Sistri e reati

SISTRI E REATI: responsabilità delle Società
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies co. 2 lett. g).
art. 260 bis Dlgs. 152/2006
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente continua lo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 Art. 260 bis Dlgs. 152/2006 (novità).
L’articolo 260 bis è stato introdotto nel nostro ordinamento dal  Dlgs. 205/2010  (vigente al 25.12.2010) assieme alle altre sanzioni relative al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (Sistri) .
E’ tuttavia nota la vicenda normativa che ha coinvolto proprio l’art. 260 bis che, assieme a tutto il sistema Sistri, veniva abrogato dall’articolo 6, comma 2, lettera d) del Dl 13 agosto 2011, n. 138; per poi rivivere con la legge di conversione del  14 settembre 2011, n. 148; legge che ha posto nel nulla il decreto abrogativo.
Ebbene circa un mese prima della abrogazione a mano del Governo (DL 13.8.2011 n. 138) il Parlamento aveva riformato proprio ed anche l’articolo 260 bis (Dlgs. 121/2011 del 7.7.2011). introducendo i commi 9bis e 9ter.
L’entrata in vigore delle modifiche (17.8.2011) successiva alla abrogazione segnava una battuta di arresto dell’intera normativa.
La legge di conversione del 14.9.2011 n. 148 riporta in luce anche il testo modificato dell’art. 260 bis.
Le modifiche intervenute sull’art. 260 bis hanno introdotto solo i commi 9 bis e 9 ter. Sono modifiche che non prevedono nuovi comportamenti sanzionabili bensì benefici e riduzioni di pena.
 Reati ex art. 260 bis e Dlgs. 231/2001
Nel caso di reati e dunque di comportamenti ritenuti gravi dal legislatore e che vengono puniti con pena che incide sulla libertà personale quale la reclusione
1)    nessun trattamento premiale di riduzione della pena
2)    previsione di responsabilità amministrativa della società ex Dlgs. 231/2001 ex art. 25 undecies.
Lo schema è il seguente:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Società
ex Dlgs. 231/2001
Sanzioni interdittive
art. 260 bis comma 6
Certificato analisi rifiuti falso
 
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 secondo periodo
Trasporto senza copia cartacea sistri rifiuti pericolosi
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 7 terzo periodo
Trasporto uso certificato fase indicazioni
pena reclusione fino a 2 anni (art. 483 c.p.)
 
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis comma 8 primo periodo
Trasposrto con scheda cartacea sistri alterata
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.)
Da 150 a 250 quote
 
Non prevista
Art. 260 bis
Comma 8 secondo periodo
Trasporto scheda sistri alterata rifiuti pericolosi
Pena reclusione da 4 mesi a 2 anni
(477 e 482 c.p.) con aumento fino ad 1/3
Da  200 a 300 quote Non prevista

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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RESPONSABILITA' P.A. E DANNO

Comportamento scorretto della p.a. – TERMOVALORIZZATORE – Danno risarcibile – RESPONSABILITA’ DELLA PA – VIOLAZIONE DELLA BUONA FEDE – APPALTI – Consiglio di Stato 12.7.2011 n. 4196
 A cura di avv. Cinzia Silvestri
 L’amministrazione espleta una gara di appalto per la costruzione di un termovalorizzatore e provvede anche alla aggiudicazione.
Dopo l’aggiudicazione però non vuole stipulare il contratto di appalto sostenendo la giuridica impossibilità di realizzare il medesimo termovalorizzatore e apponendo inoltre il vincolo archeologico sull’area interessata.
ED INVERO la P.A. dopo l’aggiudicazione ed in via istruttoria scopre sull’area un sito archeologico e dunque ritiene di non poter più dare avvio alla costruzione appaltata e revoca ogni provvedimento.
Il Consiglio di Stato a dire il vero rigetta tutte le doglianze dei ricorrenti rendendo legittima la decisione della amministrazione….. tuttavia riconosce la esistenza di un danno anche alla luce dei comportamenti tenuti da alcune amministrazioni .
Questa la novità.
 Il comportamento della P.A. si pone in violazione del canone di buona fede in senso oggettivo di cui all’art. 1337 c.c; la P.A. invero viola l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale.
La responsabilità della P.A. anche in sede precontrattuale si configura nella correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede ai sensi dell’art. 1337 c.c. .
La valutazione del comportamento di buona fede in sede precontrattuale prevale sull’interesse stesso alla stipula del contratto tant’è che la stipulazione del contratto e dunque il raggiungimento dell’obiettivo non esclude la valutazione del comportamento ex art. 1337 c.c.. (cfr. Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24795; Sez. Un. civ., 19 dicembre 2007, n. 26724).
La mancata stipula del contratto può dipendere da vari fattori.
Si ritiene che la P.A. possa rispondere ex art. 1337 c.c. anche se l’omessa stipulazione del contratto dipenda da fattori non imputabili alla amministrazione .
Si pensi al caso in cui intervenga il radicale mutamento della vicenda sottesa in causa (il factum principis, Cons. Stato n. 1763/2006, cit.).
Si pensi al caso in cui la P.A. ponga in essere comportamento in violazione con l’ obbligo di realizzazione degli adempimenti necessari a garantire la validità, l’efficacia o l’utilità del rapporto negoziale (nonché, prima ancora, la sua stessa finalizzazione – Cons. Stato, Sez. V, 7 settembre 2009, n. 5245; cfr. anche Cons. Stato, Ad. Plen., 5 settembre 2005, n. 6).
Anche la Corte di cassazione evoca il significato oggettivo della buona fede che deve avere a tutela la reciprocità dell’affidamento delle parti contrattuali e che impone dunque a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile (Cass. civ., 10 novembre 2010, n. 22819).
QUANTIFICAZIONE DEL DANNO
Di particolare interesse la decisione in ordine alla quantificazione del danno.
Il Collegio invero richiama i parametri dell’interesse negativo ex art. 1337 c.c. ma ritiene applicabile tale criterio solo qualora il danno sia direttamente imputabile alla amministrazione e non derivi dunque da fattori successivi esterni e meritevoli di accogliemento (scoperta sito archeologico).
Ciò che importa è che il Consiglio di Stato  ha valutato comunque il comportamento della amministrazione e ha offerto un parametro per la liquidazione del danno.
 In particolare attingendo direttamento dalla sentenza:
1) art. 34 c.p.a. comma 4
“6.2.5. Ai fini della quantificazione del danno, il Collegio ritiene di fare applicazione della previsione di cui al comma 4 dell’art. 34, c.p.a., secondo cui in caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine”.
 
2)interesse negativo non liquidabile
“A tal fine si ritiene di non poter seguire in modo integrale in tradizionale orientamento secondo cui, in caso di condanna per responsabilità di carattere precontrattuale, il quantum risarcitorio deve essere parametrato per intero all’interesse negativo rappresentato dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative.”
 
3) danno emergente/occasioni perdute
Secondo l’orientamento giurisprudenziale allo stato prevalente, infatti, il danno risarcibile a titolo di responsabilità precontrattuale da parte della pubblica Amministrazione a seguito della mancata stipula dal contratto, deve intendersi limitato:
a) al rimborso dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative svolte in vista della conclusione del contratto (danno emergente), nonché
b) al ristoro della perdita, se adeguatamente provata, di ulteriori occasioni di stipulazione con altri di contratti altrettanto o maggiormente vantaggiosi, impedite proprio dalle trattative indebitamente interrotte (lucro cessante), con esclusione del mancato guadagno che sarebbe stato realizzato con la stipulazione e l’esecuzione del contratto (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, VI, 17 dicembre 2008, n. 6264; id., Sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2680; id., Sez. V, sent. 14 aprile 2008, n. 1667).
4) nesso diretto
Tuttavia, ad avviso del Collegio, il criterio in questione può essere integralmente e proficuamente utilizzato soltanto nelle ipotesi paradigmatiche in cui fra il comportamento scorretto dell’amministrazione e la mancata stipula del contratto intercorra un nesso di conseguenzialità diretta.
 5) temperamento
Al contrario, al medesimo criterio devono essere apportati dei temperamenti per le ipotesi in cui (come nel caso di specie) sussista, sì, un comportamento contrario a buona fede in senso soggettivo tenuto dall’amministrazione nel corso della fase precontrattuale, ma la mancata stipula del contratto non costituisca un effetto di tale comportamento, bensì l’effetto di fattori ulteriori autonomamente idonei, sotto il profilo causale, a determinare l’impossibilità di stipulare il contratto.
 
