Scarichi reflui industriali: sanzione penale SOLO per violazione tabella 5 allegato 5

(DDL 1755 approvato dal Senato in data 19.11.2009) – a cura avv. Cinzia Silvestri


E’ stato approvato (19.11.2009) dal Senato il testo che modifica l’art. 137 comma 5 Dlgs. 152/2006 ss.m..
La parola ora passa alla Camera.
Di interesse la Relazione tecnica che accompagna i lavori che si esprime giudicando “irrazionali” gli ampliamenti alla applicazione delle sanzioni penali.
La nota tecnica ribadisce la necessità di riportare nell’ambito delle sanzioni amministrative la violazione dei limiti tabellari dell’allegato 5 tabella 3 e 4 e di riservare SOLO ALLA VIOLAZIONE DELLA TABELLA 5 LA SANZIONE PENALE.
Si riporta di seguito la bozza di riforma dell’art. 137 comma 5 pur non definitivo:
DISEGNO DI LEGGE
D’iniziativa del Governo
Testo proposto dalla Commissione
(Modifica dell’articolo 137, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)
1. Il primo periodo del comma 5 dell’articolo 137 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, è sostituito dal seguente:

«Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro».
 

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Trasporto occasionale di rifiuti propri non pericolosi senza iscrizione Albo gestori

… è reato.
(Cassazione penale n. 9465 del 3.3.2009)
A cura dell’avv. Cinzia Silvestri
L’art. 212 comma 8 Dlgs. n. 152/2006 (come modificato dal Dlgs. n. 4/2008) stabilisce che le disposizione di cui al comma 5 (iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali), 6 (rinnovo iscrizione) e 7 (garanzie)  non si applicano :
1) ai produttori iniziali di rifiuti non pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto dei propri rifiuti;
2) ne’ ai produttori iniziali di rifiuti pericolosi che effettuano operazioni di raccolta e trasporto di 30 Kg. o 30 litri al giorno dei propri rifiuti pericolosi
a condizione che tali operazioni costituiscano parte integrante ed accessoria dell’organizzazione dell’impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti…
Il legislatore introduce, dunque, un regime agevolato che prevede l’iscrizione in apposita sezione dell’Albo.
L’iscrizione agevolata – che non richiede ad esempio la prestazione di garanzie, il controllo sulla capacità finanziaria e la nomina del responsabile tecnico – è riferibile a quelle imprese che producono rifiuti propri (nelle ipotesi sopra descritte) e nell’ambito della propria organizzazione d’impresa .
La produzione del rifiuto proprio deve essere parte integrante ed accessoria dell’organizzazione d’ impresa.
Tale condizione, necessaria per poter ottenere la iscrizione agevolata, apre dibattito sulla questione del trasporto occasionale o che riguardi rifiuti propri ma non preventivabili in seno al ciclo produttivo.
Ed invero l’art. 212 sembra indicare l’obbligo ordinario o agevolato della iscrizione all’Albo a coloro che comunque svolgono un attività regolare e continuativa, tant’è che l’assenza di tale presupposto permette di ipotizzare che la produzione di rifiuto proprio “occasionale” esenta la società da ogni iscrizione all’Albo.
La sentenza  , invece, afferma che qualora una società produca rifiuti propri non pericolosi ma con carattere di occasionalità e in modo non preventivabile all’origine è sempre tenuta alla iscrizione all’Albo in via agevolata o in via ordinaria .
In ogni caso qualora il rifiuto proprio esuli dall’ambito descritto dal comma 5 dell’art. 212 Dlgs. n. 152/2006 ss.m. ovvero non sia riconducibile alla attività svolta dall’impresa e, dunque, sia “occasionale”, la società non può mai operare il trasporto con mezzi propri ma deve rivolgersi a società regolarmente autorizzate ed iscritte all’Albo.
Ed invero l’eventuale trasporto operato integra il reato di cui all’art. 256 comma 1 Dlgs. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata).
 

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Formulario: bisogna indicare anche l’orario

(Cassazione civile n. 21260 del 5.10.2009)
La sentenza si distingue per la rilevanza pratica ed operativa delle sue statuizioni; statuizioni riferite ancora al D.Lgs. n. 22/97 (art. 15 e 52 comma 3) ma ad oggi ancora attuali sotto la vigenza del D.Lgs. 152/2006 ss.m..
Ed invero l’art. 193 comma 1 del  D.Lgs. n. 152/2006 (ex art. 15 D.Lgs. n. 22/97) ha ribadito che “i rifiuti sono accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati…”.
Rispetto alla dizione di cui all’art. 15 pregresso la parola “almeno” indica che l’elenco di cui alle lettere a) b) c) d) e) costituisce requisito di base e meramente indicativo del contenuto del FIR.L’art. 193 comma 6 lett. a) richiama espressamente proprio il DM 1.4.1998 n. 145 applicabile “sino alla emanazione del decreto del Ministero…”.
Ebbene la sentenza precisa alcuni punti:
1) Formulario: bisogna indicare anche l’orario
La Corte afferma che il DM n. 145/98 ha natura integrativa del precetto contenuto nell’art. 15 DLgs. n. 22/97 (articolo che conteneva l’espressione “in particolare”) .Motiva la Corte che l’art. 1[1] della legge n. 689/81 pone per le sanzioni amministrative una riserva di legge che impedisce che le sanzioni possano essere comminate da disposizioni contenute da fonti normative subordinate. Tuttavia qualora il precetto imposto dalla legge sia sufficientemente individuato (come nel caso dell’art. 15 e odierno art. 193) può essere utilmente integrato da fonte regolamentare delegata proprio in ragione della tecnicità della richiesta. Ne consegue che poiché il DM 145/98 (ancor oggi applicabile) prescrive al punto 10 la indicazione dell’orario, l’ eventuale omissione integra la violazione dell’art. 52 comma 3 D.lgs. 22/97 (oggi art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 ss.m.).
2) Formulario: risponde anche il produttore
La Corte precisa inoltre che nel caso di formulario completo o inesatto risponde della sanzione di cui all’art. 52 comma 3 (oggi art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 ss.m.) anche il produttore (detentore). La norma sanziona infatti la condotta di “chiunque effettua il trasporto senza formulario” ovvero “ indica nel formulario stesso dati completi o inesatti”. Tale dizione coinvolge nella filiera delle responsabilità il produttore tenuto alla compilazione stessa del FIR ed il trasportatore.La Corte non affronta il problema della corresponsabilità dei soggetti tenuti alla firma del FIR. Ed invero si consideri che il FIR viene compilato proprio dal produttore (detentore) e che il trasportatore è tenuto a dovere di controllo della regolarità dello stesso a pena di corresponsabilità.


