avv. Cinzia Silvestri del foro di Venezia, giurista ambientale
E’ necessario chiarire, brevemente, il significato di “sottoprodotto” senza sconfinare in complessi sofismi giuridici e rendendo comprensibile anche all’operatore/impresa la valenza giuridica di questo bene.
1) SOTTOPRODOTTO
Bisogna ricordare che il sottoprodotto nasce dalla elaborazione giurisprudenziale a livello comunitario. Molte sono le sentenze[1] che la Corte Europea di Giustizia ha emesso occupandosi del “sottoprodotto” e coniando, dunque, il termine che oggi è diventato di uso comune. La Corte di Giustizia affrontava, caso per caso, la qualificazione giuridica di ciò che residuava dal processo di produzione. Ed invero si consideri che il processo di produzione può creare un prodotto ma anche un residuo di produzione e che questo residuo di produzione può essere a sua volta rifiuto ma anche “non rifiuto” meglio identificabile come “sottoprodotto”.
2) RIFIUTO
La Comunità Europea è sempre stata rigorosa nell’indicare che un bene è o non è rifiuto. Non esistono sfumature alla definizione di rifiuto ed anzi è necessario interpretare le norme nel senso di ampliare il novero dei beni ricadenti nella nozione di rifiuto. Classificare come rifiuto un certo bene significa anche sottoporlo al controllo di legge e, dunque, applicare una maggiore tutela ambientale. L’importante è comprendere che la finalità della Corte di Giustizia Europea, che si è espressa a mezzo di numerose sentenze, è sempre stata quella di accertare l’esistenza o meno del rifiuto. E’ necessario infatti comprendere che tutto parte dalla nozione di rifiuto.
3) COME SI IDENTIFICA UN RIFIUTO? Non è possibile in questa sede fornire esauriente risposta a tale quesito; risposta che presenta una certa complessità. Tuttavia è possibile semplificare. Si consideri che la Direttiva 2006/12/CE[2] all’ art. 1 lett. a) definisce il rifiuto come qualsiasi sostanza od oggetto che rientri: 1) nelle categorie riportate nell’allegato I; 2) di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di DISFARSI. Con chiarezza e metodo il legislatore Europeo indica dapprima la necessità di verificare se, ad esempio, quel determinato bene è incluso nell’allegato I (Q) (elemento OGGETTIVO) e, successivamente, indica la necessità di verificare se il soggetto agente vuole o meno DISFARSI di quel bene (elemento SOGGETTIVO). E’ intuitivo che l’accertamento della volontà o meno del “disfarsi” è di particolare complessità e deve rapportarsi con infinite variabili e con la quotidianità commerciale e produttiva sempre più evoluta. Si precisa che la codificazione della nozione di rifiuto in sede Comunitaria è accolta nella legislazione italiana (art. 183 comma 1 lett. a) D.Lgs. 152/2006 ss.m. ) che prevede a sua volta la verifica dell’elemento oggettivo (allegato A parte IV) e la verifica dell’elemento soggettivo (“..si disfi abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi..”).
4) NUOVA DIRETTIVA RIFIUTI 2008/98/CE (Gazz. Uff. UE 22.11.2008)
a) RIFIUTO
E’ utile uno sguardo al prossimo imminente futuro. E’ stata pubblicata la nuova direttiva sui rifiuti (2008/98/CE) che andrà a sostituire ed abrogare la Direttiva 2006/12/CE, si badi, con effetto dal 12.12.2010 (art. 41 Direttiva). Tuttavia a partire dal 12.12.2008 la Direttiva 2006/12/CE trova applicazione pur con alcune modifiche indicate all’art. 41 lett. c) della Direttiva 2008/98/CE. Gli stati membri dunque nei prossimi due anni sono tenuti ad adeguare le proprie normative alla nuova direttiva.Ebbene la nuova direttiva introduce importanti novità che costringeranno anche il legislatore italiano ad una revisione della propria legislazione. Importante elemento di novità è certo la nuova definizione di rifiuto che si concentra, si badi, solo sull’elemento soggettivo (disfarsi). L’allegato I (Q) non esiste più nella nuova direttiva[3] e, dunque, l’indagine che porta a definire un bene come rifiuto è circoscritta al concetto del “disfarsi”. b) SOTTOPRODOTTO
La nuova direttiva, inoltre, codifica la nozione di sottoprodotto all’articolo 5. La novità è di particolare importanza in quanto il legislatore Comunitario non aveva mai codificato tale nozione ed anzi aveva affermato – nella “Comunicazione interpretativa della Commissione al Consiglio e Parlamento Europeo del 21.2.2007 – di preferire l’indicazione di “linee guida” piuttosto che la codificazione di “sottoprodotto” tramite apposita Direttiva. Le “linee guida” permettono, invero, una maggiore elasticità nella valutazione del caso concreto. Vero è che anche in sede Comunitaria si avvertiva l’esigenza di fornire maggiori precisazioni del concetto di sottoprodotto (non rifiuto) anche in forza della legislazione degli stati membri (Italia) che provvedevano invece alla codificazione puntuale di tale concetto. Ebbene l’indagine sulla natura o meno di rifiuto di un certo bene, espressa dapprima tramite l’accertamento concreto delle sentenze, approdava nelle “linee guida” per la individuazione del sottoprodotto (21.2.2007) e conclude il suo percorso con la codificazione dell’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.Ne discende che la formulazione nazionale del concetto di sottoprodotto ex art. 183 co. 1 lett. p) D.Lgs. n. 152/2006 ss.m. dovrà confrontarsi proprio con la definizione di cui all’art. 5 Direttiva 2008/98/CE.