6) spese sostenute
In siffatte ipotesi, l’ammontare delle spese sostenute per la partecipazione alla gara può bensì essere assunta quale parametro per la determinazione del quantum risarcitorio, ma non quale posta risarcitoria in senso proprio, bensì quale criterio di computo idoneo a riempire di contenuto concreto una determinazione in via equitativa del danno risarcibile ai sensi dell’art. 1226, cod. civ.
7) congruità
Nel caso di specie, quindi, si ritiene congruo commisurare il quantum del risarcimento da corrispondere nella misura del quaranta per cento delle spese effettivamente sostenute ai fini della partecipazione alla gara (ivi comprese le spese di progettazione).
Non si ravvisano, invece, ragioni sistematiche o fattuali tali da indurre ad accogliere la domanda risarcitoria per ciò che attiene il preteso importo pari al 10 per cento del corrispettivo di gara.
Inoltre, non si ritiene di poter riconoscere il ristoro delle spese inutilmente sostenute nel corso delle trattative in vista del contratto non concluso, atteso che la società appellante non ha fornito alcun elemento di prova relativo ad ulteriori, possibili occasioni di stipulazione di contratti (altrettanto o maggiormente vantaggiosi rispetto a quello non concluso) i quali sarebbero stati impediti proprio dalle trattative indebitamente interrotte, in tal modo determinando l’obbligo di ristoro sotto il profilo del lucro cessante
Per quanto riguarda l’imputabilità soggettiva della condotta foriera di danno e la distribuzione del conseguente onere risarcitorio, si ritiene che la complessiva valutazione in ordine al comportamento delle amministrazioni appellate (e in ordine alla gravità dei relativi comportamenti) induca a distribuire il complessivo onere risarcitorio nella misura del 60 per cento a carico del Comune di Capannori e del 40 per cento a carico della Regione Toscana.
8) criteri:
in primo luogo, occorrerà determinare l’ammontare delle spese effettivamente sostenute per la partecipazione alla gara in questione (ivi comprese le somme per la predisposizione della documentazione di gara e del progetto, ove sussistenti e provate);
– le somme in tal modo determinate dovranno essere ridotte fino al quaranta per cento del loro ammontare complessivo;
– sul quantum risarcitorio in tal modo determinato, da intendersi quale debito di valore, dovranno essere computati gli interessi nella misura legale e la rivalutazione monetaria sino al giorno della pubblicazione della sentenza. Dovranno, inoltre, essere computati gli interessi nella misura legale dalla data di pubblicazione della decisione sino all’effettivo soddisfo.
 

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Rifiuti: procedure semplificate

RIFIUTI E PROCEDURE SEMPLIFICATE

Note a TAR Lombardia – Milano n. 2311/2011 Silenzio assenso e revoca della iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

 a cura di avv. Cinzia Silvestri

 Il TAR Lombardia-Milano con sentenza n. 2311/2011 del 29.9.2011 affronta un caso abbastanza comune ma ancora foriero di discussione.

Bisogna sempre considerare che le sentenze traggono origine da casi specifici e che vanno lette nel contesto di riferimento evitando di “fare di tutta l’erba un fascio”.

Certo, si registra da parte della magistratura una sempre maggiore distanza dall’operare concreto delle imprese; distanza giustificata dalla tutela ambientale che lascia, tuttavia, l’impresa, che combatte con costi e responsabilità, spesso in balia di norme oscure, interpretazioni, discrezionalità amministrative, incertezze.

Questa sentenza sembra dire che l’impresa che opera in regime sempliifcato può sempre vedersi revocata la iscrizione per “qualsiasi violazione del DM 5.2.1998” e che l’amministrazone non è tenuta neppure a motivare il provvedimento di revoca in quanto è implicita la motivazione dalla stessa istruttoria compiuta.

Ed invero.

Una società impugnava il provvedimento con il quale la Provincia di Lecco ha disposto il divieto di prosecuzione dell’attività e quello dell’Albo nazionale delle Imprese che svolgono la gestione dei rifiuti che ha archiviato la domanda di iscrizione al registro presentata dalla società.

La società invero sosteneva, ai sensi dell’art. 33 c. 1 del D. Lgs. 22/1997 e dell’art. 216 del D. Lgs. 152/2006, di aver ottenuto l’autorizzazione semplificata all’esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti per silenzio assenso, con la conseguenza che il provvedimento della Provincia di Lecco sarebbe tardivo. Inoltre la procedura semplificata permetterebbe di svolgere l’attività di recupero dei rifiuti in via accessoria e strumentale senza i requisiti richiesti in via ordinaria.

Lamentava la società anche in ordine alla motivazione del provvedimento della Provincia la quale non indicava in modo specifico, neppure per relationem, i requisiti mancanti.

  1. Il silenzio assenso della amministrazione (decorsi 90 giorni dalla comunicazione) non esaurisce il potere di controllo della amministrazione ed il potere di incidere sulla iscrizione ex art. 216 Dlgs. 152/2006

La Corte precisa:

L’articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, ed oggi l’art. 216 del T.U. Ambientale prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d’inizio d’attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l’attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d’inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l’esercizio dell’attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d’inizio o di prosecuzione dell’attività.

Benché la comunicazione di cui trattasi sortisca effetto già per il decorso del termine di 90 giorni, in assenza di specifici divieti o richieste di integrazioni documentali da parte della Provincia, sulla scorta dei meccanismi tipici del silenzio assenso, la comunicazione medesima, pur sortendo l’effetto operativo di legittimare l’attività con il decorso dei termini di legge, soggiace alle disposizioni richiamate dall’art. 31, ultimo comma, del D. Lgs. 22/97 (oggi art. 214 del T.U. Ambiente), ovvero le statuizioni sulla veridicità delle comunicazioni rese e dei relativi atti che la compongono, nonché il divieto di conformazione se si siano rese dichiarazioni false e l’espressa previsione di applicazione della sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Inoltre poiché la disposizione del terzo comma dell’art. 216 prevede espressamente che la Provincia verifica la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti, disponendo non solo il divieto di inizio ma anche quello di prosecuzione della medesima, si deve ritenere che tale potere di controllo sia esercitabile anche in caso di accertamento successivo alla decorrenza dei termini di inizio attività, qualora si verifichino irregolarità od il mancato rispetto della norma tecnica a presupposto della quale viene svolta l’attività, senza che sia necessaria la rimozione del provvedimento di assenso tacito.

Ne consegue che nessuna consumazione del potere di controllo provinciale si è verificata per il fatto che il diniego di autorizzazione è stato emanato oltre un anno dopo la presentazione della domanda.”

  1. L’iscrizione semplificata deve rispettare le norme di cui all’art. 214 commi 1,2,3 e DM 5.2.1998.

Sul punto la Corte, pur avendo a riferimento la doglianza posta in causa, sembra ampliare la rilevanza del DM 5.2.1998. Il richiamo reciproco degli articoli 214 co. 1,2,3, e 216 co. 1,2,3 sembra invero precisare le “condizioni” senza le quali la iscrizione non può essere ottenuta; solo queste condizioni sono tali da giustificare un simile provvedimento foriero di grave danno per le aziende. Non tutto ciò che indicato nel DM 5.2.1998 (soprattutto nella parte deidicata ai principi art. 1 a 11) pare integrare questo requisito.

