaggio in cumuli di rifiuti che possano dar luogo a formazioni di polveri deve avvenire in aree confinate; tali rifiuti devono essere protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili”.

Ne consegue che nessun difetto di motivazione può imputarsi al provvedimento amministrativo in quanto la mancata indicazione della specifica disposizione vietata all’interno del DM citato costituisce una mera irregolarità in quanto non rende perplesso il contenuto del provvedimento”.

 

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Fanghi: quando sono rifiuti?

QUANDO I FANGHI DA DEPURAZIONE DIVENGONO RIFIUTI?
NOTE A CASS. PEN. N. 36096 DEL 5.1.2011.
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Il legale rappresentante di una società cui era affidata la gestione dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane era accusato di aver effettuato il deposito incontrollato dei rifiuti costituiti dai fanghi di depurazione del predetto impianto avendone omesso lo smaltimento.
La sentenza affronta il momento di passaggio dei “fanghi” alla disciplina sui “rifiuti”.
Utile la cronologia delle modifiche all’art. 127 :
1) L’art. 48 dell’ormai abrogato Dlgs 152/99 stabiliva: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato“.
2) L’art. 127 del Dlgs 152/2006, nell’originaria formulazione, specificava: “ferma restando la disciplina di cui al Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
3) L’articolo 127, comma primo Dlgs 152/2006, nell’attuale formulazione dopo le modifiche apportate dal Dlgs 4/2008, così recita: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
Le modifiche apportate all’articolo 127, recita la sentenza, spostano dunque il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi al termine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, ragion per cui è essenziale individuare il momento finale di tale trattamento.
La sentenza approfondisce concludendo che se manca il trattamento finalizzato allo smaltimento e/o riutilizzo, ovvero quando tale procedura sia svolta in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio, i fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue devono considerarsi RIFIUTI.
Questo è il principio di diritto sancito dalla Cassazione Penale con sentenza n. 36096 del 5.10.2011, che ha rigettato il ricorso di un gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane condannato per aver effettuato un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da fanghi di depurazione non smaltiti.
Sul punto però il legislatore nulla ha statuito, anche perché, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, la procedura di trattamento dei fanghi dipende da molti fattori (attrezzature impiegate, luogo in cui avviene l’essiccamento, agenti atmosferici, natura dei fanghi, destinazione dei letti di essiccamento) e sarebbe dunque impossibile determinare un momento finale adeguato e certo.
La Cassazione richiede pertanto un accertamento concreto della natura dei fanghi e delle modalità di trattamento degli stessi.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, la mancanza di operazioni di scarico dei rifiuti nell’apposito registro e la presenza di vegetazione sui fanghi costituivano elementi fattuali che a parere della Cassazione dimostravano al di là di ogni ragionevole dubbio l’omesso trattamento dei fanghi ed il prolungato tempo di permanenza degli stessi nelle vasche di essicazione.
I fanghi dunque non erano destinati né allo smaltimento, né al loro recupero, ma costituivano rifiuti.
Il gestore non aveva peraltro provato l’avvio del trattamento, né aveva motivato il ritardo e questo costituiva ulteriore riprova dell’omesso trattamento.
La sentenza 36096/2011 è anche occasione per la Cassazione di ribadire che l’onere della prova incombe proprio sul produttore dei rifiuti, “in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria”.
 
 

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Sicurezza: Regolamento prevenzione incendi

Sicurezza: Regolamento di prevenzione incendi
Ministero dell’Interno, L.C. 6 ottobre 2011, Prot. 13061
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 Lo scorso 7 ottobre è entrato in vigore il nuovo regolamento di prevenzione incendi (D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151)
Il regolamento, nell’introdurre importanti elementi innovativi nella vigente disciplina della prevenzione incendi, ha inteso raccordare l’attuale quadro normativo con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e dello sportello unico per le attività produttive e, al tempo stesso, garantire il bilanciamento degli interessi fondamentali di tutela della sicurezza delle persone e dell’integrità dei beni con le esigenze di semplificazione amministrativa e di riduzione degli oneri a carico delle imprese e dei cittadini.
Al fine di offrire indirizzi applicativi uniformi sul territorio, il Ministero dell’Interno ha emanato, in data 6 ottobre 2011, la Circolare Prot. 13061 con la quale vengono fornite alcune importanti indicazioni utili per una più chiara lettura della nuova regolamentazione in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi. Nella lettera circolare sono trattati, nello specifico, i seguenti temi:
1. Le novità introdotte dal nuovo Regolamento
3. Nuovi procedimenti volontari
4. Procedimenti nel periodo transitorio
5. Documentazione e modulistica a corredo delle pratiche
6. Il sistema tariffario nel transitorio
7. Gestione transitoria dell’applicativo prevenzione incendi
 LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL NUOVO REGOLAMENTO
Attraverso il nuovo regolamento di semplificazione del procedimento di prevenzione incendi viene perseguito un duplice obiettivo:
1)    rendere più snella e veloce l’azione amministrativa,
2)    rendere più efficace l’opera di controllo dei Comandi provinciali che hanno la possibilità di concentrare la gran parte delle verifiche tecniche sulle attività con rischio di incendio più elevato.
A tal fine il nuovo regolamento distingue le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi in tre categorie A, B e C, elencate nell’allegato I al d.P.R. 151/11 che sono assoggettate a una disciplina differenziata in relazione al rischio connesso all’attività, alla presenza di specifiche regole tecniche e alle esigenze di tutela della pubblica incolumità.
Vengono quindi abrogati:
–       il decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1959, n. 689, che nelle tabelle A e B riportava le aziende e lavorazioni soggette al controllo del vigili del fuoco ai fini della prevenzione degli incendi, ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547;
–       il decreto del Ministro dell’interno 16 febbraio 1982, che nella tabella allegata conteneva l’elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 26 luglio 1965, n. 966.
Gli adempimenti connessi alla valutazione dei progetti vengono differenziati in relazione alle esigenze di tutela degli interessi pubblici: per le attività di cui alla categoria A, che sono soggette a regole tecniche e che per la loro standardizzazione non presentano particolare complessità, non è più previsto il preventivo parere di conformità dei Comandi.
In allegato si trasmette una sintesi dettagliata della circolare ministeriale. E’ possibile scaricare il testo integrale del provvedimento, unitamente alla modulistica, al seguente indirizzo internet: http://www.vigilfuoco.it/aspx/notizia.aspx?codnews=12832
 
