RIPRISTINO AMBIENTE?

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recupero energeticoRIPRISTINO AMBIENTE?

Cosa significa Ripristinare l’Ambiente?

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Non è chiaro a tutti il significato dell’ordine di ripristinare l’ambiente tanto più se indicato in una sentenza penale. Quando si subisce la condanna al ripristino dell’ambiente sorge sempre un moto di sorpresa a carico dell’imputato che magari non aveva concordato la pena su questo punto (ritenendo di poterlo concordare). 

Ripristinare significa riportare alle condizioni originarie il sito e può assumere infinite modalità a seconda del luogo inquinato (non solo luoghi). La sentenza in commento sembra anche dire che il ripristino richiede una valutazione sul danno precisando che questa valutazione di danno è solo riferita alle misure ripristinatorie non al reato di riferimento che rimane , ad esempio nel caso trattato di “traffico illecito di rifiuti” sempre un reato di pericolo.

Il Giudice penale invero può ordinare in sede di condanna o di patteggiamento anche il ripristino dello stato dell’ambiente. Tale ordine è spesso confuso con la pena accessoria mentre è a tutti gli effetti una sanzione amministrativa che può essere ordinata d’ufficio in quanto consegue alla commissione del reato. Il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies comma 4 c.p.) ad esempio prevede proprio questo tipo di sanzione che è dunque sottratta alle regole che disciplinano le pene accessorie.

Vediamo i punti interessanti della sentenza penale della Cassazione che conferma, in parte, la sentenza della Corte di appello di Venezia.

La Sentenza della Corte di appello di Venezia con sentenza del 19/04/2021 n. 39511, ha applicato  la pena concordata per il reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p., ordinando il ripristino dello stato dell’ambiente. ​

  1. Ricorso per cassazione: Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, contestando l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente applicato tale sanzione senza giustificare i parametri che ne giustificano l’adozione. Le parti avevano concordato la pena del patteggiamento e la Corte di appello aveva poi ordinato il “ripristino dello stato dell’ambiente” quale elemento nuovo rispetto alla condanna di primo grado. Gli imputati trattano la condanna al ripristino dello stato dell’ambiente come se fosse una pena accessoria, contestando la riformatio in peius ecc…. 
  2. Decisione della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, specificando che l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente è una sanzione amministrativa accessoria che consegue ex lege al reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p. ​: in materia di ambiente e territorio, viene conferito al giudice il potere di emanare un ordine finalizzato alla eliminazione delle conseguenze dell’ illecito, si ha l’attribuzione di funzioni speciali aventi carattere amministrativo, sebbene esercitate in sede di giurisdizionale. La sanzione dunque può essere ingiunta anche in secondo grado e a prescindere dalla pena concordata.
  3. Necessità di specifica motivazione: La Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione della misura sanzionatoria del ripristino dello stato dell’ambiente richiede una specifica motivazione in ordine alla verificazione effettiva del danno o del pericolo per l’ambiente : ” Ne consegue che perchè possa trovare applicazione l’ordine di ripristino dell’ambiente occorre l’accertamento delle conseguenze dannose o pericolose della condotta illecita, non potendo presumersi l’esistenza di danno o pericolo per l’ambiente solamente per effetto ed in conseguenza della consumazione del reato.
  4. Annullamento con rinvio: La sentenza impugnata è stata rinviata a Giudice di appello per precisare la motivazione del ripristino dell’ambiente sotto il profilo del “danno”.
Cinzia SilvestriRIPRISTINO AMBIENTE?
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RIPRISTINO AMBIENTE?

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ripristino ambienteRIPRISTINO AMBIENTE?

Cosa significa Ripristinare l’Ambiente?

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Non è chiaro a tutti il significato dell’ordine di ripristinare l’ambiente tanto più se indicato in una sentenza penale. Quando si subisce la condanna al ripristino dell’ambiente sorge sempre un moto di sorpresa a carico dell’imputato che magari non aveva concordato la pena su questo punto (ritenendo di poterlo concordare). 

Ripristinare significa riportare alle condizioni originarie il sito e può assumere infinite modalità a seconda del luogo inquinato (non solo luoghi). La sentenza in commento sembra anche dire che il ripristino richiede una valutazione sul danno precisando che questa valutazione di danno è solo riferita alle misure ripristinatorie non al reato di riferimento che rimane , ad esempio nel caso trattato di “traffico illecito di rifiuti” sempre un reato di pericolo.