Tuttavia nel contesto la generalità dell’affermazione della Corte è giustificata dalla doglianza del ricorrente e la Corte precisa:

Il secondo motivo è infondato in quanto l’art. 216 del D. Lgs. 152/2006 stabilisce al primo comma che l’autorizzazione semplificata opera “a condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche di cui all’articolo 214, commi 1, 2 e 3”.

Ne consegue che non si può ritenere che la previsione della comunicazione di inizio di attività costituisca una forma di liberalizzazione dell’attività.

In secondo luogo poiché condizione indispensabile per l’utilizzo della procedura semplificata è, nel caso in questione, il rispetto del D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, non è possibile ritenere che la mera accessorietà dell’attività di recupero dei rifiuti rispetto all’attività principale giustifichi il mancato rispetto della normativa ambientale.

Sebbene, infatti, tra gli scopi del T.U. ambientale vi sia anche quello di favorire il recupero dei rifiuti rispetto alle tradizionali attività di smaltimento, la legge non ha voluto, con gli artt. 214 ss. del D. Lgs. 152/2006, ritenere che il recupero sia attività irrilevante dal punto di vista ambientale, quanto piuttosto sottoporla ad un regime amministrativo ambientale semplificato e di favore, a condizione però che siano rigidamente osservati i limiti stabiliti dal D.M. 05/02/1998 per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi. Solo il rispetto di fatto di queste condizioni legittima la piena efficacia della d.i.a. e la conseguente iscrizione all’Albo dei Gestori Ambientali.

Non è possibile quindi ritenere che l’attività di recupero non sia soggetta alla normativa ambientale ma a quella dell’attività principale.

  1. L’Amminstrazione non è tenuta a motivare nel provvedimento la condizione violata ex DM 5.2.1998.

L’affermazione desta perplessità. La Corte sembra giustificare, come motivata, la contestazione della amministrazione in quanto esiste documento (foto) dal quale desumere la motivazione del provvedimento.

Giustifica la Corte: “Il terzo motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione, è infondato in quanto la mancanza dei requisiti richiesti dal DM 05.02.1998 per la gestione dei rifiuti non pericolosi risulta dal confronto diretto tra le foto del verbale dell’ispezione effettuata dalla Provincia il 7 giugno 2007 e la normativa violata. In particolare risultano cumuli scoperti mentre l’allegato 5 al DM citato richiede che “lo stoccaggio in cumuli di rifiuti che possano dar luogo a formazioni di polveri deve avvenire in aree confinate; tali rifiuti devono essere protetti dalle acque meteoriche e dall’azione del vento a mezzo di appositi sistemi di copertura anche mobili”.

Ne consegue che nessun difetto di motivazione può imputarsi al provvedimento amministrativo in quanto la mancata indicazione della specifica disposizione vietata all’interno del DM citato costituisce una mera irregolarità in quanto non rende perplesso il contenuto del provvedimento”.

 

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Fanghi: quando sono rifiuti?

QUANDO I FANGHI DA DEPURAZIONE DIVENGONO RIFIUTI?
NOTE A CASS. PEN. N. 36096 DEL 5.1.2011.
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Il legale rappresentante di una società cui era affidata la gestione dell’impianto di depurazione delle acque reflue urbane era accusato di aver effettuato il deposito incontrollato dei rifiuti costituiti dai fanghi di depurazione del predetto impianto avendone omesso lo smaltimento.
La sentenza affronta il momento di passaggio dei “fanghi” alla disciplina sui “rifiuti”.
Utile la cronologia delle modifiche all’art. 127 :
1) L’art. 48 dell’ormai abrogato Dlgs 152/99 stabiliva: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99 e successive modifiche, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta ciò risulti appropriato“.
2) L’art. 127 del Dlgs 152/2006, nell’originaria formulazione, specificava: “ferma restando la disciplina di cui al Dlgs 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
3) L’articolo 127, comma primo Dlgs 152/2006, nell’attuale formulazione dopo le modifiche apportate dal Dlgs 4/2008, così recita: “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.
Le modifiche apportate all’articolo 127, recita la sentenza, spostano dunque il momento in cui la disciplina dei rifiuti deve applicarsi ai fanghi al termine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione, ragion per cui è essenziale individuare il momento finale di tale trattamento.
La sentenza approfondisce concludendo che se manca il trattamento finalizzato allo smaltimento e/o riutilizzo, ovvero quando tale procedura sia svolta in luogo diverso dall’impianto di depurazione o in modo incompleto, inappropriato o fittizio, i fanghi derivanti dalla depurazione di acque reflue devono considerarsi RIFIUTI.
Questo è il principio di diritto sancito dalla Cassazione Penale con sentenza n. 36096 del 5.10.2011, che ha rigettato il ricorso di un gestore di un impianto di depurazione di acque reflue urbane condannato per aver effettuato un deposito incontrollato di rifiuti costituiti da fanghi di depurazione non smaltiti.
Sul punto però il legislatore nulla ha statuito, anche perché, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, la procedura di trattamento dei fanghi dipende da molti fattori (attrezzature impiegate, luogo in cui avviene l’essiccamento, agenti atmosferici, natura dei fanghi, destinazione dei letti di essiccamento) e sarebbe dunque impossibile determinare un momento finale adeguato e certo.
La Cassazione richiede pertanto un accertamento concreto della natura dei fanghi e delle modalità di trattamento degli stessi.
Nella fattispecie oggetto della sentenza, la mancanza di operazioni di scarico dei rifiuti nell’apposito registro e la presenza di vegetazione sui fanghi costituivano elementi fattuali che a parere della Cassazione dimostravano al di là di ogni ragionevole dubbio l’omesso trattamento dei fanghi ed il prolungato tempo di permanenza degli stessi nelle vasche di essicazione.
I fanghi dunque non erano destinati né allo smaltimento, né al loro recupero, ma costituivano rifiuti.
Il gestore non aveva peraltro provato l’avvio del trattamento, né aveva motivato il ritardo e questo costituiva ulteriore riprova dell’omesso trattamento.
La sentenza 36096/2011 è anche occasione per la Cassazione di ribadire che l’onere della prova incombe proprio sul produttore dei rifiuti, “in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria”.
 
 

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Sicurezza: Regolamento prevenzione incendi