 
 

adminSicurezza: Regolamento prevenzione incendi
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V.I.A.: Regione Veneto

 
REGIONE VENETO – V.I.A. – DGRV 1539/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La  procedura VIA ha subito due importanti interventi legislativi che hanno rielaborato interamente l’istituto dapprima con il Dlgs. 16.1.2008 n. 84 e da ultimo con Dlgs. 128/2010 (in vigore dal 28.8.2010).
Ebbene la Regione adegua la propria normativa (LRV 10/999) al Dlgs. 128/2010 (Dlgs. 152/2006) con DGRV n. 1539 del 27.9.2011.
Il testo riformato del Dlgs. 152/2006 (art. 35 comma 1) prevede che le Regioni, laddove necessario ADEGUANO il proprio ordinamento alle disposizioni del Dlgs. 152/2006 entro 12 mesi dall’entrata in vigore (ovvero entro il 28.8.2011).
In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al Dlgs. 152/2006 (come riformato).
Continua l’art. 35 al comma 2: Trascorso il termine di cui al comma 1 (28.8.2011) trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali IN QUANTO COMPATIBILI.
Il legislatore Statale dunque affida alle Regioni il solo potere di adeguamento e di compatibilità .
Ne discende che eventuali norme “innovative” delle Regioni – non compatibili con il dettato Statale – non possono essere prese in considerazione.
Vero è che l’intervento della Regione di adeguamento, che sembra essere anche tardivo rispetto alla data del 28.8.2011, avviene tramite una DGRV (Delibera di Giunta 1539/2011 del 27.9.2011 in BURV n. 76 dell’11.10.2011)
La lettura della DGRV deve essere considerata una sorta di Linea Guida (priva di valore  modificativo sia a livello di legge regionale che Statale)…la DGRV  secondo la gerarchia delle fonti, non può modificare un atto legislativo (anche Regionale).
L’intento della Delibera di Giunta è apprezzabile perché cerca di indicare ciò che resta della Legge Regionale.
Tuttavia non bisogna dimenticare che il dettato Regionale non è legge (tantomeno tramtite DGRV) e dunque eventuali indicazioni che permettano il permanere di disposizioni incompatibili con il dettato Statale …. sono sempre contestabili e non applicabili.
Lo Studio Legale  Ambiente offre in allegato breve lettura della LRV n. 10/99 oggi vigente a mezzo di prospetto finalizzato alla semplice visione del testo (senza alcun valore ufficiale).
Il testo è tratto dal sito della Regione Veneto.
L.R.V n.10/99

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Bonifiche Siti: Responsabilità degli Enti

Bonifica siti:  responsabilità degli enti
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies – art. 257 Dlgs. 152/2006
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente prosegue la pubblicazione di  schemi di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
         BONIFICA DEI SITI
L’art. 257 Dlgs. 152/2006 (Bonifica dei siti) si articola in 4 commi.
Il primo comma punisce l’inquinamento acque e suolo ( Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee)  in presenza di due presupposti:
1)    il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)
2)    se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti.
In presenza di questi presupposti il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.
Il Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies richiama per intero l’art. 257 comma 1 e ciò fa presumere che la sanzione (in quote) ivi prevista sia estesa anche alla seconda parte del comma 1 che prevede diversa fattispecie relativa alla “…mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242. In questo caso “il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con llammenda da mille euro a ventiseimila euro”.
 
Il secondo comma dell’art. 257 aggrava la pena se l’inquinamento è provocato da sostenze pericolose e “ Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro”.
La pena dell’arresto e dell’ammenda non è alternativa ma si cumula; e ciò rappresenta il maggiore disvalore del comportamento.
 
Ciò che si nota è che non sono previste sanzioni interdittive.
In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Enteex Dlgs. 231/2001 Sanzioni interdittive
art. 257 comma 1 (prima parte)(inquinamento acque e suolo) pena dell’arresto da 6 mesi a 1 annoo
con l’ammenda da 2600 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257 comma 1 (seconda parte)Omessa Comunicazione ex art. 242 Arresto da3 mesi a 1 anno
o
ammenda  da
1000 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257comma  2
Inquinamento sostanze pericolose
 
pena dell’arresto da  1 anno a 2 annie
ammenda da
5200 euro a
52000 euro
 
Da 150 a 250 quote  Non prevista

 
 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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SANZIONI SISTRI: CONSIDERAZIONI



SANZIONI SISTRI: considerazioni brevi
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati?
 
La Corte di Cassazione spiega nella relazione III/13/2011 del 20 settembre 2011 http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione_III_13_11.pdf l’attuale regime sanzionatorio del SISTRI, alla luce delle molteplici (e confuse) novità legislative sul punto.
La difficoltà interpretativa è data non solo dalle (gravi) abrogazioni (si pensi al D. L. 138/2011 prima dell’intervento del Parlamento), ma soprattutto dalle singole novelle intervenute non nel Testo Unico ambientale, ma di volta in volta nella precedente disposizione modificativa, creando un puzzle normativo di difficile soluzione, soprattutto quanto alla determinazione di vigenza delle singole leggi.
 
Ed invero l’originario art. 39 del D. Lgs. 205/2010 che ha modificato la parte IV del D. Lgs. 152/06 introducendo il SISTRI nella disciplina sui rifiuti è stato a sua volta novellato dall’art. 4 de D. Lgs. 121/2010.
Ne consegue che gli artt. 258 e 260 bis T.U.A. devono essere letti in base alla modifica operata da entrambi i testi normativi.
Molto più semplice sarebbe stato se il legislatore avesse riscritto direttamente il Testo Unico Ambientale
 
Riassumendo:
1. NATALE 2010: entra in vigore il D. Lgs. 205/2010, il cui art. 39 abroga l’art. 258, depenalizzando il trasporto di rifiuti in assenza di FIR cartaceo, reato non contemplato dal nuovo art. 260 bis.
Le ipotesi di reato sono tassative e nessuno può essere sanzionato se non in forza di una legge in vigore al momento del fatto.
Note sono le critiche dottrinali e giurisprudenziali sul punto.
 