[1] art. 1 L. n. 689/81: “ Nessuno può essere assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza di una legge …”

 

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DISEGNO DI LEGGE: SOLUZIONE AL PROBLEMA APPLICATIVO DELL’art. 137 COMMA 5 D.Lgs. n. 152/2006

A cura di avv. Cinzia Silvestri
27 agosto 2009
Premessa
La poca chiarezza, anche letterale, del legislatore obbliga alla interpretazione della norma ed il contrasto interpretativo di una norma ad opera della Cassazione genera incertezza applicativa ma anche disparità di trattamento della medesima fattispecie.
E’ il caso relativo alla interpretazione dell’art. 137 comma 5 D.Lgs. n. 152/2006 ss.m. che trae origine dal contrasto giurisprudenziale sorto a causa delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 258/2000 all’art. 59 D.Lgs. n. 152/1999.Il problema è capire se la violazione dei limiti tabellari, ad esempio, BOD5 (compreso nella tabella 3 dell’allegato 5 ma non nella tabella 5) sia punibile con sanzione amministrativa (art. 133) o penale (art. 137 comma 5).
Il problema è capire se la violazione dei limiti tabellari quali,“oli minerali persistenti” (n. 12 della tabella 5 che non trova corrispondenza precisa nella tabella 3) costituisca illecito penale (137) o amministrativo (133).
Vero è che recenti sentenze della Cassazione penale[1] che accolgono l’ interpretazione rigorosa e punitiva della norma hanno creato vero e proprio allarme operativo e confusione applicativa tra le amministrazioni ma anche tra gli operatori (gestori, titolari di autorizzazioni, privati ecc…) che vedono le Procure interessarsi di violazioni che fino a ieri erano di competenza delle amministrazioni.
Purtroppo e sempre più spesso il pensiero delle Corti è lontano dalla realtà applicativa e dalle problematiche relative alla gestione degli impianti di depurazione; problematiche che non possono trovare soluzione nella sanzione penale laddove il bene “ acqua” richiede per la sua tutela un intervento legislativo chiaro,  capace e dissuasivo ma anche tempestivo e concreto. La sanzione penale ed il suo lungo percorso processuale genera costi per ogni parte e spesso si affossa proprio nel gioco difensivo e nella particolarità di ogni situazione.Ebbene l’ interpretazione dell’art. 137 co. 5 D.Lgs. n. 152/2006 è esempio di incertezza applicativa che porta però conseguenze macroscopiche ed irragionevoli.
Si auspica l’intervento del legislatore che possa dirimere e chiarire la questione; questione che in realtà avrebbe già soluzione nella corretta lettura della norma e delle sue modifiche.   
Schemi
Prima di indicare le diverse posizioni assunte dalla Corte di Cassazione penale ed il contrasto tra le stesse è utile avere chiarezza delle norme richiamate.

art. 21 comma 3Legge 319/1976 art. 59D.Lgs. n. 152/99 art. 59D.Lgs. n. 152/1999 come riformato dal D.Lgs. n. 258/2000 art. 137 comma 5D.Lgs. n. 152/2006
Fatte salve le disposizioni penali di cui al primo e al secondo comma, l’inosservanza dei limiti di accettabilità stabiliti dalle regioni ai sensi dell’art. 14, secondo comma, ove non costituisca reato o circostanza aggravante, è punita con la sanzione amministrativa da lire tre milioni a lire trenta milioni. Per gli scarichi da insediamenti produttivi, in caso di superamento dei limiti di accettabilità delle tabelle allegate alla presente legge e, se recapitano in pubbliche fognature, di quelli fissati ai sensi del n. 2) del primo comma dell’art. 12, si applica la pena dell’ammenda da lire quindici milioni a lire centocinquanta milioni o dell’arresto fino ad un anno (1). 5. Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, ovvero da una immissione occasionale,
 
supera i valori limite fissati nella tabella 3 dell’allegato 5in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5
 
ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o delle province autonome,
 
 
 
 
 