Sicurezza: Regolamento di prevenzione incendi
Ministero dell’Interno, L.C. 6 ottobre 2011, Prot. 13061
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 Lo scorso 7 ottobre è entrato in vigore il nuovo regolamento di prevenzione incendi (D.P.R. 1 agosto 2011, n. 151)
Il regolamento, nell’introdurre importanti elementi innovativi nella vigente disciplina della prevenzione incendi, ha inteso raccordare l’attuale quadro normativo con l’introduzione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e dello sportello unico per le attività produttive e, al tempo stesso, garantire il bilanciamento degli interessi fondamentali di tutela della sicurezza delle persone e dell’integrità dei beni con le esigenze di semplificazione amministrativa e di riduzione degli oneri a carico delle imprese e dei cittadini.
Al fine di offrire indirizzi applicativi uniformi sul territorio, il Ministero dell’Interno ha emanato, in data 6 ottobre 2011, la Circolare Prot. 13061 con la quale vengono fornite alcune importanti indicazioni utili per una più chiara lettura della nuova regolamentazione in attesa dell’emanazione dei decreti attuativi. Nella lettera circolare sono trattati, nello specifico, i seguenti temi:
1. Le novità introdotte dal nuovo Regolamento
3. Nuovi procedimenti volontari
4. Procedimenti nel periodo transitorio
5. Documentazione e modulistica a corredo delle pratiche
6. Il sistema tariffario nel transitorio
7. Gestione transitoria dell’applicativo prevenzione incendi
 LE NOVITÀ INTRODOTTE DAL NUOVO REGOLAMENTO
Attraverso il nuovo regolamento di semplificazione del procedimento di prevenzione incendi viene perseguito un duplice obiettivo:
1)    rendere più snella e veloce l’azione amministrativa,
2)    rendere più efficace l’opera di controllo dei Comandi provinciali che hanno la possibilità di concentrare la gran parte delle verifiche tecniche sulle attività con rischio di incendio più elevato.
A tal fine il nuovo regolamento distingue le attività sottoposte ai controlli di prevenzione incendi in tre categorie A, B e C, elencate nell’allegato I al d.P.R. 151/11 che sono assoggettate a una disciplina differenziata in relazione al rischio connesso all’attività, alla presenza di specifiche regole tecniche e alle esigenze di tutela della pubblica incolumità.
Vengono quindi abrogati:
–       il decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1959, n. 689, che nelle tabelle A e B riportava le aziende e lavorazioni soggette al controllo del vigili del fuoco ai fini della prevenzione degli incendi, ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547;
–       il decreto del Ministro dell’interno 16 febbraio 1982, che nella tabella allegata conteneva l’elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 4 della legge 26 luglio 1965, n. 966.
Gli adempimenti connessi alla valutazione dei progetti vengono differenziati in relazione alle esigenze di tutela degli interessi pubblici: per le attività di cui alla categoria A, che sono soggette a regole tecniche e che per la loro standardizzazione non presentano particolare complessità, non è più previsto il preventivo parere di conformità dei Comandi.
In allegato si trasmette una sintesi dettagliata della circolare ministeriale. E’ possibile scaricare il testo integrale del provvedimento, unitamente alla modulistica, al seguente indirizzo internet: http://www.vigilfuoco.it/aspx/notizia.aspx?codnews=12832
 
 
 

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V.I.A.: Regione Veneto

 
REGIONE VENETO – V.I.A. – DGRV 1539/2011
 A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
La  procedura VIA ha subito due importanti interventi legislativi che hanno rielaborato interamente l’istituto dapprima con il Dlgs. 16.1.2008 n. 84 e da ultimo con Dlgs. 128/2010 (in vigore dal 28.8.2010).
Ebbene la Regione adegua la propria normativa (LRV 10/999) al Dlgs. 128/2010 (Dlgs. 152/2006) con DGRV n. 1539 del 27.9.2011.
Il testo riformato del Dlgs. 152/2006 (art. 35 comma 1) prevede che le Regioni, laddove necessario ADEGUANO il proprio ordinamento alle disposizioni del Dlgs. 152/2006 entro 12 mesi dall’entrata in vigore (ovvero entro il 28.8.2011).
In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al Dlgs. 152/2006 (come riformato).
Continua l’art. 35 al comma 2: Trascorso il termine di cui al comma 1 (28.8.2011) trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali IN QUANTO COMPATIBILI.
Il legislatore Statale dunque affida alle Regioni il solo potere di adeguamento e di compatibilità .
Ne discende che eventuali norme “innovative” delle Regioni – non compatibili con il dettato Statale – non possono essere prese in considerazione.
Vero è che l’intervento della Regione di adeguamento, che sembra essere anche tardivo rispetto alla data del 28.8.2011, avviene tramite una DGRV (Delibera di Giunta 1539/2011 del 27.9.2011 in BURV n. 76 dell’11.10.2011)
La lettura della DGRV deve essere considerata una sorta di Linea Guida (priva di valore  modificativo sia a livello di legge regionale che Statale)…la DGRV  secondo la gerarchia delle fonti, non può modificare un atto legislativo (anche Regionale).
L’intento della Delibera di Giunta è apprezzabile perché cerca di indicare ciò che resta della Legge Regionale.
Tuttavia non bisogna dimenticare che il dettato Regionale non è legge (tantomeno tramtite DGRV) e dunque eventuali indicazioni che permettano il permanere di disposizioni incompatibili con il dettato Statale …. sono sempre contestabili e non applicabili.
Lo Studio Legale  Ambiente offre in allegato breve lettura della LRV n. 10/99 oggi vigente a mezzo di prospetto finalizzato alla semplice visione del testo (senza alcun valore ufficiale).
Il testo è tratto dal sito della Regione Veneto.
L.R.V n.10/99

adminV.I.A.: Regione Veneto
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Bonifiche Siti: Responsabilità degli Enti

Bonifica siti:  responsabilità degli enti
Dlgs. 231/2001 art. 25 undecies – art. 257 Dlgs. 152/2006
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Lo Studio Legale Ambiente prosegue la pubblicazione di  schemi di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001[1] per i reati di cui al Dlgs. 152/2006 in vigore dal 16.8.2011; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
         BONIFICA DEI SITI
L’art. 257 Dlgs. 152/2006 (Bonifica dei siti) si articola in 4 commi.
Il primo comma punisce l’inquinamento acque e suolo ( Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee)  in presenza di due presupposti:
1)    il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)
2)    se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti.
In presenza di questi presupposti il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.
Il Dlgs. 231/2001 art. 25-undecies richiama per intero l’art. 257 comma 1 e ciò fa presumere che la sanzione (in quote) ivi prevista sia estesa anche alla seconda parte del comma 1 che prevede diversa fattispecie relativa alla “…mancata effettuazione della comunicazione di cui all’articolo 242. In questo caso “il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con llammenda da mille euro a ventiseimila euro”.
 
Il secondo comma dell’art. 257 aggrava la pena se l’inquinamento è provocato da sostenze pericolose e “ Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni e la pena dell’ammenda da cinquemiladuecento euro a cinquantaduemila euro”.
La pena dell’arresto e dell’ammenda non è alternativa ma si cumula; e ciò rappresenta il maggiore disvalore del comportamento.
 
Ciò che si nota è che non sono previste sanzioni interdittive.
In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Enteex Dlgs. 231/2001 Sanzioni interdittive
art. 257 comma 1 (prima parte)(inquinamento acque e suolo) pena dell’arresto da 6 mesi a 1 annoo
con l’ammenda da 2600 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257 comma 1 (seconda parte)Omessa Comunicazione ex art. 242 Arresto da3 mesi a 1 anno
o
ammenda  da
1000 euro a
26000 euro
Fino a 250 quote Non prevista
Art. 257comma  2
Inquinamento sostanze pericolose
 
pena dell’arresto da  1 anno a 2 annie
ammenda da
5200 euro a
52000 euro
 
Da 150 a 250 quote  Non prevista

 
 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 



[1] IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela   penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
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SANZIONI SISTRI: CONSIDERAZIONI



SANZIONI SISTRI: considerazioni brevi
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati?
 
La Corte di Cassazione spiega nella relazione III/13/2011 del 20 settembre 2011 http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Relazione_III_13_11.pdf l’attuale regime sanzionatorio del SISTRI, alla luce delle molteplici (e confuse) novità legislative sul punto.
La difficoltà interpretativa è data non solo dalle (gravi) abrogazioni (si pensi al D. L. 138/2011 prima dell’intervento del Parlamento), ma soprattutto dalle singole novelle intervenute non nel Testo Unico ambientale, ma di volta in volta nella precedente disposizione modificativa, creando un puzzle normativo di difficile soluzione, soprattutto quanto alla determinazione di vigenza delle singole leggi.
 
Ed invero l’originario art. 39 del D. Lgs. 205/2010 che ha modificato la parte IV del D. Lgs. 152/06 introducendo il SISTRI nella disciplina sui rifiuti è stato a sua volta novellato dall’art. 4 de D. Lgs. 121/2010.
Ne consegue che gli artt. 258 e 260 bis T.U.A. devono essere letti in base alla modifica operata da entrambi i testi normativi.
Molto più semplice sarebbe stato se il legislatore avesse riscritto direttamente il Testo Unico Ambientale
 
Riassumendo:
1. NATALE 2010: entra in vigore il D. Lgs. 205/2010, il cui art. 39 abroga l’art. 258, depenalizzando il trasporto di rifiuti in assenza di FIR cartaceo, reato non contemplato dal nuovo art. 260 bis.
Le ipotesi di reato sono tassative e nessuno può essere sanzionato se non in forza di una legge in vigore al momento del fatto.
Note sono le critiche dottrinali e giurisprudenziali sul punto.
 