2. 16 AGOSTO 2011: diventa vigente il D. Lgs. 121/2011, il cui art. 4 modifica l’art. 39 mediante l’aggiunta, tra l’altro del comma 2 bis.
Fino alla data di operatività del SISTRI le sanzioni da applicarsi sono quelle stabilite “nella formulazione antecedente all’entrata ini vigore del presente decreto” (da leggersi: anteriormente al Natale 2010).
Si assiste dunque ad una rinascita della normativa abrogata, limitatamente però alle sanzioni…
Si potrebbe obiettare che le sanzioni da sole non hanno alcuna valenza senza le disposizioni descriventi la condotta, ovvero nella fattispecie gli artt. 190 e 193 vecchia formulazione.
L’art. 258 vecchia formulazione è di fatto una scatola vuota, ma il buon senso impone di non sottilizzare sui principi normativi e sulla esegesi delle fonti….
 
La Corte di Cassazione, invece, impone la corretta applicazione dei principi cardine del sistema penale italiano e dunque ai sensi degli artt. 25 Cost. e art. 2 c.p., non possono essere puniti i reati ex art. 258 commessi tra Natale 2010 e Ferragosto 2011 stante l’abolitio criminis operata con il D. Lgs. 205/2010.
 
3. D. L. 138/2011: il SISTRI viene completamente abrogato. Ancora una lacuna nell’applicazione del regime sanzionatorio penalistico: tutti gli illeciti considerati reati ai sensi della normativa ambientale commessi sotto la vigenza del D. L. 138/2011 rimangono impuniti (?)
 
4. Legge n. 148/2011 di conversione con emendamenti del D. L. 138/2011: ripristino del Sistri e riassesto della normativa ambientale.
 
L’interprete è dunque chiamato a ricostruire il puzzle delle disposizioni sul SISTRI, considerando, fino al 9.2.2012 e/o giugno 2012, un doppio binario tra vecchia e nuova formulazione… chiudendo un occhio sull’effettiva portata dell’istituto della abrogazione
 
 
 
 
 
 

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RIFIUTI: CATEGORIE

 
 
CATEGORIE E ISCRIZIONE
Albo Nazionale Gestori Ambientali

Chiarimenti su passaggi iscrizione da cat. 2 e 3 a cat. 1-4 e 5.

 
A CURA DI AVV. CINZIA SILVESTRI E DOTT. DARIO GIARDI
 
Con Circolare del 28/9/2011, n. 1147 – chiarimenti su passaggi iscrizione da cat. 2 e 3 a cat. 1-4 e 5, l’Albo ha fornito ulteriori indicazioni per quelle imprese che, già iscritte alle categorie 2 e 3 (trasporto di rifiuti ammessi alle procedure semplificate), a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 205/10 che ha operato la soppressione delle citate categorie, dovranno procedere ad iscriversi nella categoria 1, 4 o 5 (trasporto di rifiuti in procedura ordinaria), a seconda della provenienza e della pericolosità dei rifiuti che intendono trasportare.
 
Già la Circolare dell’Albo n. 240 del 9 febbraio 2011 al punto C, aveva fornito indicazioni alle aziende sulle modalità di rinnovo della propria iscrizione all’Albo a seguito delle modifiche introdotte all’art. 212 dal D.Lgs. n. 205/10.
 
Con la Circolare viene precisato in particolare che:

  • qualora le imprese interessate abbiano già versato i diritti d’iscrizione nelle categorie (2 e/o 3) di appartenenza, non sono tenute a versare ulteriori diritti per la stessa annualità;
  • la dichiarazione concernente la perizia giurata sull’idoneità dei mezzi di trasporto (Delibera n. 4 del 27/9/2000 – art. 8, comma 2) è ritenuta valida purché “integrata con la descrizione specifica dei codici EER terminanti con le cifre 99 qualora presenti nelle richieste tipologie di cui agli allegati al D.M. 5/2/99”.

 
Allegato I_Circ1147_28_09_2011 (Diritti annui cat 2 e 3) (2)
 



 

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Sistri: operatività al 9 febbraio 2012?

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 
Si era anticipato con precedente news che la Commissione ambiente del Senato (parere del 23 agosto) e dal Ministero dell’Ambiente (comunicato 1° settembre), si erano schierati contro l’abrogazione del Sistri contenuta nel Dl 138/2011, in vigore dal 13 agosto scorso.
 
Ebbene nella seduta di ieri, 14 settembre, la Camera dei Deputati ha confermato il ripristino del Sistri richiesto dal Senato, con slittamento dell’operatività al 9 febbraio 2012. Ora il provvedimento di conversione in legge del dl “Anticrisi” verrà pubblicato nei prossimi giorni in Gazzetta Ufficiale.
 
 
Si legge nel testo modificato dell’art. 6 del DL 138/2011 che abrogava il Sistri:

Utilizzo più semplice?
“…Al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per consentire la progressiva entrata in operatività del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), nonché l’efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il concessionario SISTRI, assicura, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e sino al 15 dicembre 2011, la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche ai fini dell’eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, organizzando, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l’obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti…”

Operatività al 9 febbraio 2012: non per tutti?
Ed invero con formulazione letterale sempre troppo complessa e mai diretta… l’operatività è fissata:
1) produttori di rifiuti fino a 10 dipendenti –  per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 -l’entrata in operatività del Sistri non può essere antecedente al 1º giugno 2012.
2)    imprese con numero di dipendenti superiore a 10 – per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del DM 26 maggio 2011 – il termine di entrata in operatività del SISTRI è il 9 febbraio 2012
 
Si legge: “….Conseguentemente, fermo quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, lettera f-octies), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2011, per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del predetto decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, il termine di entrata in operatività del SISTRI è il 9 febbraio 2012. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Rifiuti speciali non pericolosi. Estensione?
In sostanza gli operatori che gestiscono tali rifiuti a basso impatto potranno avere la facoltà e non l’obbligo di adottare il sistema Sistri.