Il Giudice penale invero può ordinare in sede di condanna o di patteggiamento anche il ripristino dello stato dell’ambiente. Tale ordine è spesso confuso con la pena accessoria mentre è a tutti gli effetti una sanzione amministrativa che può essere ordinata d’ufficio in quanto consegue alla commissione del reato. Il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies comma 4 c.p.) ad esempio prevede proprio questo tipo di sanzione che è dunque sottratta alle regole che disciplinano le pene accessorie.

Vediamo i punti interessanti della sentenza penale della Cassazione che conferma, in parte, la sentenza della Corte di appello di Venezia.

La Sentenza della Corte di appello di Venezia con sentenza del 19/04/2021 n. 39511, ha applicato  la pena concordata per il reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p., ordinando il ripristino dello stato dell’ambiente. ​

  1. Ricorso per cassazione: Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, contestando l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente applicato tale sanzione senza giustificare i parametri che ne giustificano l’adozione. Le parti avevano concordato la pena del patteggiamento e la Corte di appello aveva poi ordinato il “ripristino dello stato dell’ambiente” quale elemento nuovo rispetto alla condanna di primo grado. Gli imputati trattano la condanna al ripristino dello stato dell’ambiente come se fosse una pena accessoria, contestando la riformatio in peius ecc…. 
  2. Decisione della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, specificando che l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente è una sanzione amministrativa accessoria che consegue ex lege al reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p. ​: in materia di ambiente e territorio, viene conferito al giudice il potere di emanare un ordine finalizzato alla eliminazione delle conseguenze dell’ illecito, si ha l’attribuzione di funzioni speciali aventi carattere amministrativo, sebbene esercitate in sede di giurisdizionale. La sanzione dunque può essere ingiunta anche in secondo grado e a prescindere dalla pena concordata.
  3. Necessità di specifica motivazione: La Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione della misura sanzionatoria del ripristino dello stato dell’ambiente richiede una specifica motivazione in ordine alla verificazione effettiva del danno o del pericolo per l’ambiente : ” Ne consegue che perchè possa trovare applicazione l’ordine di ripristino dell’ambiente occorre l’accertamento delle conseguenze dannose o pericolose della condotta illecita, non potendo presumersi l’esistenza di danno o pericolo per l’ambiente solamente per effetto ed in conseguenza della consumazione del reato.
  4. Annullamento con rinvio: La sentenza impugnata è stata rinviata a Giudice di appello per precisare la motivazione del ripristino dell’ambiente sotto il profilo del “danno”.
Cinzia SilvestriRIPRISTINO AMBIENTE?
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Reato – subentro posizione altrui

Reato – subentro posizione altrui

3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento. 3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784). 3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). 3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero.Reato  – Subentro posizione altrui.

Cass. Pen. n. 30929/2024

 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Reato ambientale  – subentro nella posizione altrui. Responsabilità diretta.

La sentenza consente di riflettere sul fatto che subentrare nella gestione di rifiuti altrui, già gravata da condotta di reato, non solleva da responsabilità colui che subentra. Colui che subentra è responsabile, pur non essendo l’originario autore del reato, in quanto assume la gestione diretta, contrattualmente.

Nel caso di reato di gestione illecita rifiuti (art. 256 Dlgs. 152/2006) il perdurare della fattispecie illecita, continua anche nel caso in cui, nel corso del piano di smaltimento iniziato dall’azienda responsabile del deposito, avvenga la cessione ad altro soggetto. Colui che subentra rimane obbligato allo smaltimento e assume responsabilità diretta e la gestione de rifiuti.

In sintesi, il legale rappresentante della Società subentrata, che si era impegnata allo smaltimento, ​veniva ritenuto responsabile di aver lasciato in deposito incontrollato i rifiuti presso l’impianto aggravando la situazione preesistente, non adempiendo all’obbligo di smaltimento assunto al momento dell’acquisto del ramo di azienda dalla precedente Società.

In particolare:

La permanenza del reato di deposito incontrollato di rifiuti termina quando l’autore del reato perde la signoria sui rifiuti,

  • sia per effetto di un atto autoritativo (es. sequestro)
  • sia perché l’autore cessa la propria carica in virtù della quale esercitava tale dominio.

Colui che subentra contrattualmente nella gestione di rifiuti già presenti e ne assume la gestione diretta, risponde del reato di deposito incontrollato di rifiuti qualora ometta di smaltirli, lasciandoli in uno stato di deposito incontrollato. Questa responsabilità non può essere qualificata come ………

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Cinzia SilvestriReato – subentro posizione altrui
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DELEGHE AMBIENTALI: RESPONSABILITA’

DELEGHE AMBIENTALI: RESPONSABILITA’

DELEGHE AMBIENTALI: RESPONSABILITA’

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Esiste l’errata convinzione che la delega, anche ambientale, esima da ogni responsabilità il delegante (con il semplice conferimento).