è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3 A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda a lire dieci milioni a lire duecento milioni.
5. Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, 
 
 
supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5
 
ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma degli articoli 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5,
 
 
è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A dell’allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni (1).
5. Chiunque, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, 
 
superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto,
 
oppure superi i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto,
 
è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo Allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro,

 
E’ evidente che il legislatore, forse nel tentativo di chiarire, ha invece complicato la lettura delle norme offrendo spazio per la odierna confusione applicativa.In particolare: 
D.Lgs. n. 152/1999 art. 59 (prima formulazione)
La prima versione del D.Lgs. n. 152/1999 indicava la sanzione penale nel solo caso di violazione “in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5”. Pertanto colui che versava, ad esempio, cadmio (tabella 5 e 3) oltre i limiti indicati in tabella 3 rispondeva penalmente.Si noti che la collocazione del richiamo allatabella 5 avviene prima della indicazione relativa alle Regioni laddove la parola “ovvero” sembrava avere valore integrativo.Non si rinvengono pronunce della Cassazione che abbiano escluso la riferibilità della tabella 5 ai limiti più restrittivi fissati dalle Regioni in forza del mancato richiamo letterale espresso.
D.Lgs. n. 258/2000 – art. 59
A ben guardare la dizione di cui al D.Lgs. n. 258/2000 mantiene la stessa impostazione previgente ma aggiunge il richiamo anche alla tabella 4 nel caso di scarico sul suolo. La collocazione del riferimento alla tabella 5 posta al termine delle ipotesi previste sembra suggerire, senza particolare sconvolgimento operativo, le tre seguenti ipotesi:  1) violazione tabella 3 con riferimento tabella 5; 2) violazione tabella 4 con riferimento tabella 5; 3) violazione limiti più restrittivi delle Regioni con riferimento tabella 5 .Ebbenecerta giurisprudenza ha inteso attribuire allo spostamento sistematico del riferimento alla tabella 5diversa interpretazione concludendo che la tabella 5 è riferibile solo all’ultimo inciso relativo ai limiti della Regione; ne consegue che ogni violazione delle sostanze di cui alla tabella 3 (non 5) diventa penalmente perseguibile.
D.Lgs. n. 152/2006 art. 137
L’art. 137 mantiene la dizione precedente e si limita a modificare la parola “ovvero” in “oppure” acquisendo chiara valenza disgiuntiva. Ebbene in questo contesto applicativo certa giurisprudenza ha ritenuto che l’inciso “oppure” fosse elemento in grado di allargare l’ambito applicativo della sanzione penale. Tuttavia si segnala che, a parere della scrivente, le tre ipotesi sono tutte alternative in quanto può essere violata, ad esempio, la emissione di cadmio in relazione al parametro indicato nella tabella 3 e 5 (emissione in acque superficiali), oppure il selenio (Tabella 4 e 5) (emissione nel suolo) oppure il limite più restrittivo, ad esempio, del cadmio fissato dalla Regione X .
Art. 54 D.Lgs. n. 152/1999 e art. 133 D.Lgs. n. 152/2006
Le sentenze che sostengono l’applicazione della sanzione penale dimenticano volentieri l’esistenza dell’art. 54 e 133 .

art. 54D.Lgs. n. 152/99 art. 54D.Lgs. n. 152/1999 come riformato dal D.Lgs. n. 258/2000 art. 133D.Lgs. n. 152/2006
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico ovvero di una immissione occasionale, 
supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5, 
 
 
ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’art. 28, comma 2,
ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’art. 34, comma 1,
 
 
 
 
 
 
 
 
 
è punito con la sanzione amministrativa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi ovvero immissioni occasionali recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236, così come modificato dall’art. 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a lire trenta milioni.
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scaricosupera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5,
ovvero i diversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 28, comma 2,
ovvero quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 33, comma 1, o dell’articolo 34, comma 1,
è punito con la sanzione amministrativa da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 21 ovvero in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a lire trenta milioni (1).
Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico
superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto,
 
 
 
 
oppurediversi valori limite stabiliti dalle regioni a norma dell’articolo 101, comma 2, o quelli fissati dall’autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, o dell’articolo 108, comma 1,
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
è punito con la sanzione amministrativa da tremila euro a trentamila euro. Se l’inosservanza dei valori limite riguarda scarichi recapitanti nelle aree di salvaguardia delle risorse idriche destinate al consumo umano di cui all’articolo 94, oppure in corpi idrici posti nelle aree protette di cui alla vigente normativa, si applica la sanzione amministrativa non inferiore a ventimila euro