“…Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, sentite le categorie interessate, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, in considerazione della quantità e dell’assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, sono applicate, ai fini del SISTRI, le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi.
 
Consorzi di recupero
“…3-bis. Gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge possono delegare la realizzazione dei propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria….

adminSistri: operatività al 9 febbraio 2012?
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Reato ambientale: art. 256 comma 4

Dlgs. 231/2001 e reato ex art. 256 comma 4
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone secondo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 per i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.

Particolare attenzione all’ art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
Il comma 6 dell’art. 25 undecies del Dlgs. 231/2001 prevede la riduzione a metà della pena per le ipotesi di reato di cui all’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006 con riferimento alle sanzioni di cui al comma 2 lettera b)  dell’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001.
Recita il comma 4 dell’art. 256: Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.
Il reato prevede due diverse condotte ovvero:
1)    inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni;
2)    carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizionicomunicazioni.
Il riferimento dunque è solamente alla violazione dell’art. 256 comma 1 lett. a) e b) ; comma 3 primo e secondo periodo.
 
In particolare le pene previste per il trasgressore (Dlgs. 152/2006) e per la Società (Dlgs. 231/2001) risultano:
 

reato

Art. 256 comma 4

Pena ex Dlgs. 152/2006

Sanzione Ente

ex Dlgs. 231/2001

Sanzioni interdittive

art. 256

comma 1 lett. a)

(gestione non autorizzata)

pena dell’arresto da 1 mese e mezzo a 6 mesi

o

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Fino a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 1 lett. b)

(getione non autorizzata/rifiuti pericolosi)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 primo periodo

(discarica non autorizzata)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro.

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 secondo periodo

(discarica finalizzata smaltimento rifiuti pericolosi)

arresto da 6 mesi  a 1 anno e mezzo

e

dell’ammenda da euro 2600 a

euro 26000

Da 100 a 150 quote

Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 3 mesi

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Si ricorda che le sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 sono:
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 

adminReato ambientale: art. 256 comma 4
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Rifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?

Art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 – Cass. penale 27.7.2011 n. 29973
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Il caso prende origine dal viaggio senza FIR, di veicoli incidentati destinati alla demolizione. Rifiuti considerati pericolosi.
Il fatto si consumava sotto la vigenza dell’art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 prima della riforma avvenuta  con Dlgs. 205/2010 che modificava l’art. 258 alla luce del SISTRI.
La Cassazione si pone il problema della applicazione del nuovo art. 258, come modificato, in quanto norma più favorevole al reo (favor rei ex art. 2 c.p.).
 
La Corte di Cassazione, dunque con sentenza n. 29773/2011 ritiene depenalizzato il reato di trasporto rifiuti in assenza di formulario o con FIR incompleto proprio in quanto ipotesi illecita non più statuita dal nuovo TUA e come tale più favorevole al reo.

A dire il vero la Sentenza è un po’ confusa in quanto disserta sul punto della applicabilità del nuovo articolo 258 senza però porre a fondamento della decisione tale dissertazione.
La sentenza inoltre non può tenere conto della intervenuta abrogazione del sistema Sistri operata dal DL. 138/2011.
 
La sentenza invero deciderà che il reato non sussiste in quanto i rifiuti trasportati non sono pericolosi e dunque non si pone il problema della applicabilità della pena di cui all’art. 483 c.p..(258) – (oggetto del contendere era l’accertato trasporto di veicoli destinati alla rottamazione, circostanza che il P.M. aveva classificato come trasporto di rifiuti in assenza di formulario. La Cassazione, invece, ha escluso che le automobili fossero rifiuti perché non erano veicoli fuori uso, essendo ancora dotati di targa e potendo essere ancora utilizzati).
 
Vero è che la Cassazione pone attenzione alla novella dell’art. 258.
 
La novella a ben leggere ha modificato la fattispecie legislativa nei suoi elementi costitutivi, cancellando il reato di trasporto di rifiuti in assenza di formulario e sostituendolo con l’illecito di trasporto in assenza di copia cartacea della scheda di movimentazione SISTRI (la cui sanzione è statuita all’art. 260 bis T.U.A., oggi abrogato dal DL 138/2011).
La Dottrina si è già espressa, sollevando la questione affinché il Parlamento prendesse provvedimenti e suggerendo nelle more una soluzione di buon senso:continuare cioè l’applicazione del vecchio Codice Ambientale fintanto che il SISTRI non fosse divenuto operativo.
 
La sentenza dunque ha il merito di porre riflessione sulla applicazione dell’art. 258 comma 4 anche alle fattispecie contestate precedentemente alla entrata in vigore della nuova formulazione dlel’art. 258 (25.12.2010).
 
 
 
 

ART. 258 COMMA 4 vigente fino al 24/12/2010 ART. 258 COMMA 4 
vigente al 25/12/2010
Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulano di cui all’articolo 193ovvero indica nel formulano stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. 
….
Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto

 

adminRifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?
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Sacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Si ritiene utile presentare un riepilogo del quadro normativo europeo e nazionale, relativo alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica.