2. 16 AGOSTO 2011: diventa vigente il D. Lgs. 121/2011, il cui art. 4 modifica l’art. 39 mediante l’aggiunta, tra l’altro del comma 2 bis.
Fino alla data di operatività del SISTRI le sanzioni da applicarsi sono quelle stabilite “nella formulazione antecedente all’entrata ini vigore del presente decreto” (da leggersi: anteriormente al Natale 2010).
Si assiste dunque ad una rinascita della normativa abrogata, limitatamente però alle sanzioni…
Si potrebbe obiettare che le sanzioni da sole non hanno alcuna valenza senza le disposizioni descriventi la condotta, ovvero nella fattispecie gli artt. 190 e 193 vecchia formulazione.
L’art. 258 vecchia formulazione è di fatto una scatola vuota, ma il buon senso impone di non sottilizzare sui principi normativi e sulla esegesi delle fonti….
 
La Corte di Cassazione, invece, impone la corretta applicazione dei principi cardine del sistema penale italiano e dunque ai sensi degli artt. 25 Cost. e art. 2 c.p., non possono essere puniti i reati ex art. 258 commessi tra Natale 2010 e Ferragosto 2011 stante l’abolitio criminis operata con il D. Lgs. 205/2010.
 
3. D. L. 138/2011: il SISTRI viene completamente abrogato. Ancora una lacuna nell’applicazione del regime sanzionatorio penalistico: tutti gli illeciti considerati reati ai sensi della normativa ambientale commessi sotto la vigenza del D. L. 138/2011 rimangono impuniti (?)
 
4. Legge n. 148/2011 di conversione con emendamenti del D. L. 138/2011: ripristino del Sistri e riassesto della normativa ambientale.
 
L’interprete è dunque chiamato a ricostruire il puzzle delle disposizioni sul SISTRI, considerando, fino al 9.2.2012 e/o giugno 2012, un doppio binario tra vecchia e nuova formulazione… chiudendo un occhio sull’effettiva portata dell’istituto della abrogazione
 
 
 
 
 
 

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RIFIUTI: CATEGORIE

 
 
CATEGORIE E ISCRIZIONE
Albo Nazionale Gestori Ambientali

Chiarimenti su passaggi iscrizione da cat. 2 e 3 a cat. 1-4 e 5.

 
A CURA DI AVV. CINZIA SILVESTRI E DOTT. DARIO GIARDI
 
Con Circolare del 28/9/2011, n. 1147 – chiarimenti su passaggi iscrizione da cat. 2 e 3 a cat. 1-4 e 5, l’Albo ha fornito ulteriori indicazioni per quelle imprese che, già iscritte alle categorie 2 e 3 (trasporto di rifiuti ammessi alle procedure semplificate), a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 205/10 che ha operato la soppressione delle citate categorie, dovranno procedere ad iscriversi nella categoria 1, 4 o 5 (trasporto di rifiuti in procedura ordinaria), a seconda della provenienza e della pericolosità dei rifiuti che intendono trasportare.
 
Già la Circolare dell’Albo n. 240 del 9 febbraio 2011 al punto C, aveva fornito indicazioni alle aziende sulle modalità di rinnovo della propria iscrizione all’Albo a seguito delle modifiche introdotte all’art. 212 dal D.Lgs. n. 205/10.
 
Con la Circolare viene precisato in particolare che:

  • qualora le imprese interessate abbiano già versato i diritti d’iscrizione nelle categorie (2 e/o 3) di appartenenza, non sono tenute a versare ulteriori diritti per la stessa annualità;
  • la dichiarazione concernente la perizia giurata sull’idoneità dei mezzi di trasporto (Delibera n. 4 del 27/9/2000 – art. 8, comma 2) è ritenuta valida purché “integrata con la descrizione specifica dei codici EER terminanti con le cifre 99 qualora presenti nelle richieste tipologie di cui agli allegati al D.M. 5/2/99”.

 
Allegato I_Circ1147_28_09_2011 (Diritti annui cat 2 e 3) (2)
 



 

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Sistri: operatività al 9 febbraio 2012?

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
 
Si era anticipato con precedente news che la Commissione ambiente del Senato (parere del 23 agosto) e dal Ministero dell’Ambiente (comunicato 1° settembre), si erano schierati contro l’abrogazione del Sistri contenuta nel Dl 138/2011, in vigore dal 13 agosto scorso.
 
Ebbene nella seduta di ieri, 14 settembre, la Camera dei Deputati ha confermato il ripristino del Sistri richiesto dal Senato, con slittamento dell’operatività al 9 febbraio 2012. Ora il provvedimento di conversione in legge del dl “Anticrisi” verrà pubblicato nei prossimi giorni in Gazzetta Ufficiale.
 
 
Si legge nel testo modificato dell’art. 6 del DL 138/2011 che abrogava il Sistri:

Utilizzo più semplice?
“…Al fine di garantire un adeguato periodo transitorio per consentire la progressiva entrata in operatività del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), nonché l’efficacia del funzionamento delle tecnologie connesse al SISTRI, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il concessionario SISTRI, assicura, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e sino al 15 dicembre 2011, la verifica tecnica delle componenti software e hardware, anche ai fini dell’eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, organizzando, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l’obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti…”

Operatività al 9 febbraio 2012: non per tutti?
Ed invero con formulazione letterale sempre troppo complessa e mai diretta… l’operatività è fissata:
1) produttori di rifiuti fino a 10 dipendenti –  per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 -l’entrata in operatività del Sistri non può essere antecedente al 1º giugno 2012.
2)    imprese con numero di dipendenti superiore a 10 – per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del DM 26 maggio 2011 – il termine di entrata in operatività del SISTRI è il 9 febbraio 2012
 
Si legge: “….Conseguentemente, fermo quanto previsto dall’articolo 6, comma 2, lettera f-octies), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, pubblicato nellaGazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 2011, per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del predetto decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011, il termine di entrata in operatività del SISTRI è il 9 febbraio 2012. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Rifiuti speciali non pericolosi. Estensione?
In sostanza gli operatori che gestiscono tali rifiuti a basso impatto potranno avere la facoltà e non l’obbligo di adottare il sistema Sistri.

“…Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, sentite le categorie interessate, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, in considerazione della quantità e dell’assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, sono applicate, ai fini del SISTRI, le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi.
 
Consorzi di recupero
“…3-bis. Gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge possono delegare la realizzazione dei propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria….

adminSistri: operatività al 9 febbraio 2012?
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Reato ambientale: art. 256 comma 4

Dlgs. 231/2001 e reato ex art. 256 comma 4
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone secondo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 per i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.

Particolare attenzione all’ art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
Il comma 6 dell’art. 25 undecies del Dlgs. 231/2001 prevede la riduzione a metà della pena per le ipotesi di reato di cui all’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006 con riferimento alle sanzioni di cui al comma 2 lettera b)  dell’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001.
Recita il comma 4 dell’art. 256: Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.
Il reato prevede due diverse condotte ovvero:
1)    inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni;
2)    carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizionicomunicazioni.
Il riferimento dunque è solamente alla violazione dell’art. 256 comma 1 lett. a) e b) ; comma 3 primo e secondo periodo.
 
In particolare le pene previste per il trasgressore (Dlgs. 152/2006) e per la Società (Dlgs. 231/2001) risultano:
 

reato

Art. 256 comma 4

Pena ex Dlgs. 152/2006

Sanzione Ente

ex Dlgs. 231/2001

Sanzioni interdittive

art. 256

comma 1 lett. a)

(gestione non autorizzata)

pena dell’arresto da 1 mese e mezzo a 6 mesi

o

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Fino a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 1 lett. b)

(getione non autorizzata/rifiuti pericolosi)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 primo periodo

(discarica non autorizzata)

pena dell’arresto da 3 mesi a 1 anno

e

con l’ammenda da 1300 euro a

13000 euro.