 
Ebbene l’ applicazione della sanzione amministrativa è la regola che ammette deroga.Si precisa invero che la disposizione fa riferimento alla violazione dei limiti tabellari dell’intero allegato 5 senza distinguere o precisare le varie tabelle. Tuttavia se si accoglie l’orientamento che predilige l’applicazione della sanzione penale non si comprende quale sia l’applicazione (residuale) della sanzione amministrativa.Se è vero che ogni scarico di acqua reflua industriale (137 comma 5) e urbana (137 comma 6) che viola i limiti di emissione della tabella 3 (si pensi al BOD, COD…) è passibile di sanzione penale non si capisce quale sia l’ambito di applicazione della sanzione amministrativa.Si potrebbe arrivare all’assurdo che la sostanza di cui al n. 18 della tabella 5 (sostanze cancerogene che richiede prova della nocività) non essendo riportata nella tabella 3 è passibile di sanzione, appunto, solo amministrativa a meno che la Regione (o altra autorità) abbia previsto un limite più restrittivo (secondo la interpretazione delle ultime recenti sentenze).
***
Ciò premesso è utile passare in rassegna le diverse interpretazioni della Corte di Cassazione penale al fine di comprendere come si sia giunti a tale grado di incertezza applicativa.
1) Sanzione amministrativa[2]
Le violazioni dei limiti di scarico previsti nell’allegato 5 della parte terza rientrano nell’illecito amministrativo di cui all’art. 54 D.Lgs. n. 152/1999 e art. 133 del Dlgs n. 152/2006.E’ illecito penale SOLO il superamento di valori limite stabiliti per le sostanze che rientrano nella tabella 5 (18 sostanze) e 3/A del D.Lgs. n. 152/99 e 152/2006.
Cass. Sez. Unite 31.1.2002 n. 3798 (Turrina)
La Cass. Sez. Unite 31.1.2002 n. 3798 è intervenuta a chiarire i termini di applicabilità dell’art. 54 e 59 del D.Lgs. n. 152/1999 come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000.La Cassazione si è occupata del passaggio e della successione dalla Legge Merli (art. 21 L.  10.5.1976) alla depenalizzazione operata dal D.Lgs. n. 152/1999 e successive modifiche del D.Lgs. n. 258/2000.L’articolata motivazione (pur occupandosi della disciplina transitoria) ribadisce l’avvenuta depenalizzazione e circoscrive l’ambito del reato (art. 59) allaviolazione dei limiti tabellari indicati nella tabella 5 dell’allegato 5 ovvero delle 18 sostanze inquinanti (cancerogene).Si ricorda che la sentenza aveva ad oggetto il versamento di materiale sedimentale, materiale in sospensione, COD, fosforo totale oli e grassi animali; sostanze il cui versamento oltre i limiti sotto la vigenza della legge Merli costituivano reato e che invece sotto la vigenza del D.Lgs. n. 152/99 ss. m. sono state depenalizzate in quanto sostanze che non rientravano, appunto, nella tabella 5 dell’allegato 5.Pur nella particolarità della sentenza colpisce l’affermazione, ad oggi attuale, della necessità di attuare una “interpretazione in armonia col principio di ragionevolezza del sistema senza ferire i principi di eguaglianza e parità di trattamento”.Ebbene l’intervento delle Sezioni Unite avrebbe dovuto comporre il contrasto sorto in seno alla Corte stessa e tacitare quella giurisprudenza che fonda le proprie decisioni sulla analisi letterale della norma e delle modifiche attuate dal D.Lgs. n. 258/2000 dimenticando, appunto, che l’interpretazione deve tener conto dell’intero sistema e della ratio della norma.
Corte di cassazione penale 18.3.2004 n. 19522
Di interesse la sentenza della Cassazione n. 19522/2004 che precisava: “…il superamento dei limiti di accettabilità è dal D.Lgs. n. 152/1999 come integrato dal D.Lgs. n. 258/2000 assoggettato in via generale (art. 54) a sanzione amministrativa..” (la sentenza affrontava il caso di violazione tabellare dei parametriCOD ed alluminio). Tale inciso è di particolare rilevanza in quanto sancisce la regola della applicazione della sanzione amministrativa e l’ambito residuale della applicazione del reato (art. 59).Prosegue la Cassazione – in armonia di tale impostazione sistematica e nel rispetto della ratio del legislatore che ha voluto colpire con sanzione amministrativa la generalità delle violazione e con reato i casi più gravi di inquinamento  –  nel precisare tale interpretazione proprio alla luce delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 258/2000: “…sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3 dell’allegato 5 ma solo in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5”… “in altre parole perché sia configurabile il reato di cui all’art. 59 comma 5 …..occorre la simultanea presenza di due condizioni e cioè che siano superati i valori limite fissati nella tabella 5 dell’allegato 5 ovvero che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3° dell’allegato 5…”. La sentenza cita la Cassazione a sezioni unite del 2002 ed altra giurisprudenza rilevante.
Corte di cassazione penale  28.4.2004 n. 25752
La Corte nel valutare l’ambito di applicabilità dell’art. 59 co. 5 D.Lgs. n. 152/1999 modificato dal D.Lgs. n. 258/2000 ripercorre l’iter logico della precedente sentenza (Cass. penale n. 19522/2004) richiamando correttamente la valenza generale dell’art. 54 D.Lgs. n. 152/1999 e dunque la punibilità delle violazioni tabellari con sanzione amministrativa e la conseguente applicabilità dell’art. 59 comma 5 nel caso di sole violazione tabellari delle sostanze previste nella tabella 5 allegato 5. La Corte inoltre richiama la sentenza delle sezioni unite del 2002 n. 3798. 
2) Sanzione penale[3]
E’ illecito penale il superamento di tutti i limiti previsti dalla tabella 3 e dalla tabella 4 del D.Lgs. n. 152/1999. E’ illecito penale il superamento dei limiti previsti dalla tabella 5 solo nel caso in cui i limiti siano previsti dalle Regioni o province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’art. 107 comma 1.