Il fine della sintesi proposta è quello di informare il sistema, chiarendo alcuni aspetti particolarmente critici circa le novità che diventeranno operative a partire dal 1 gennaio 2011 (relativamente al divieto alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica non biodegradabili così come definiti dalla norma tecnica EN 13432).
La norma europea EN 13432 “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”, adottata anche in Italia con la denominazione UNI EN 13432, definisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per poter essere definito “compostabile”:
–         Biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica;
–         Disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva);
–         Bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost (esempio: riduzione del valore agronomico e presenza di effetti ecotossicologici sulla crescita delle piante).
L’inquinamento dei sacchetti è duplice: c’è il problema dello smaltimento e quello della produzione. Si stima, infatti, che per produrne 200 mila tonnellate vengano bruciate 430  mila tonnellate di petrolio. Le alternative esistono e sono i sacchetti di tela e cotone o i sacchetti di carta riciclata capaci di portare fino a 7 kg di peso ma c’è di più. Sono gli ecoshopper che dovranno essere realizzati in bio plastica ricavata da olio di girasole, amido di mais e da altre materie vegetali e dovranno essere riutilizzabili.
La norma UNI EN 13432 è una norma armonizzata, ossia fornisce presunzione di conformità alla Direttiva Europea 2004/12/CE che modifica la direttiva 94/62/CE 94/62 EC, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.
I dettami di tali disposizioni sono stati recepiti dalla “Finanziaria 2007” Legge 27 dicembre 2006 n.296. In particolare si riportano i due commi dell’art.1 specificatamente dedicati a tale tematica:
“1129. Ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agroindustriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall’anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili. 1130. Il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario.”
All’art. 23, del Decreto  decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, (nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 150 del 1 luglio 2009), coordinato con la legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, recante: «Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di termini, viene introdotto il comma 21-novies che proroga al 1° gennaio 2011 il termine originariamente previsto al 1° gennaio 2010 che vieta la commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili.
Ciò in quanto non è ancora stato definito il programma (da notificarsi in sede comunitaria)  che dovrà prevedere specifiche misure  da introdurre nell’ordinamento per avviare una graduale dismissione di tali sacchetti.
La confusione intorno alla ipotetica messa al bando, dal 1 gennaio 2010, dei sacchetti in plastica parte dalla Legge Finanziaria 2007 che prevedeva, ai commi 1129 1130, l’avvio di un programma sperimentale volto alla progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci non biodegradabili, nonché il rinvio a due decreti ministeriali, mai pubblicati, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (quindi, entro il 30 aprile 2007); questi avrebbero dovuto individuare misure “da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci”.
Il Ministero – si legge nella circolare FGP – ha precisato che sono emerse difficoltà a formulare, entro aprile 2007 (data indicata dalla Finanziaria per l’emanazione dei decreti, ndr), il programma sperimentale per la progressiva riduzione dell’immissione in commercio di sacchetti in materiali non biodegradabili. Peraltro, ha dichiarato il Ministero, sono stati valutati gli effetti della norma sull’assetto produttivo, cui hanno fatto seguito valutazioni che hanno indotto a ritenere necessaria la determinazione di un più ampio periodo di transizione rispetto ai tre anni indicati dalla norma.
Nelle intenzioni del legislatore, lo slittamento di un anno dovrebbe, quindi, consentire di adeguare le strutture produttive e distributive alla nuova disciplina considerata “la non semplice definizione sul piano operativo del programma” e per consentire, si legge nella relazione “un impatto morbido sul sistema produttivo e di distribuzione commerciale”.
 

adminSacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo
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Sistri: anteprima di “ripristino”

Ancora novità
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
Crea persino imbarazzo continuare a parlare di Sistri e soprattutto ciò genera confusione applicativa.
Vero è che, come già anticipato in precedente news su questo sito, l’operatore deve usare prudenza nell’abbandonare la via tracciata.
Le scelte governative sembrano allo sbando, senza rotta, ondivaghe e dunque appare prudente attendere l’esito finale e definitivo ovvero la sorte del DL 138/2011.
 
In questo contesto e con i dovuti dubbi si informa che la legge di conversione del “Dl anticrisi” (Dl 138/2011) dovrebbe introdurre una disposizione specifica che ripristina il sistema di tracciabilità dei rifiuti precedentemente abrogato.
Il provvedimento si adegua così a quanto richiesto dalla Commissione ambiente del Senato (parere del 23 agosto) e dal Ministero dell’Ambiente (comunicato 1° settembre), che si erano schierati contro l’abrogazione del Sistri contenuta nel Dl 138/2011, in vigore dal 13 agosto scorso.
 
Secondo quanto scritto nell’emendamento attualmente approvato in commissione bilancio, il Ministero dell’Ambiente dovrà assicurare sino al 15 dicembre 2011 la verifica delle componenti software e hardware del sistema, anche ai fini dell’eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l’obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti.
 
Viene fatta salva la disposizione prevista dall’articolo 6, comma 2, lettera f-octies del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 secondo la quale  per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 (produttori di rifiuti fino a 10 dipendenti), l’entrata in operatività del Sistri non può essere antecedente al 1º giugno 2012.
 
Per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 e cioè le imprese con numero di dipendenti superiore a 10, il termine di entrata in operatività del SISTRI è il9 febbraio 2012.
 
Viene, inoltre, previsto che con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, sentite le categorie interessate, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, siano individuate specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, in considerazione della quantità e dell’assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, vengano applicate, ai fini del sistema di controllo di tracciabilità dei rifiuti, le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi.
 
Gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge, possono delegare la realizzazione dei propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria.

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Acque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001

Schema dell’art. 137
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone primo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 e i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
L’intento in questa prima fase è di fornire una analisi semplicemente descrittiva.
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
Il Decreto ha inserito l’art. 25 undecies al Dlgs. 231/2001 dedicandosi ai “reati ambientali”.
Ciò significa che l’Ente (Società) risponderà in “via amministrativa” dei reati ambientali commessi dai soggetti di cui all’art. 5 del Dlgs. 231/2001 e nei modi e limiti ivi descritti.
Il Decreto impone molte novità anche applicative e una nuova gestione organizzativa.
 
L’art. 25 undecies prevede, con riferimento all’art. 137 Dlgs. 152/2006 (acque industriali), la responsabilità anche dell’Ente (società).
 
In particolare, l’art. 25 undecies comma 2 lettera a) n. 1 considera le seguenti fattispecie di reato:
1) art. 137 comma 3: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni.
2) Art. 137 comma 5, primo periodo: Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
3)             Art. 137 comma 13: Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente

In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
art. 137 comma 3
 
l’arresto fino a due anni 150 a 200 quote
137 co.5 primo periodo l’arresto fino a due anni
e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
 
150/200 quote
137 co. 13 dell’arresto da due mesi a due anni 150/200 quote

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Il secondo blocco di reati è previsto dall’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001 comma 2 lettera a) n. 2 e si distingue per un maggiore rigore sanzionatorio laddove prevede:
1)    quote maggiori a carico delle Società (da 200 a 300 quote);
2)    l’applicazione di sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 quali
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 
In particolare:
 
1) art. 137 comma 2: Quando le condotte descritte al comma 1 (ovvero 1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata…), riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni.
2)    Art. 137 comma 5 secondo periodo: Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
3)    Art. 137 comma 11:  Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 (Scarichi sul suolo) e 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) è punito con l’arresto sino a tre anni.
 