Da 75 a 125 quote

Non prevista

Art. 256

comma 3 secondo periodo

(discarica finalizzata smaltimento rifiuti pericolosi)

arresto da 6 mesi  a 1 anno e mezzo

e

dell’ammenda da euro 2600 a

euro 26000

Da 100 a 150 quote

Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 3 mesi

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Si ricorda che le sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 sono:
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 

adminReato ambientale: art. 256 comma 4
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Rifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?

Art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 – Cass. penale 27.7.2011 n. 29973
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
 
Il caso prende origine dal viaggio senza FIR, di veicoli incidentati destinati alla demolizione. Rifiuti considerati pericolosi.
Il fatto si consumava sotto la vigenza dell’art. 258 comma 4 Dlgs. 152/2006 prima della riforma avvenuta  con Dlgs. 205/2010 che modificava l’art. 258 alla luce del SISTRI.
La Cassazione si pone il problema della applicazione del nuovo art. 258, come modificato, in quanto norma più favorevole al reo (favor rei ex art. 2 c.p.).
 
La Corte di Cassazione, dunque con sentenza n. 29773/2011 ritiene depenalizzato il reato di trasporto rifiuti in assenza di formulario o con FIR incompleto proprio in quanto ipotesi illecita non più statuita dal nuovo TUA e come tale più favorevole al reo.

A dire il vero la Sentenza è un po’ confusa in quanto disserta sul punto della applicabilità del nuovo articolo 258 senza però porre a fondamento della decisione tale dissertazione.
La sentenza inoltre non può tenere conto della intervenuta abrogazione del sistema Sistri operata dal DL. 138/2011.
 
La sentenza invero deciderà che il reato non sussiste in quanto i rifiuti trasportati non sono pericolosi e dunque non si pone il problema della applicabilità della pena di cui all’art. 483 c.p..(258) – (oggetto del contendere era l’accertato trasporto di veicoli destinati alla rottamazione, circostanza che il P.M. aveva classificato come trasporto di rifiuti in assenza di formulario. La Cassazione, invece, ha escluso che le automobili fossero rifiuti perché non erano veicoli fuori uso, essendo ancora dotati di targa e potendo essere ancora utilizzati).
 
Vero è che la Cassazione pone attenzione alla novella dell’art. 258.
 
La novella a ben leggere ha modificato la fattispecie legislativa nei suoi elementi costitutivi, cancellando il reato di trasporto di rifiuti in assenza di formulario e sostituendolo con l’illecito di trasporto in assenza di copia cartacea della scheda di movimentazione SISTRI (la cui sanzione è statuita all’art. 260 bis T.U.A., oggi abrogato dal DL 138/2011).
La Dottrina si è già espressa, sollevando la questione affinché il Parlamento prendesse provvedimenti e suggerendo nelle more una soluzione di buon senso:continuare cioè l’applicazione del vecchio Codice Ambientale fintanto che il SISTRI non fosse divenuto operativo.
 
La sentenza dunque ha il merito di porre riflessione sulla applicazione dell’art. 258 comma 4 anche alle fattispecie contestate precedentemente alla entrata in vigore della nuova formulazione dlel’art. 258 (25.12.2010).
 
 
 
 

ART. 258 COMMA 4 vigente fino al 24/12/2010 ART. 258 COMMA 4 
vigente al 25/12/2010
Chiunque effettua il trasporto di rifiuti senza il formulano di cui all’articolo 193ovvero indica nel formulano stesso dati incompleti o inesatti è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale nel caso di trasporto di rifiuti pericolosi. 
….
Le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, che non aderiscono, su base volontaria, al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all’articolo 188-bis, comma 2, lettera a), ed effettuano il trasporto di rifiuti senza il formulario di cui all’articolo 193 ovvero indicano nel formulario stesso dati incompleti o inesatti sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da milleseicento euro a novemilatrecento euro. Si applica la pena di cui all’articolo 483 del codice penale a chi, nella predisposizione di un certificato di analisi di rifiuti, fornisce false indicazioni sulla natura, sulla composizione e sulle caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti e a chi fa uso di un certificato falso durante il trasporto

 

adminRifiuti: Trasporto rifiuti senza FIR – non è reato?
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Sacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Si ritiene utile presentare un riepilogo del quadro normativo europeo e nazionale, relativo alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica.

Il fine della sintesi proposta è quello di informare il sistema, chiarendo alcuni aspetti particolarmente critici circa le novità che diventeranno operative a partire dal 1 gennaio 2011 (relativamente al divieto alla produzione, commercializzazione ed utilizzo dei sacchetti in plastica non biodegradabili così come definiti dalla norma tecnica EN 13432).
La norma europea EN 13432 “Requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione”, adottata anche in Italia con la denominazione UNI EN 13432, definisce le caratteristiche che un materiale deve possedere per poter essere definito “compostabile”:
–         Biodegradabilità, ossia la conversione metabolica del materiale compostabile in anidride carbonica;
–         Disintegrabilità, cioè la frammentazione e perdita di visibilità nel compost finale (assenza di contaminazione visiva);
–         Bassi livelli di metalli pesanti e assenza di effetti negativi sulla qualità del compost (esempio: riduzione del valore agronomico e presenza di effetti ecotossicologici sulla crescita delle piante).
L’inquinamento dei sacchetti è duplice: c’è il problema dello smaltimento e quello della produzione. Si stima, infatti, che per produrne 200 mila tonnellate vengano bruciate 430  mila tonnellate di petrolio. Le alternative esistono e sono i sacchetti di tela e cotone o i sacchetti di carta riciclata capaci di portare fino a 7 kg di peso ma c’è di più. Sono gli ecoshopper che dovranno essere realizzati in bio plastica ricavata da olio di girasole, amido di mais e da altre materie vegetali e dovranno essere riutilizzabili.
La norma UNI EN 13432 è una norma armonizzata, ossia fornisce presunzione di conformità alla Direttiva Europea 2004/12/CE che modifica la direttiva 94/62/CE 94/62 EC, sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio.
I dettami di tali disposizioni sono stati recepiti dalla “Finanziaria 2007” Legge 27 dicembre 2006 n.296. In particolare si riportano i due commi dell’art.1 specificatamente dedicati a tale tematica:
“1129. Ai fini della riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, del rafforzamento della protezione ambientale e del sostegno alle filiere agroindustriali nel campo dei biomateriali, è avviato, a partire dall’anno 2007, un programma sperimentale a livello nazionale per la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario, non risultino biodegradabili. 1130. Il programma di cui al comma 1129, definito con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare e con il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, è finalizzato ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario.”
All’art. 23, del Decreto  decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, (nella Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 150 del 1 luglio 2009), coordinato con la legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, recante: «Provvedimenti anticrisi, nonche’ proroga di termini, viene introdotto il comma 21-novies che proroga al 1° gennaio 2011 il termine originariamente previsto al 1° gennaio 2010 che vieta la commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili.
Ciò in quanto non è ancora stato definito il programma (da notificarsi in sede comunitaria)  che dovrà prevedere specifiche misure  da introdurre nell’ordinamento per avviare una graduale dismissione di tali sacchetti.
La confusione intorno alla ipotetica messa al bando, dal 1 gennaio 2010, dei sacchetti in plastica parte dalla Legge Finanziaria 2007 che prevedeva, ai commi 1129 1130, l’avvio di un programma sperimentale volto alla progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto delle merci non biodegradabili, nonché il rinvio a due decreti ministeriali, mai pubblicati, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge (quindi, entro il 30 aprile 2007); questi avrebbero dovuto individuare misure “da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo divieto, a decorrere dal 1 gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci”.
Il Ministero – si legge nella circolare FGP – ha precisato che sono emerse difficoltà a formulare, entro aprile 2007 (data indicata dalla Finanziaria per l’emanazione dei decreti, ndr), il programma sperimentale per la progressiva riduzione dell’immissione in commercio di sacchetti in materiali non biodegradabili. Peraltro, ha dichiarato il Ministero, sono stati valutati gli effetti della norma sull’assetto produttivo, cui hanno fatto seguito valutazioni che hanno indotto a ritenere necessaria la determinazione di un più ampio periodo di transizione rispetto ai tre anni indicati dalla norma.
Nelle intenzioni del legislatore, lo slittamento di un anno dovrebbe, quindi, consentire di adeguare le strutture produttive e distributive alla nuova disciplina considerata “la non semplice definizione sul piano operativo del programma” e per consentire, si legge nella relazione “un impatto morbido sul sistema produttivo e di distribuzione commerciale”.
 