La delega, certamente, permette di trasferire ad altro soggetto il dovere ed obbligo di intervento, di azione e le conseguenti responsabilità, ma il comportamento del delegato e del delegante deve rispettare regole complesse, che l’atto di delega deve tenere in considerazione.

Accade spesso di vedere conferire delega dall’organo collegiale (consiglio di amministrazione) ad un amministratore “delegato”  e dunque quest’ultimo risponde in via personale dei poteri a lui conferiti . Vero è però che esiste una responsabilità solidale che comunque coinvolge gli amministratori senza deleghe. L’amministratore senza deleghe invero può essere a conoscenza dell’illecito anche ambientale, ad esempio a mezzo di comunicazioni direttamente effettuate del delegato. Ecco che il delegante viene coinvolto nella responsabilità, si badi non per la sola posizione  per il proprio ruolo a prescindere, ma in quanto ha contribuito con la sua condotta “consapevole” alla causazione del reato, dell’illecito.

La prova è complessa perché il delegante risponde nella misura in cui la sua omessa condotta, la sua inerzia, l’omesso intervento è causale all’illecito.

Prova complessa ma non impossibile e che tuttavia costringe alla difesa.

Lo schema della responsabilità del delegato anche ambientale trova riferimento in norma del codice civile (artt. 2392,2381 c.c.) ma dialoga con altri sistemi di responsabilità penali (art. 40 c.p.) ed anche ambientali. Bisogna ricordare invero che nel sistema ambientale una precisa definizione delega ambientale o disciplina, non si trova. La delega viene mutuata dalle disposizioni sulla Sicurezza sul Lavoro (d.lgs. 81/2006) che nel tempo hanno tracciato bene i confini tra delegato e delegante dedicando apposite norme e regole, che hanno ispirato anche la delega ambientale.

Vero è che la delega ambientale ha ad oggetto il trasferimento di poteri relativi a illeciti che incidono spesso non solo sull’inquinamento “ambientale” ma anche sulla “salute” e dunque la ripartizione delle responsabilità acquista maggiore attenzione e richiede un approccio integrato di alcuni sistemi normativi dislocati in plurimi settori del diritto (civile, penale, normative settoriali ecc…).

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Rifiuti: abbandono pubblica via

Rifiuti: abbandono pubblica via

Rifiuti: abbandono pubblica via

Trib. Palermo n. 770/2024

Assoluzione, il fatto non sussiste

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Rifiuti e abbandono sulla pubblica via. Cassette di plastica, cartone, legno, grossi sacchi neri derivanti dall’attività commerciale (attività ortofrutta) venivano abbandonati sul suolo, nella pubblica via, da alcuni soggetti, vicino ai cassonetti.

Il fatto veniva ripreso da telecamere.

L’impresa riconosceva dalle immagini il proprio autocarro ma ignorava tale “smaltimento” in quanto era solita servirsi di una ditta che conferiva al centro comunale di raccolta.

La sentenza del Tribunale ragiona sull’applicabilità dell’art. 256 Dlgs. 152/2006 che attribuisce illiceità alla condotta sopra descritta.

È vero che per configurare il reato di cui all’art. 256 Dlgs. 152/2006 è sufficiente anche una sola condotta “ma a patto che questa costituisca una “attività” e dunque non sia meramente occasionale..”.

Quando una condotta può essere ritenuta occasionale?

Il Tribunale collega la occasionalità alla comprensione del significato di “reato comune o proprio” e di conseguenza alla dimensione delle attività di gestione.

L’art. 256 comma 1 Dlgs. 152/2006 riferisce le condotte a “chiunque” effettua le attività elencate (smaltimento, trasporto ec…) ed evoca il reato “comune” ovvero che può essere commesso appunto da chiunque. Si contrappone il comma 2 dell’art. 256 che indica invece un reato proprio ovvero che può essere commesso solo da soggetti con specifica qualifica come “i titolari di imprese” e i responsabili di enti”.

Questa classica ripartizione è amata dalla giurisprudenza che spesso e volentieri non ha indagato sulla reale portata ...continua lettura articolo commento sentenza Trib Palermo 770.2024

Cinzia SilvestriRifiuti: abbandono pubblica via
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Denunce infondate: risarcimento danni?