5) ACCERTAMENTO NATURA DI SOTTOPRODOTTO
Come accertare se un bene è un sottoprodotto? Non bisogna dimenticare che l’indagine giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europea mirava ad identificare gli elementi che concretavano la condotta del NON DISFARSI (sottoprodotto)[4]. L’indagine si estendeva, ad esempio, alla valutazione del ciclo di produzione, al tipo di bene, all’eventuale riutilizzo, alla commercializzazione, alla esistenza o meno di contratti tra diverse aziende, alla esistenza o meno di un processo di trasformazione del bene nel corso del ciclo di produzione. La realtà operativa e di produzione veniva sezionata al fine di verificare la esistenza di elementi in grado di indicare la volontà di disfarsi o meno del bene. Tutti gli elementi, raccolti e valutati nella loro complessità, permettevano di statuire sulla natura del bene. Ebbene la giurisprudenza comunitaria, nell’affrontare i casi singoli, ha permesso di evidenziare gli elementi/presupposti spesso ricorrenti; elementi che sono stati, appunto, “codificati”. Si pensi ai presupposti, ormai noti, che caratterizzano la nozione di sottoprodotto quali: 1) certezza del riutilizzo; 2) senza trasformazioni preliminari; 3) nel corso del processo di produzione. La presenza di tali elementi, infatti, fornisce lacertezza/elevata probabilità che non esiste la volontà/intenzione del disfarsi e, dunque, rileva la coincidenza tra sottoprodotto e non rifiuto (quale residuo di produzione). Il sottoprodotto[5], dunque, indica l’insieme di elementi che, dopo attenta analisi di tutto il processo produttivo, concretano il NON rifiuto, si badi, sin dall’origine[6].
6) LEGISLAZIONE ITALIANA E DIRETTIVA COMUNITARIA
E’ utile indagare, brevemente, sulla legislazione italiana che ha speso molte energie nel tentativo di codificare al meglio il concetto di sottoprodotto. a) Legislazione italiana. La prima codificazione a livello legislativo appare con l’art. 183 comma 1 lett. n) del D.Lgs. 152/2006 (in vigore dal 29.4.2006 al 12.2.2008). Prima di questo articolo il concetto di sottoprodotto (non rifiuto) era già presente nella legislazione speciale L. n. 443/2001 ss.m. e nella interpretazione autentica di rifiuto di cui all’art. 14 D.L. n. 138/2002. La prima stesura appare complessa e ridondante nel tentativo di codificare ed esprimere anche il dettato comunitario per sua natura così elastico.Ebbene il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) provvede a riformare l’art. 183 comma 1 ed inserisce la lettera p) che alleggerisce e semplifica il testo precedente e codifica quegli indicatori che, se presenti nella realtà produttiva, indicano che quel bene “non è rifiuto”.b) legislazione comunitaria Mentre il legislatore italiano, senza esserne richiesto, codifica il concetto di sottoprodotto il legislatore comunitario tace ed evita ogni definizione limitandosi a fornire delle “linee guida” (21.2.2007) che per loro natura sono elastiche e possono essere arricchite di contenuti. La nuova Direttiva 2008/98/CE codifica il concetto di sottoprodotto e impone dunque la verifica della compatibilità di quanto legiferato in sede nazionale e concede due anni di tempo per eventuali modifiche e adeguamenti della legislazione nazionale al dettato delle Comunità Europee.Tale precisazione ha l’utilità di evidenziare, anche cronologicamente, la diversa evoluzione e la nascita del concetto di sottoprodotto in sede Comunitaria ed in sede nazionale.