In sintesi
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
Art. 25 undecies comma 7
art. 137 co. 2
 
dell’arresto da tre mesi a tre anni.
 
200 a 300 quote  
 
 
Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 6 mesi.
137 co. 5 secondo periodo l’arresto da sei mesi a tre anni
e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
200 a 300 quote
137 co. 11 l’arresto sino a tre anni. 200 a 300  quote
adminAcque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001
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Sistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri

a cura di avv. Cinzia Silvestri


 
 
 
Con un colpo di spugna, silente, il Sistri scompare dai nostri pensieri.
Un sistema complesso, colmo di difetti, incapace da tempo di giungere alla definizione perchè mal pensato e poco raggiungibile ai più.
Eppure il Sistri ha avuto un grande pregio: avvicinare una grande parte di popolazione al problema rifiuti. Pochi conoscono le problematiche ambientali e  la loro complessità ma la parola Sistri ormai era divenuta nota a tutti coloro che producono…rifiuti. E non è poco.
 
Ebbene: Con DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. (11G0185) (GU n.188 del 13-8-2011 ) entrato in vigore il 13/08/2011 l’art. 6 comma 2 :…..ABROGA il Sistri.
Certo è un Decreto Legge in attesa di conversione e tutto può ancora succedere.
In ogni caso rileva il coraggio della scrittura che cancella un ammasso di norme e di scritti nonchè la inutile fatica di molti giuristi che si sono districati tra le incomprensibili norme spesso contrastanti, non armoniche, oscure nella forma anche letterale, cercando di porre chiarezza e conoscenza ad un sistema…. chiaro solo alle menti creative che lo hanno fatto nascere.
 
Ebbene con decreto legge già in vigore dal 13.8.2011 il Governo ha abrogato:
1) l’articolo 14-bis del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78,convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; ovvero l’articolo madre del Sistri; l’articolo che ha segnato l’inizio di questa avventura costosae quasi inutile.
2) il comma 2, lettera a), dell’articolo  188-bis: ovvero l’articolo che poneva nel Codice ambientale Dlgs. N. 152/2006 il Sistri;  richiamo che attribuiva al Sistri nuovo rango e importanza: “a) nel rispetto degli obblighi istituiti attraverso  il  sistema di controllo  della  tracciabilita’  dei   rifiuti   (SISTRI) di  cui all’articolo 14-bis  del decreto-legge  1°   luglio   2009,   n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102,  e al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009;”
3) l’articolo 188-ter, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  e  successive modificazioni; ovvero l’articolo che elencava i numerosi soggetti tenuti alla iscrizione al Sistri; soggetti obbligati e non obbligati anche a pagare il contribuito.
Che ne sarà di questo contributo?
4) l’articolo 260-bis del decreto legislativo 3 aprile  2006, n. 152/2006 e successive modificazioni; cancellato l’articolo più impegnativo ovvero la sanzione Sistri per eccellenza, frutto di nuova codificazione ed intitolato proprio al Sistrema di tracciabilità dei rifiuti.
5) il  comma  1,  lettera  b),  dell’articolo  16  del   decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205; articolo che introduceva nel codice ambientale proprio gli articoli 188 bis e 188ter dedicati e creati per il Sistri; dedicati ad individuare i soggetti tenuti al Sistri e le loro responsabilità.
6) l’articolo 36, del decreto legislativo  3  dicembre  2010,  n. 205 limitatamente al capoverso «articolo 260-bis»; dunque rimane vigente l’art. 260 ter, relativo alle sanzioni accessorie? Ripete il Governo la abrogazione dell’art. 260 bis ma precisa ..solo dell’art. 260 bis.
7) il decreto del  Ministro  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e  del  mare  in  data  17  dicembre  2009 e  successive modificazioni; il Governo va alla fonte e abroga il decreto ministeriale origine  di tutto. Decreto recepito ed elevato a rango primario dal Dlgs. 205/2010 dall’art. 188 comma 2 lettera a) (di cui sopra).
8) il decreto del Ministero  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e del mare, 18 febbraio 2011 n. 52; ed ancora perchè sia chiaro il Governo abroga l’ultimo decreto Sistri.
 
Ed infine al comma 3 dell’art. 6 il Governo precisa:
Resta ferma l’applicabilita’ delle altre  norme  in  materia  di gestione dei rifiuti; in particolare, ai sensi dell’articolo 188-bis, comma 2, lettera b), del decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  i relativi adempimenti possono essere  effettuati  nel  rispetto  degli obblighi relativi alla  tenuta  dei  registri  di  carico  e  scarico nonche’ del formulario di identificazione di cui agli articoli 190  e 193  del  decreto  legislativo  n.  152   del  2006   e   successive modificazioni.
 
Sembra un ritorno al passato ma non lo è.
 
I Decreti del Ministero dell’ambiente sul Sistri erano già confluiti nel Dlgs. 152/2006 ovvero nel codice ambientale che ha subito forti cesure da questo decreto .
Con chiarezza questo decreto ha espunto la normativa di richiamo Sistri, l’art. 260  bis (ma non il 260 ter), l’art. 188 bis e 188ter .
Non è il caso di commentare ciò che resta perchè l’imprevedibilità del legislatore italiano impone cautela e l’attesa della legge di conversione.
Ad oggi basti sapere che il sistema Sistri si è arenato, fermato …. sospeso.

adminSistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri
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Rifiuti: DISCARICHE RIFIUTI SPECIALI NON PERICOLOSI

Corte costituzionale n. 244//2011
Art. 33 comma 2 L.R. Veneto 3/2000: incostituzionalità

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati

La Corte Costituzionale “bacchetta” la Regione Veneto e soprattutto precisa ciò che spesso viene dimenticato:
1)           la competenza legislativa in materia ambientale spetta allo stato e non alla Regione
2)           ribadisce l’uso improprio delle Regioni e delle amministrazioni di far valere normativa regionale ormai abrogataanche implicitamente dalle leggi dello Stato per espressa incompatibilità
 
L’art. 33 comma 2 L.R. 21.1.2000, n. 3 deve essere così letto a seguito della sentenza n. 244 del 25.7.2011 della Corte Costituzionale: “Nelle discariche di cui al comma 1 è riservata una quota (non superiore al venticinque per cento della capacità ricettiva) per lo smaltimento di rifiuti speciali conferiti da soggetti diversi da quelli indicati al medesimo comma”.
 