adminSacchetti di plastica: Produzione, Commercializzazione ed Utilizzo Le novità del quadro normativo
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Sistri: anteprima di “ripristino”

Ancora novità
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


 
Crea persino imbarazzo continuare a parlare di Sistri e soprattutto ciò genera confusione applicativa.
Vero è che, come già anticipato in precedente news su questo sito, l’operatore deve usare prudenza nell’abbandonare la via tracciata.
Le scelte governative sembrano allo sbando, senza rotta, ondivaghe e dunque appare prudente attendere l’esito finale e definitivo ovvero la sorte del DL 138/2011.
 
In questo contesto e con i dovuti dubbi si informa che la legge di conversione del “Dl anticrisi” (Dl 138/2011) dovrebbe introdurre una disposizione specifica che ripristina il sistema di tracciabilità dei rifiuti precedentemente abrogato.
Il provvedimento si adegua così a quanto richiesto dalla Commissione ambiente del Senato (parere del 23 agosto) e dal Ministero dell’Ambiente (comunicato 1° settembre), che si erano schierati contro l’abrogazione del Sistri contenuta nel Dl 138/2011, in vigore dal 13 agosto scorso.
 
Secondo quanto scritto nell’emendamento attualmente approvato in commissione bilancio, il Ministero dell’Ambiente dovrà assicurare sino al 15 dicembre 2011 la verifica delle componenti software e hardware del sistema, anche ai fini dell’eventuale implementazione di tecnologie di utilizzo più semplice rispetto a quelle attualmente previste, in collaborazione con le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, test di funzionamento con l’obiettivo della più ampia partecipazione degli utenti.
 
Viene fatta salva la disposizione prevista dall’articolo 6, comma 2, lettera f-octies del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 secondo la quale  per i soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 (produttori di rifiuti fino a 10 dipendenti), l’entrata in operatività del Sistri non può essere antecedente al 1º giugno 2012.
 
Per gli altri soggetti di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 26 maggio 2011 e cioè le imprese con numero di dipendenti superiore a 10, il termine di entrata in operatività del SISTRI è il9 febbraio 2012.
 
Viene, inoltre, previsto che con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del Mare, di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa, sentite le categorie interessate, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, siano individuate specifiche tipologie di rifiuti, alle quali, in considerazione della quantità e dell’assenza di specifiche caratteristiche di criticità ambientale, vengano applicate, ai fini del sistema di controllo di tracciabilità dei rifiuti, le procedure previste per i rifiuti speciali non pericolosi.
 
Gli operatori che producono esclusivamente rifiuti soggetti a ritiro obbligatorio da parte di sistemi di gestione regolati per legge, possono delegare la realizzazione dei propri adempimenti relativi al SISTRI ai consorzi di recupero, secondo le modalità già previste per le associazioni di categoria.

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Acque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001

Schema dell’art. 137
 
A cura di avv. Cinzia Silvestri
 
Lo Studio Legale Ambiente propone primo schema di chiarimento delle novità introdotte dal Dlgs. 231/2001 e i reati di cui al Dlgs. 152/2006; e ciò con riserva di precisare in ordine alla natura della responsabilità degli Enti  come indicati all’art. 1 Dlgs. 231/2001 (enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
L’intento in questa prima fase è di fornire una analisi semplicemente descrittiva.
 
IL DECRETO LEGISLATIVO 7 luglio 2011, n. 121  (attuazione   della   direttiva   2008/99/CE   sulla   tutela  penale dell’ambiente, nonche’ della direttiva 2009/123/CE  che  modifica  la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni. (11G0163) è entrato in vigore il 16.8.2011.
 
Il Decreto ha inserito l’art. 25 undecies al Dlgs. 231/2001 dedicandosi ai “reati ambientali”.
Ciò significa che l’Ente (Società) risponderà in “via amministrativa” dei reati ambientali commessi dai soggetti di cui all’art. 5 del Dlgs. 231/2001 e nei modi e limiti ivi descritti.
Il Decreto impone molte novità anche applicative e una nuova gestione organizzativa.
 
L’art. 25 undecies prevede, con riferimento all’art. 137 Dlgs. 152/2006 (acque industriali), la responsabilità anche dell’Ente (società).
 
In particolare, l’art. 25 undecies comma 2 lettera a) n. 1 considera le seguenti fattispecie di reato:
1) art. 137 comma 3: “Chiunque, al di fuori delle ipotesi di cui al comma 5, effettui uno scarico di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto senza osservare le prescrizioni dell’autorizzazione, o le altre prescrizioni dell’autorità competente a norma degli articoli 107, comma 1, e 108, comma 4, è punito con l’arresto fino a due anni.
2) Art. 137 comma 5, primo periodo: Chiunque, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, nell’effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, superi i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell’allegato 5 alla Parte terza del presente decreto, oppure i limiti più restrittivi fissati dalle Regioni o dalle Province autonome o dall’Autorità competente a norma dell’articolo 107, comma 1, è punito con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
3)             Art. 137 comma 13: Si applica sempre la pena dell’arresto da due mesi a due anni se lo scarico nelle acque del mare da parte di navi od aeromobili contiene sostanze o materiali per i quali è imposto il divieto assoluto di sversamento ai sensi delle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali vigenti in materia e ratificate dall’Italia, salvo che siano in quantità tali da essere resi rapidamente innocui dai processi fisici, chimici e biologici, che si verificano naturalmente in mare e purché in presenza di preventiva autorizzazione da parte dell’autorità competente

In sintesi:
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
art. 137 comma 3
 
l’arresto fino a due anni 150 a 200 quote
137 co.5 primo periodo l’arresto fino a due anni
e con l’ammenda da tremila euro a trentamila euro.
 
150/200 quote
137 co. 13 dell’arresto da due mesi a due anni 150/200 quote

 
Si ricorda che la sanzione amministrativa prevista dall’art. 10 del Dlgs. 231/2001 indica un particolare sistema di calcolo della sanzione: “…2.  La  sanzione  pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento ne’ superiore a mille.   3.L’importo di una quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di lire tre milioni.”
Ovvero da un minimo di 250 Euro a 1500 Euro.
 
Il secondo blocco di reati è previsto dall’art. 25 undecies Dlgs. 231/2001 comma 2 lettera a) n. 2 e si distingue per un maggiore rigore sanzionatorio laddove prevede:
1)    quote maggiori a carico delle Società (da 200 a 300 quote);
2)    l’applicazione di sanzioni interdittive descritte dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 quali
a) interdizione dall’esercizio dell’attività;
b) sospensione  o revoca della autorizzazione, licenze, o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
e) il divieto di pubblicizzare beni e servizi.
 