Corte di cassazione penale 23.10.2003 n. 1758 (Bonassi)
La sentenza applica la sanzione penale nel caso di superamento dei limiti tabellari posti dallo Stato (tabella 3 e 4), anche per le sostanze diverse dalle 18 indicate nella tabella 5, si badi, per gli scarichi successivi alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 258/2000. Attraverso l’analisi letterale del testo dell’art. 59 comma 5, come riformato dal D.Lgs. n. 258/2000, la Cassazione ritiene che solo nel caso di limiti più restrittivi di quelli dello Stato fissati dalle Regioni la sanzione penale si applica “in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5”.Secondo questa interpretazione, se la Regione X fissa limite più restrittivo di quello fissato dal legislatore (Cadmio/tabella 3) ad esempio a 0,01 la violazione di tale parametro comporta la sanzione penale … che non è prevista dalla legge dello Stato. Colui che abita in una Regione Y che non ha previsto un limite più restrittivo invece risponderà della sanzione penale solo nel caso di violazione del parametro cadmio nei limiti di legge  (0,02), godendo dunque di trattamento più favorevole.Già questa considerazione appare stridere con la uguaglianza di trattamento.Di interesse appare anche l’affermazione, contenuta nella sentenza, che la sanzione amministrativa di cui all’art. 54 D.Lgs. n. 152/1999 è invece riservata alla violazione dei limiti regionali “diversi[4]” da quelli statali. Vero è che la sentenza dimentica completamente l’inciso iniziale dell’art. 54 che precisa: “Chiunque, salvo che il fatto costituisca reato, nell’effettuazione di uno scarico supera i valori limite di emissione fissati nelle tabelle di cui all’allegato 5…”. Pare pleonastico ricordare che l’allegato 5 contiene 5 tabelle (da 1 a 5) e che, dunque, la sanzione amministrativa è applicabile quale regola generale salvo i casi residuali di reato.Tale sentenza, inoltre, dimentica di citare la sentenza della Cassazione a Sezione Unite del 2002 nonchè  la giurisprudenza contraria. 
Corte di cassazione penale 20.02.2004  n. 14801
La sentenza della Corte di Cassazione n. 14801 /2004 non è certo generosa nella motivazione limitandosi a richiamare la sentenza Bonassi (Cass. 1758/2003) senza neppure accennare alla possibilità di una diversa interpretazione. Forse tale fretta descrittiva era dovuta alla prevalente e riconosciuta prescrizione del reato tuttavia la Corte ha precisato laconicamente: ”La fattispecie criminosa di cui all’art. 59 richiamata in ricorso…deve essere configurata, a seguito delle modifiche introdotte dal D. L.vo n. 258/2000, anche nell’ipotesi di superamento dei limiti previsti dal testo unico, afferenti alle sostanze diverse da quelle indicate nella tabella 5 del D. L.vo n. 152/99, di talché anche con riferimento alla fattispecie di cui alla contestazione sussiste piena continuità normativa tra il reato di cui all’art. 3, comma terzo, della L. n. 319/76, contestato al ricorrente, e quello di cui al citato art. 59 del D. L.vo n. 152/99, come modificato dall’art. 23, comma 1 lett. c), del citato D. L.vo n. 258/2000 (cfr. sez. 3^, 29.10.2003 n. 1758, P.G. in proc. Bonassi e Bonfiglio)”.
Corte di cassazione penale 1.10.2008  n. 37279
Il caso affrontato dalla Suprema Corte ha ad oggetto il superamento dei limiti tabellari di BOD e COD; sostanze non comprese nella tabella 5 dell’allegato 5.La sentenza giustifica la natura di reato ex art. 59 comma 5 della violazione dei limiti tabellari di BOD e COD indicati solo nella tabella 3 basando la sua motivazione solo sulla interpretazione letterale dell’art. 59 comma 5 come riformato dal D.Lgs. n. 258/2000 (suffragata da una certa giurisprudenza) che ritiene dunque :1)      il reato sussiste per ogni violazione tabellare anche se non riguarda le 18 sostanze indicate nella tabella 52)      la tabella 5 assume invece rilevanza nel caso dei limiti fissati dalle Regioni.. La lettura della sentenza porta in luce alcune carenze di particolare gravità:1)      l’omesso richiamo alla sentenza della Cassazione a sezione unite del 2002;2)      l’omessa indicazione della giurisprudenza contraria limitandosi a richiamare la Cassazione penale del 2005 n. 19254 senza peraltro motivare la differente presa di posizione;3)      il richiamo di alcune sentenze conformi ed in particolare la sentenza Bonassi n. 4806/2003 citandola come giurisprudenzaprevalente (e tale affermazione non può certo essere accolta).4)      L’interpretazione solo letterale senza alcuna valutazione sistematica della norma e della ratio del legislatore; nessun riferimento all’art. 54 D.Lgs. n. 152/1999 come norma generale che prevede l’inciso “salvo che il fatto costituisca reato”.
Conclusioni
DISEGNO LEGGE
Sembra che a dirimere la questione intervenga il legislatore che con disegno di legge del 24.7.2009 ha affrontato il problema dell’art. 137 comma 5 riportandolo alla sua naturale interpretazione. Ed invero ildisegno di legge ripristina il richiamo espresso alla sanzione penale solo in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5.L’intervento del legislatore pare necessario per evitare che l’operatore sia in balia della interpretazione giurisprudenziale che ha portato grave scompiglio applicativo e disparità di trattamento.La vicenda interpretativa dell’art. 137 comma 5 purtroppo riguarda molte disposizioni del Dlgs. n. 152/2006 e rende difficoltosa la difesa delle posizioni contestate dovendo ilgiurista confrontarsi con interpretazioni e posizioni poco giustificabili.