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 comma 2 L.R.3/200 limitatamente alla parte racchiusa tra parentesi perché in contrasto con gli artt. 3, 41 e 117 Cost.
 
Il principio espresso dalla Corte è applicabile anche se nelle more del giudizio è entrato in vigore il correttivo al T.U.A (D.Lgs. 205/2010), in quanto l’attuale art. 182 bis riprende il vecchio art. 182 e dunque la necessità che i rifiuti speciali non pericolosi debbano essere smaltiti in apposite discariche, da individuarsi in base alla tipologia del rifiuto, al contesto geografico e con la finalità di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi.
 
Questi i fatti da cui ha avuto origine la pronuncia della Consulta.
 
La Regione del Veneto autorizzava la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza regionale ed extraregionale, limitando però lo smaltimento di questi ultimi ad una soglia non superiore al 25% della capacità recettiva dell’impianto, diversamente da quanto richiesto, e ciò proprio ai sensi dell’art. 33 comma 3 L.R.Veneto 3/2000.
 
Il TAR Veneto, con ordinanza 3.6.2010, n. 368, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 comma 2 L. 3/2000 in riferimento agli artt. 3, 41 e 117 Cost e del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima disposizione in riferimento all’art. 120 Cost.
 
La Corte Costituzionale ritiene inammissibile la seconda questione sollevata, perché viziata da evidente aberrazione interpretativa”, stante l’abrogazione tacita della legislazione in contrasto con il T.U. Ambientale ai sensi dell’art. 1 comma 2 L.5.6.2003, n. 131.
L’art. 33 comma 3 è stato abrogato tacitamente per contrasto con il D. Lgs. 152/06.
È dunque “contraddittoria l’argomentazione del rimettente che ritenendo tacitamente abrogate le disposizioni legislative regionali in contrasto con l’intervenuta legislazione statale nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato,seziona la portata della disposizione regionale, facendone sopravvivere una parte priva di contenuto precettivo”.
 
La questione costituzionale in merito al comma 2 è stata invece ritenuta fondata.
 
La Corte ribadisce innanzitutto che la disciplina dei rifiuti si colloca nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117 comma 2 lettera s) Cost.

La Regione può dunque legiferare in materia di rifiuti, ma solo con norme di dettaglio all’interno di quanto già stabilito dallo stato.
L’art. 33 comma 2 L.R.3/2000, invece disciplina un autonomo principio, estraneo alla legislazione statale e dunque è incostituzionale per violazione del riparto delle competenze legislative.
 
L’imposizione di limiti considerevoli alla fruibilità delle discariche comporta inoltre una maggiore movimentazione dei rifiuti nel territorio, con aumento inutile di costi.
 
Innegabile, inoltre, che i rifiuti costituiscano altresì prodotto da quale trarre profitto e dunque limitare l’impiego delle discariche importa altresì la violazione dell’art. 41 Cost, perché si incide negativamente sulla libera iniziativa economica.

adminRifiuti: DISCARICHE RIFIUTI SPECIALI NON PERICOLOSI
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Sicurezza: Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08

Indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione – A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Con nota 11 luglio 2011 Prot. 15/VI/0015816, il Ministero del Lavoro ha informato dell’avvenuta approvazione, da parte della Commissione consultiva, di un modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08 e delle indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare (comma 3 dell’art. 30 del D. Lgs. 81/2008) per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione definito conformemente alle Linee Guida UNI-INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007.
 
Il documento, congiuntamente alla tabella di correlazione, che si allega, ha l’obiettivo di fornire indicazioni alle Aziende che si sono dotate o che,  in attesa della definizione di procedure semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese, intendono dotarsi di un modello di organizzazione e di gestione della sicurezza conforme alle Linee Guida UNI INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007, affinché possano:
a) accertare, in un processo di autovalutazione, la conformità del proprio Modello ai requisiti di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni e integrazioni, di seguito D.Lgs. n. 81/2008, per le parti corrispondenti;
b)   apportare eventuali integrazioni organizzative e/o gestionali e/o documentali, necessarie allo scopo di rendere il proprio modello di organizzazione e di gestione conforme ai requisiti di cui all’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008, con particolare riferimento al sistema di controllo (comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008)  ed al sistema disciplinare (comma 3 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008).
 
Dalla Tabella di Correlazione allegata emerge che l’unica parte non corrispondente tra le Linee Guida UNI – INAIL, le BS OHSAS 18001:2007 e quanto richiesto all’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, è l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
 
Per “non corrispondente” si intende che il sistema disciplinare non è indicato come requisito del Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro descritto dalle Linee Guida UNI INAIL e dalle BS OHSAS 18001:2007, mentre è espressamente richiesto come requisito essenziale dall’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008.
 
A supporto delle attività di cui ai succitati punti a) e b), si riportano nei paragrafi che seguono:
1)    alcuni chiarimenti in merito alla conformità del sistema di controllo di cui al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 rispetto ai contenuti delle Linee Guida UNI-INAIL e delle BS OHSAS 18001:2007;
2)    indicazioni per l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello di Organizzazione e Gestione attuato  dall’azienda in applicazione dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008.
 

Chiarimenti sul sistema di controllo nel Modello di organizzazione e gestione ex artICOLO 30 del D.Lgs. n. 81/2008

L’articolo 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 dispone che: “…Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico”.
 