Denunce infondate: risarcimento danni?

Denunce infondate: risarcimento danni?

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Può capitare di essere denunciati e di essere travolti da una valanga di ostilità. Allora ci difendiamo, soffriamo perché non siamo numeri e magari ci sentiamo ingiustamente coinvolti nella macchina della giustizia. Accade però che otteniamo vittoria, che la “giustizia” riconosce la nostra difesa  e ci assolve o ci proscioglie.

Costi, patimenti che abbiamo subito per colpa di qualcuno e allora sorge la rabbia la voglia di avere a nostra volta giustizia.

Cosa possiamo fare avvocato?

Risponde bene la Cassazione n. 31316/2024 che tratta il caso di un amministratore che dopo aver subito il travagliato percorso del giudizio penale viene “prosciolto” da tutte le accuse. Ebbene, questo amministratore assegna al giudizio civile la sua rivincita, il suo riscatto e chiede il risarcimento dei danni patiti anche non patrimoniali, dovuti proprio alla denuncia poi risultata infondata.

L’amministratore dopo aver patito le anguste strade del processo penale, tuttavia non trova pace neppure nel processo civile, neppure nel ristoro del risarcimento del danno.

La Cassazione infatti ribadisce che la denuncia di un reato perseguibile d’ufficio  non può costituire fonte di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c.anche se segue all’assoluzione o il proscioglimento nel processo penale. A meno che si ravvisino gli estremi della “calunnia”. Fuori da queste ipotesi  l’attività pubblicistica del titolare dell’azione penale (l’autorità giudiziaria per intenderci) , si sovrappone a quella del denunciante e interrompe dunque il legame (nesso ) tra la denuncia e il danno provocato. Il denunciante esce di scena e la condotta illecita viene valutata dagli organi inquirenti che diventano gli attori principali.

Continua la Cassazione precisando che:” colui che invochi il risarcimento del danno per aver subito una denuncia calunniosa ha l’onere di provare la sussistenza di una condotta integrante il reato di calunnia…. poiché la presentazione di una denuncia di un reato costituisce adempimento di un dovere, rispondente all’interesse pubblico, di segnalare fatti illeciti, che rischierebbe di essere frustrato dalla possibilità di andare incontro a responsabilità in caso di denunce infondate semplicemente inesatte o rivelatesi infondate…”.

Dunque il risarcimento è ammesso solo e se si può fornire forte prova della esistenza DEL REATO DI CALUNNIA. Reato di calunnia che deve essere provato in ogni sua parte anche nell’elemento soggettivo del dolo. Prova difficile, articolata, che qualche volta arriva a destinazione ma il più delle volte si perde nei rivoli della interpretazione, della difficoltà di prova.

Dunque reagire alla ingiusta denuncia è possibile, ma con cautela.

 

Cinzia SilvestriDenunce infondate: risarcimento danni?
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Reati ambientali e confisca

Reati ambientali e confisca

Reati ambientali e confisca

Legge 137/2023 – art. 240-bis c.p. -confisca di beni, denaro

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 

Reati ambientali e confisca. Il Legislatore all’art. 6-ter punto 3 a) della L. 137/2023 vigente al 10.10.2023  punta l’attenzione ai reati ambientali e alla confisca. Richiama dunque l’art. 240-bis c.p. relativo alla confisca in casi particolari ovvero applicata a particolari fattispecie di reato; articolo che ha subito molteplici modifiche e aveva introdotto già nell’elenco gli arti. 452-quater e 452-octies c.p.. La nuova legge amplia l’elenco dei reati ambientali sottoponibili a confisca ricordando che la confisca si applica dopo l’intervenuta condanna in sede processuale o dopo l’avvenuto “patteggiamento”. E’ una misura giudiziale di acquisizione di beni e/o denaro che deriva da proventi dell’illecito.

Si tratta dei reati ambientali di reale impatto che aggiungono ora la misura della confisca nel caso di condanna o patteggiamento:

  1. art. 452-bis c.p.: inquinamento ambientale
  2. art. 452-ter: morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale
  3. art. 452-quater: disastro ambientale
  4. 452-sexies:traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività
  5. art. 452-octies: circostanze aggravanti
  6. art. 452-quaterdecies:attività organizzate per traffico illecito di rifiuti

Recita l’art. 240-bis come modificato dalla L. 137/2023:

“Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per taluno dei delitti previsti …. dagli articoli 452-bis, 452-ter, 452-quater, 452-sexies, 452-octies, primo comma, 452-quaterdecies, ……. è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge. …..

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