[1] Cfr. per tutte Cassazione penale n. 37279/2008.
[2] Cfr. anche conformi Corte di cassazione penale 28.2.2003 n. 9386; Corte di Cassazione penale 6.6.2007 n. 34899
[3] Cfr. conformi Corte di cassazione penale 29.10.2003 n. 48076; Corte di cassazione penale 13.04.2005 n. 19254; Cass. penale 34899 del 2007; Corte di cassazione penale 12.06.2008 n. 1518.
[4] Con ciò suggerendo la possibilità per le Regioni di imporre limiti più restrittivi di quelli imposti dallo Stato (es. cadmio) ma anche limiti diversi ovvero l’indicazioni di sostanze non indicate dallo stato nelle tabelle.

 

adminDISEGNO DI LEGGE: SOLUZIONE AL PROBLEMA APPLICATIVO DELL’art. 137 COMMA 5 D.Lgs. n. 152/2006
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SOTTOPRODOTTO E TERRE E ROCCE DA SCAVO

avv.  Cinzia Silvestri del foro di Venezia, giurista ambientale
E’ necessario chiarire, brevemente, il significato di “sottoprodotto” senza sconfinare in complessi sofismi giuridici e rendendo comprensibile anche all’operatore/impresa la valenza giuridica di questo bene.
1) SOTTOPRODOTTO
Bisogna ricordare che il sottoprodotto nasce dalla elaborazione giurisprudenziale  a livello comunitario. Molte sono le sentenze[1] che la Corte Europea di Giustizia ha emesso  occupandosi del “sottoprodotto” e coniando, dunque, il termine che oggi è diventato di uso comune. La Corte di Giustizia affrontava, caso per caso, la qualificazione giuridica di ciò che residuava dal processo di produzione. Ed invero si consideri che il processo di produzione può creare un prodotto ma anche un residuo di produzione e che questo residuo di produzione può essere a sua volta rifiuto ma anche “non rifiuto” meglio identificabile come “sottoprodotto”.
2) RIFIUTO
La Comunità Europea è sempre stata rigorosa nell’indicare che un bene è o non è rifiuto. Non esistono sfumature alla definizione di rifiuto ed anzi è necessario interpretare le norme nel senso di ampliare il novero dei beni ricadenti nella nozione di rifiuto. Classificare come rifiuto un certo bene significa anche sottoporlo al controllo di legge e, dunque, applicare una maggiore tutela ambientale. L’importante è comprendere che la finalità della Corte di Giustizia Europea, che si è espressa a mezzo di numerose sentenze, è sempre stata quella di accertare l’esistenza o meno del rifiuto. E’ necessario infatti comprendere che tutto parte dalla nozione di rifiuto.
3) COME SI IDENTIFICA UN RIFIUTO? Non è possibile in questa sede fornire esauriente risposta a tale quesito; risposta che  presenta una certa complessità. Tuttavia è possibile semplificare. Si consideri che la Direttiva 2006/12/CE[2] all’ art. 1 lett. a) definisce il rifiuto come qualsiasi sostanza od oggetto che rientri: 1) nelle categorie riportate nell’allegato I; 2) di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di DISFARSI. Con chiarezza e metodo il legislatore Europeo indica dapprima la necessità di verificare se, ad esempio, quel determinato bene è incluso nell’allegato I (Q) (elemento OGGETTIVO) e, successivamente, indica la necessità di  verificare se il soggetto agente vuole o meno DISFARSI di quel bene (elemento SOGGETTIVO). E’ intuitivo che l’accertamento della volontà o meno del “disfarsi” è di particolare complessità e deve rapportarsi con infinite variabili e con la quotidianità commerciale e produttiva sempre più evoluta. Si precisa che la codificazione della nozione di rifiuto in sede Comunitaria è accolta nella legislazione italiana (art. 183 comma 1 lett. a) D.Lgs. 152/2006 ss.m. ) che prevede a sua volta la verifica dell’elemento oggettivo (allegato A parte IV) e la verifica dell’elemento soggettivo (“..si disfi abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi..”).
4) NUOVA DIRETTIVA RIFIUTI 2008/98/CE (Gazz. Uff. UE 22.11.2008)
a) RIFIUTO
E’ utile uno sguardo al prossimo imminente futuro. E’ stata pubblicata la nuova direttiva sui rifiuti (2008/98/CE) che andrà a sostituire ed abrogare la Direttiva 2006/12/CE, si badi, con effetto dal 12.12.2010 (art. 41 Direttiva). Tuttavia a partire dal 12.12.2008 la Direttiva 2006/12/CE trova applicazione pur con alcune modifiche indicate all’art. 41 lett. c) della Direttiva 2008/98/CE. Gli stati membri dunque nei prossimi due anni sono tenuti ad adeguare le proprie normative alla nuova direttiva.Ebbene la nuova direttiva introduce importanti novità che costringeranno anche il legislatore italiano ad una revisione della propria legislazione. Importante elemento di novità è certo la nuova definizione di rifiuto che si concentra, si badi, solo sull’elemento soggettivo (disfarsi). L’allegato I (Q) non esiste più nella nuova direttiva[3] e, dunque, l’indagine che porta a definire un bene come rifiuto è circoscritta al concetto del “disfarsi”. b) SOTTOPRODOTTO
La nuova direttiva, inoltre, codifica la nozione di sottoprodotto all’articolo 5. La novità è di particolare importanza in quanto il legislatore Comunitario non aveva mai codificato tale nozione ed anzi aveva affermato – nella “Comunicazione interpretativa della Commissione al Consiglio e Parlamento Europeo del 21.2.2007 – di preferire l’indicazione di “linee guida” piuttosto che la codificazione di “sottoprodotto” tramite apposita Direttiva. Le “linee guida” permettono, invero, una maggiore elasticità nella valutazione del caso concreto. Vero è che anche in sede Comunitaria si avvertiva l’esigenza di fornire maggiori precisazioni del concetto di sottoprodotto (non rifiuto) anche in forza della legislazione degli stati membri (Italia) che provvedevano invece alla codificazione puntuale di tale concetto. Ebbene l’indagine sulla natura o meno di rifiuto di un certo bene, espressa dapprima tramite l’accertamento concreto delle sentenze, approdava nelle “linee guida” per la individuazione del  sottoprodotto (21.2.2007) e conclude il suo percorso con la codificazione dell’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.Ne discende che la formulazione nazionale del concetto di sottoprodotto ex art. 183 co. 1 lett. p) D.Lgs. n. 152/2006 ss.m. dovrà confrontarsi proprio con la definizione di cui all’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.
5) ACCERTAMENTO NATURA DI SOTTOPRODOTTO