Qualora un’azienda si sia dotata di un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro conforme ai requisiti delle Linee Guida UNI-INAIL o delle BS OHSAS 18001:2007, essa attua il proprio sistema di controllo secondo quanto richiesto al comma 4 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 81/2008, attraverso la combinazione di due processi che sono strategici per l’effettività e la conformità del sistema di gestione stesso: Monitoraggio/Audit Interno e Riesame Della Direzione.
Si evidenzia però come tali processi rappresentino un sistema di controllo idoneo ai fini di quanto previsto al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 solo qualora prevedano il ruolo attivo e documentato, oltre che di tutti i soggetti della struttura organizzativa aziendale per la sicurezza, anche dell’Alta Direzione (intesa come posizione organizzativa eventualmente sopra stante il datore di lavoro) nella valutazione degli obiettivi raggiunti e dei risultati ottenuti, oltre che delle eventuali criticità riscontrate in termini di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Con il termine “documentato” si intende che la partecipazione dell’Alta Direzione sia comprovata da atti e documenti aziendali. Si evidenzia infine come, l’audit interno deve verificare anche l’effettiva applicazione del sistema disciplinare.
 

Indicazioni per l’adozione del Sistema Disciplinare nel Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 del D. Lgs. 81/08

L’articolo 30, comma 3, del D.Lgs. n. 81/08 annovera, tra gli elementi di cui si compone il Modello di Organizzazione e gestione, l’adozione di un “sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate dal modello”.
E’ quindi necessario che l’Azienda sia dotata di procedure per individuare e sanzionare i comportamenti che possano favorire la commissione dei reati di cui all’articolo 300 del D. Lgs. n. 81/2008 (articolo 25-septies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modifiche e integrazioni, di seguito D. Lgs. n. 231/2001) e il mancato rispetto delle misure previste dal modello. Il tipo e l’entità dei provvedimenti disciplinari saranno coerenti con i riferimenti legislativi e contrattuali applicabili e dovranno essere documentati.
 
Il sistema disciplinare dovrà essere definito e formalizzato dall’Alta Direzione aziendale e quindi diffuso a tutti i soggetti interessati quali ad esempio:
–       Datore di lavoro (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Dirigenti (articolo 2, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2008) o altri soggetti in posizione apicale;
–       Preposti (articolo 2, comma 1, lett. e, D.Lgs.  n. 81/2008);
–       Lavoratori (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Organismo di Vigilanza (ove istituito un modello ex D.Lgs. n. 231/2001);
–       Auditor/Gruppo di audit.
 
L’azienda dovrà, inoltre, definire idonee modalità per selezionare, tenere sotto controllo e, ove opportuno, sanzionare collaboratori esterni, appaltatori, fornitori e altri soggetti aventi rapporti contrattuali con l’azienda stessa. Perché tali modalità siano applicabili l’azienda deve prevedere che nei singoli contratti siano inserite specifiche clausole applicative con riferimento ai requisiti e comportamenti richiesti ed alle sanzioni previste per il loro mancato rispetto fino alla risoluzione del contratto stesso.
 
 
Allegato:

TABELLA DI CORRELAZIONE ARTICOLO 30 D. LGS. n. 81/2008 – LINEE GUIDA UNI INAIL – BS OHSAS 18001:2007

PER IDENTIFICAZIONE DELLE “PARTI CORRISPONDENTI” DI CUI AL COMMA 5 DELL’ARTICOLO 30
 
 
Nella tabella che segue sono riportate esclusivamente le correlazioni tra i requisiti di cui all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 con quelli delle Linee Guida UNI INAIL (Linee Guida per un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL) e delle BS OHSAS 18001:2007.
 
 

Rif. Art. 30 D. Lgs. n. 81/2008
Rif. Linee Guida UNI INAIL (2001)
Rif. BS OHSAS 18001:2007
c.1 lett. a: rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici.
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1    Il sistema di gestione
E.6    Documentazione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1     Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.4  Documentazione
4.4.6  Controllo operativo
4.5.2  Valutazione della conformità
c. 1 lett. b: attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti.
A.     Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1      Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.6  Controllo operativo
c. 1 lett. c: alle attività di natura organizzativa, quali:
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.    Pianificazione
E.2   Definizione dei compiti e delle responsabilità
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3   Pianificazione
emergenze
Primo soccorso
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.7 Preparazione e risposta alle emergenze
Gestione appalti
E.5  Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.3.1 Comunicazione
4.4.6    Controllo operativo
Riunioni periodiche di sicurezza
E.3   Coinvolgimento del personale
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
Consultazione dei RLS
B.      Sequenza ciclica di un SGSL
C.      La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.3  Coinvolgimento del personale
4.2      Politica della sicurezza e salute sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità, e autorità
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
c. 1 lett. d: alle attività di sorveglianza sanitaria
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1 Requisiti generali
4.2 Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
c. 1 lett. e: alle attività di informazione e formazione
A.    Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.4   Formazione, addestramento, consapevolezza
E.5   Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
4.1     Requisiti generali
4.2     Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.2  Competenza, addestramento, consapevolezza
c. 1 lett. f: alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1    Monitoraggio interno della sicurezza (1° livello)
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 1 lett.g: all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge
A.   Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.   Pianificazione
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.2 Prescrizioni legali e di altro tipo
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.2 Valutazione della conformità
c. 1 lett. h: alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate
A.    Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza (2° livello)
F.2  Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3  Piano del Monitoraggio
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 2: il modello organizzativo e gestionaLE DI CUI AL C. 1 DEVE PRECEDERE IDONEI SISTEMI DI REGISTRAZIONE DELL’AVVENUTA EFFETTUAZIONE DELLE ATTIVITà DI CUI AL COMMA 1
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.4 Controllo delle registrazioni
C. 3: IL MODELLO ORGANIZZATIVO DEVE IN OGNI CASO PREVEDERE, PER QUANTO RICHIESTO DALLA NATURA E DIMENSIONI DELL’ORGANIZZAZIONE E DEL TIPO DI ATTIVITÀ SVOLTA, UN’ARTICOLAZIONE DI FUNZIONI CHE ASSICURI LE COMPETENZE TECNICHE E I POTERI NECESSARI PER :
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.2  Definizione dei compiti e delle responsabilità
E.4  Formazione, addestramento, consapevolezza
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità e autorità
4.4.2 Competenza, addestramento e consapevolezza
la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio;
D.    Pianificazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.3    Pianificazione
4.3.1 Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.3 Obiettivi e programmi
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

 

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