7) TERRE E ROCCE DA SCAVO
In questo quadro di riferimento si pone il collegamento con la disciplina delle terre e rocce da scavo. Il D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008), come sopra rilevato, ha introdotto importanti modifiche ed integrazioni alla disciplina del sottoprodotto (art. 183 comma 1 lett. p)) ma anche delle terre e rocce da scavo (art. 186). Limitando l’indagine a ciò che è ora vigente si rileva che l’articolo 186 contiene al comma 1 esplicito richiamo al sottoprodotto[7] (“… ottenuti quali sottoprodotti…”). La presenza di tale richiamo impone la lettura in combinato disposto dei due articoli (183 e 186). Ebbene, si nota che l’art. 186 nel richiamare il concetto di sottoprodotto non si sovrappone completamente ed anzi: 1) integra e specifica la nozione stessa di sottoprodotto; 2) adatta la nozione di sottoprodotto al caso “terre e rocce”; 3) aggiunge ulteriori elementi di specificazione necessari per l’ esclusione delle terre e rocce dalla normativa sui rifiuti. Si deve concludere, infatti, pur esistendo l’ esplicito richiamo all’art. 183, che esistono sostanziali differenze ed integrazioni. Se si dovesse visualizzare il rapporto tra le due norme è possibile immaginare due cerchi di diverse dimensioni in cui il cerchio dell’art. 186 include per intero il cerchio dell’art. 183.Si badi, inoltre, che il legislatore non si è limitato al mero richiamo dell’art. 183 comma 1 lett. p,) che di per sé sarebbe sufficiente ad escludere il bene dalla normativa sui rifiuti, ma ha scelto altra tecnica legislativa anche letterale, certo più complessa, che descrive e riporta in parte nell’articolo 186 proprio i contenuti dell’art. 183.L’importanza della comprensione del testo di cui all’art. 186 comma 1 è evidente. Per poter applicare l’art. 186: a) devono esistere tutti i requisiti indicati alle lett. da a) a g) del comma 1; b) la presenza di tutti i requisiti di cui al comma 1 è presupposto per l’applicazione di tutti i restanti commi dell’art. 186. Se manca la presenza anche di un solo requisito indicato nell’art. 186 comma 1 non è possibile applicare l’art. 186 e, dunque, è necessario applicare la normativa sui rifiuti (come ben precisato al comma 5 dell’art. 186).Utile a questo proposito è la visione in confronto offerta nel successivo schema degli articoli 183 comma 1 lett. p) e art. 186 comma 1 come riformati dal D.Lgs. n. 4/08.
CONCLUSIONI
Questa breve disamina è offerta con l’intento di chiarire e semplificare concetti di estrema complessità che hanno portato spesso confusione applicativa proprio per la difficoltà di un approccio semplice. Ciò che è importante ricordare è che il sottoprodotto è un “non rifiuto sin dall’origine” e che il richiamo operato dall’art. 186 obbliga all’accertamento dei presupposti di cui all’art. 183 comma 1 lett. p) ma non è da solo sufficiente alla applicazione dell’art. 186.Giova precisare che la nuova Direttiva 2008/98/CE e la definizione di sottoprodotto impone la valutazione anche del testo dell’art. 186 co. 1 oggi vigente e la sua compatibilità con la statuizione Comunitaria.
SOTTOPRODOTTO – TERRE E ROCCE DA SCAVO SCHEMA DI CONFRONTO A CURA DELL’AVVOCATO CINZIA SILVESTRI del foro di Venezia |
Art. 183 comma 1 lett. p)come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) |
Art. 186 comma 1come riformato dal D.Lgs. n. 4/08 (in vigore dal 13.2.2008) |
p) sottoprodotto: sono sottoprodotti le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni; |
1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purché: |
1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; |
a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti; |
2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito |
b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo; |
3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati |
c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate; |
:;; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione |
d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale; |
5) abbiano un valore economico di mercato. |
e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto; |
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f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione; |
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g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata. L’impiego di terre da scavo nei processi industriali come sottoprodotti, in sostituzione dei materiali di cava, è consentito nel rispetto delle condizioni fissate all’articolo 183, comma 1, lettera p). |
[1] Palin Granit Oy 18.4.2002, C-900; Niselli 11.11.2004 C- 457/02; Avesta Polarit 11.9.2003 C 114/01; le ordinanze Saetti Frediani (petcoke) e altre.
[2] Direttiva 2006/12/CE ha abrogato la precedente Direttiva 75/442/CEE.
[3] La nuova direttiva prevede come allegato I le attività di smaltimento (D).
[4] La condotta del disfarsi attribuisce la natura di rifiuto al bene mentre solo in caso di condotta inversa (non disfarsi) si è in presenza di non rifiuto – sottoprodotto.
[5]E’ dunque termine convenzionale utilizzato dalla giurisprudenza comunitaria
[6] Il sottoprodotto, si precisa, non è una sottocategoria di rifiuto bensì è ciò che non è rifiuto sin dall’origine. Ne discende, per quanto possa sembrare particolare questa affermazione, che non esiste un elenco dei sottoprodotti simile a quello, per intenderci, del CER .
[7] L’articolo 186 è stato completamente ricritto dal D.Lgs. n. 4/08 e nella versione precedente l’articolo 186 si esprimeva col termine “.. non sono rifiuti…”.