Come accertare se un bene è un sottoprodotto? Non bisogna dimenticare che l’indagine giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea mirava ad identificare gli elementi che concretavano la condotta del NON DISFARSI (sottoprodotto)[4]. L’indagine si estendeva, ad esempio, alla valutazione del ciclo di produzione, al tipo di bene, all’eventuale riutilizzo, alla commercializzazione, alla esistenza o meno di contratti tra diverse aziende, alla esistenza o meno di un processo di trasformazione del bene nel corso del ciclo di produzione. La realtà operativa e di produzione veniva sezionata al fine di verificare la esistenza di elementi in grado di indicare la volontà di disfarsi o meno del bene. Tutti gli  elementi, raccolti e valutati nella loro complessità, permettevano di statuire sulla natura del bene. Ebbene la giurisprudenza comunitaria, nell’affrontare i casi singoli,  ha permesso di evidenziare gli elementi/presupposti spesso ricorrenti; elementi che sono stati, appunto, “codificati”. Si pensi ai presupposti, ormai noti, che caratterizzano la nozione di sottoprodotto quali: 1) certezza del riutilizzo; 2) senza trasformazioni preliminari; 3) nel corso del processo di produzione. La presenza di tali elementi, infatti, fornisce lacertezza/elevata probabilità che non esiste la volontà/intenzione del disfarsi e, dunque, rileva la coincidenza tra sottoprodotto e non rifiuto (quale residuo di produzione). Il sottoprodotto[5], dunque, indica l’insieme di elementi che, dopo attenta analisi di tutto il processo produttivo, concretano il NON rifiuto, si badi, sin dall’origine[6].
6) LEGISLAZIONE ITALIANA E DIRETTIVA COMUNITARIA
E’ utile indagare, brevemente, sulla legislazione italiana che ha speso molte energie nel tentativo di codificare al meglio il concetto di sottoprodotto. a) Legislazione italiana. La prima codificazione a livello legislativo appare con l’art. 183 comma 1 lett. n) del D.Lgs. 152/2006 (in vigore dal 29.4.2006 al 12.2.2008). Prima di questo articolo il concetto di sottoprodotto (non rifiuto) era già presente nella legislazione speciale L. n. 443/2001 ss.m. e nella interpretazione autentica di rifiuto di cui all’art. 14 D.L. n. 138/2002. La prima stesura appare complessa e ridondante nel tentativo di codificare ed esprimere anche il dettato comunitario per sua natura così elastico.Ebbene il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) provvede a riformare l’art. 183 comma 1 ed inserisce la lettera  p) che alleggerisce e semplifica il testo precedente e codifica quegli indicatori che, se presenti nella realtà produttiva, indicano che quel bene “non è rifiuto”.b) legislazione comunitaria Mentre il legislatore italiano, senza esserne richiesto, codifica il concetto di sottoprodotto il legislatore comunitario tace ed evita ogni definizione limitandosi a fornire delle “linee guida” (21.2.2007) che per loro natura sono elastiche e possono essere arricchite di contenuti. La nuova Direttiva 2008/98/CE codifica il concetto di sottoprodotto e impone dunque la verifica della compatibilità di quanto legiferato in sede nazionale e concede due anni di tempo per eventuali modifiche e adeguamenti della legislazione nazionale al dettato delle Comunità Europee.Tale precisazione ha l’utilità di evidenziare, anche cronologicamente, la diversa evoluzione e la nascita del concetto di sottoprodotto in sede Comunitaria ed in sede nazionale.
7) TERRE E ROCCE DA SCAVO
In questo quadro di riferimento si pone il collegamento con la disciplina delle terre e rocce da scavo. Il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008), come sopra rilevato, ha introdotto importanti modifiche ed integrazioni alla disciplina del sottoprodotto (art. 183 comma 1 lett. p)) ma anche delle terre e rocce da scavo (art. 186). Limitando l’indagine a ciò che è ora vigente si rileva che l’articolo 186 contiene al comma 1 esplicito richiamo al sottoprodotto[7] (“… ottenuti quali sottoprodotti…”). La presenza di tale richiamo impone la lettura in combinato disposto dei due articoli (183 e 186). Ebbene, si nota che l’art. 186 nel richiamare il concetto di sottoprodotto non si sovrappone completamente ed anzi: 1) integra e specifica la nozione stessa di sottoprodotto; 2) adatta la nozione di sottoprodotto al caso “terre e rocce”; 3) aggiunge ulteriori elementi di specificazione necessari per l’ esclusione delle terre e rocce dalla normativa sui rifiuti. Si deve concludere, infatti, pur esistendo l’ esplicito richiamo all’art. 183, che esistono sostanziali differenze ed integrazioni. Se si dovesse visualizzare il rapporto tra le due norme è possibile immaginare due cerchi di diverse dimensioni in cui il cerchio dell’art. 186 include per intero il cerchio dell’art. 183.Si badi, inoltre, che il legislatore non si è limitato al mero richiamo dell’art. 183 comma 1 lett. p,) che di per sé sarebbe sufficiente ad escludere il bene dalla normativa sui rifiuti, ma ha scelto altra tecnica legislativa anche letterale, certo più complessa, che descrive e riporta in parte nell’articolo 186 proprio i contenuti dell’art. 183.L’importanza della comprensione del testo di cui all’art. 186 comma 1 è evidente. Per poter applicare l’art. 186: a) devono esistere tutti i requisiti indicati alle lett. da a)g) del comma 1; b) la presenza di tutti i requisiti di cui al comma 1 è presupposto per l’applicazione di tutti i restanti commi dell’art. 186. Se manca la presenza anche di un solo requisito indicato nell’art. 186 comma 1 non è possibile applicare l’art. 186 e, dunque, è necessario applicare la normativa sui rifiuti (come ben precisato al comma 5 dell’art. 186).Utile a questo proposito è la visione in confronto offerta nel successivo schema degli articoli 183 comma 1 lett. p) e art. 186 comma 1 come riformati dal D.Lgs. n. 4/08.
CONCLUSIONI
Questa breve disamina è offerta con l’intento di chiarire e semplificare concetti di estrema complessità che hanno portato spesso confusione applicativa proprio per la difficoltà di un approccio semplice. Ciò che è importante ricordare è che il sottoprodotto è un “non rifiuto sin dall’origine” e che il richiamo operato dall’art. 186 obbliga all’accertamento dei presupposti di cui all’art. 183 comma 1 lett. p) ma non è da solo sufficiente alla applicazione dell’art. 186.Giova precisare che la nuova Direttiva 2008/98/CE e la definizione di sottoprodotto impone la valutazione anche del testo dell’art. 186 co. 1 oggi vigente e la sua compatibilità con la statuizione Comunitaria.

SOTTOPRODOTTO – TERRE E ROCCE DA SCAVO SCHEMA DI CONFRONTO A CURA DELL’AVVOCATO CINZIA SILVESTRI del foro di Venezia
Art. 183 comma 1 lett. p)come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) Art. 186 comma 1come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008)
p) sottoprodotto: sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni; 1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché:
1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;
2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo;
3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;
:;; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;
5) abbiano un valore economico di mercato. e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;
f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione;
g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata. L’impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all’articolo 183, comma 1, lettera p).


[1] Palin Granit Oy 18.4.2002, C-900; Niselli 11.11.2004 C- 457/02; Avesta Polarit 11.9.2003 C 114/01; le ordinanze Saetti Frediani (petcoke) e altre.
[2] Direttiva 2006/12/CE ha abrogato la precedente Direttiva 75/442/CEE.
[3] La nuova direttiva prevede come allegato I le attività di smaltimento (D).
[4] La condotta del disfarsi attribuisce la natura di rifiuto al bene mentre solo in caso di condotta inversa (non disfarsi) si è in presenza di non rifiuto – sottoprodotto.
[5]E’ dunque termine convenzionale utilizzato dalla giurisprudenza comunitaria
[6] Il sottoprodotto, si precisa, non è una sottocategoria di rifiuto bensì è ciò che non è rifiuto sin dall’origine. Ne discende, per quanto possa sembrare particolare questa affermazione, che non esiste un elenco dei sottoprodotti simile a quello, per intenderci,  del CER .
[7] L’articolo 186 è stato completamente ricritto dal D.Lgs. n. 4/08 e nella versione precedente l’articolo 186 si esprimeva col termine “.. non sono rifiuti…”.

 

adminSOTTOPRODOTTO E TERRE E ROCCE DA SCAVO
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Unitarietà ciclo produttivo

La unitarietà del ciclo produttivo è soddisfatta anche dalla presenza del solo requisito della “utilizzazione preventivamente individuata” al fine di individuare il sottoprodotto. La Corte di cassazione penale del 29.7.2008 n. 31462 applica la nuova definizione di sottoprodotto ex D.Lgs. n. 4/08.
La sentenza è stata commentata dall’avv. Cinzia Silvestri sulla Rivista Ambiente&Sicurezza del sole24ore n. 21/08 pag. 75.
 

adminUnitarietà ciclo produttivo
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