In particolare:
 
1) art. 137 comma 2: Quando le condotte descritte al comma 1 (ovvero 1. Chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l’autorizzazione sia stata sospesa o revocata…), riguardano gli scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3/A dell’allegato 5 alla parte terza del presente decreto, la pena è dell’arresto da tre mesi a tre anni.
2)    Art. 137 comma 5 secondo periodo: Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3/A del medesimo allegato 5, si applica l’arresto da sei mesi a tre anni e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
3)    Art. 137 comma 11:  Chiunque non osservi i divieti di scarico previsti dagli articoli 103 (Scarichi sul suolo) e 104 (Scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee) è punito con l’arresto sino a tre anni.
 
In sintesi
 

reato Pena ex Dlgs. 152/2006 Sanzione Ente
ex Dlgs. 231/2001
Art. 25 undecies comma 7
art. 137 co. 2
 
dell’arresto da tre mesi a tre anni.
 
200 a 300 quote  
 
 
Si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9 comma 2 Dlgs. 231/2001 per una durata non superiore a 6 mesi.
137 co. 5 secondo periodo l’arresto da sei mesi a tre anni
e l’ammenda da seimila euro a centoventimila euro
200 a 300 quote
137 co. 11 l’arresto sino a tre anni. 200 a 300  quote
adminAcque: art. 137 Dlgs. 152/2006 e Dlgs. 231/2001
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Sistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri

a cura di avv. Cinzia Silvestri


 
 
 
Con un colpo di spugna, silente, il Sistri scompare dai nostri pensieri.
Un sistema complesso, colmo di difetti, incapace da tempo di giungere alla definizione perchè mal pensato e poco raggiungibile ai più.
Eppure il Sistri ha avuto un grande pregio: avvicinare una grande parte di popolazione al problema rifiuti. Pochi conoscono le problematiche ambientali e  la loro complessità ma la parola Sistri ormai era divenuta nota a tutti coloro che producono…rifiuti. E non è poco.
 
Ebbene: Con DECRETO-LEGGE 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. (11G0185) (GU n.188 del 13-8-2011 ) entrato in vigore il 13/08/2011 l’art. 6 comma 2 :…..ABROGA il Sistri.
Certo è un Decreto Legge in attesa di conversione e tutto può ancora succedere.
In ogni caso rileva il coraggio della scrittura che cancella un ammasso di norme e di scritti nonchè la inutile fatica di molti giuristi che si sono districati tra le incomprensibili norme spesso contrastanti, non armoniche, oscure nella forma anche letterale, cercando di porre chiarezza e conoscenza ad un sistema…. chiaro solo alle menti creative che lo hanno fatto nascere.
 
Ebbene con decreto legge già in vigore dal 13.8.2011 il Governo ha abrogato:
1) l’articolo 14-bis del decreto-legge 1°  luglio  2009,  n.  78,convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102; ovvero l’articolo madre del Sistri; l’articolo che ha segnato l’inizio di questa avventura costosae quasi inutile.
2) il comma 2, lettera a), dell’articolo  188-bis: ovvero l’articolo che poneva nel Codice ambientale Dlgs. N. 152/2006 il Sistri;  richiamo che attribuiva al Sistri nuovo rango e importanza: “a) nel rispetto degli obblighi istituiti attraverso  il  sistema di controllo  della  tracciabilita’  dei   rifiuti   (SISTRI) di  cui all’articolo 14-bis  del decreto-legge  1°   luglio   2009,   n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n.  102,  e al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009;”
3) l’articolo 188-ter, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  e  successive modificazioni; ovvero l’articolo che elencava i numerosi soggetti tenuti alla iscrizione al Sistri; soggetti obbligati e non obbligati anche a pagare il contribuito.
Che ne sarà di questo contributo?
4) l’articolo 260-bis del decreto legislativo 3 aprile  2006, n. 152/2006 e successive modificazioni; cancellato l’articolo più impegnativo ovvero la sanzione Sistri per eccellenza, frutto di nuova codificazione ed intitolato proprio al Sistrema di tracciabilità dei rifiuti.
5) il  comma  1,  lettera  b),  dell’articolo  16  del   decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205; articolo che introduceva nel codice ambientale proprio gli articoli 188 bis e 188ter dedicati e creati per il Sistri; dedicati ad individuare i soggetti tenuti al Sistri e le loro responsabilità.
6) l’articolo 36, del decreto legislativo  3  dicembre  2010,  n. 205 limitatamente al capoverso «articolo 260-bis»; dunque rimane vigente l’art. 260 ter, relativo alle sanzioni accessorie? Ripete il Governo la abrogazione dell’art. 260 bis ma precisa ..solo dell’art. 260 bis.
7) il decreto del  Ministro  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e  del  mare  in  data  17  dicembre  2009 e  successive modificazioni; il Governo va alla fonte e abroga il decreto ministeriale origine  di tutto. Decreto recepito ed elevato a rango primario dal Dlgs. 205/2010 dall’art. 188 comma 2 lettera a) (di cui sopra).
8) il decreto del Ministero  dell’ambiente  e  della  tutela  del territorio  e del mare, 18 febbraio 2011 n. 52; ed ancora perchè sia chiaro il Governo abroga l’ultimo decreto Sistri.
 
Ed infine al comma 3 dell’art. 6 il Governo precisa:
Resta ferma l’applicabilita’ delle altre  norme  in  materia  di gestione dei rifiuti; in particolare, ai sensi dell’articolo 188-bis, comma 2, lettera b), del decreto  legislativo  n.  152  del  2006,  i relativi adempimenti possono essere  effettuati  nel  rispetto  degli obblighi relativi alla  tenuta  dei  registri  di  carico  e  scarico nonche’ del formulario di identificazione di cui agli articoli 190  e 193  del  decreto  legislativo  n.  152   del  2006   e   successive modificazioni.
 
Sembra un ritorno al passato ma non lo è.
 
I Decreti del Ministero dell’ambiente sul Sistri erano già confluiti nel Dlgs. 152/2006 ovvero nel codice ambientale che ha subito forti cesure da questo decreto .
Con chiarezza questo decreto ha espunto la normativa di richiamo Sistri, l’art. 260  bis (ma non il 260 ter), l’art. 188 bis e 188ter .
Non è il caso di commentare ciò che resta perchè l’imprevedibilità del legislatore italiano impone cautela e l’attesa della legge di conversione.
Ad oggi basti sapere che il sistema Sistri si è arenato, fermato …. sospeso.

adminSistri: Nulla rimane? Abrogazione Sistri
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Rifiuti: DISCARICHE RIFIUTI SPECIALI NON PERICOLOSI

Corte costituzionale n. 244//2011
Art. 33 comma 2 L.R. Veneto 3/2000: incostituzionalità

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati

La Corte Costituzionale “bacchetta” la Regione Veneto e soprattutto precisa ciò che spesso viene dimenticato:
1)           la competenza legislativa in materia ambientale spetta allo stato e non alla Regione
2)           ribadisce l’uso improprio delle Regioni e delle amministrazioni di far valere normativa regionale ormai abrogataanche implicitamente dalle leggi dello Stato per espressa incompatibilità
 
L’art. 33 comma 2 L.R. 21.1.2000, n. 3 deve essere così letto a seguito della sentenza n. 244 del 25.7.2011 della Corte Costituzionale: “Nelle discariche di cui al comma 1 è riservata una quota (non superiore al venticinque per cento della capacità ricettiva) per lo smaltimento di rifiuti speciali conferiti da soggetti diversi da quelli indicati al medesimo comma”.
 
La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 comma 2 L.R.3/200 limitatamente alla parte racchiusa tra parentesi perché in contrasto con gli artt. 3, 41 e 117 Cost.
 
Il principio espresso dalla Corte è applicabile anche se nelle more del giudizio è entrato in vigore il correttivo al T.U.A (D.Lgs. 205/2010), in quanto l’attuale art. 182 bis riprende il vecchio art. 182 e dunque la necessità che i rifiuti speciali non pericolosi debbano essere smaltiti in apposite discariche, da individuarsi in base alla tipologia del rifiuto, al contesto geografico e con la finalità di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi.
 
Questi i fatti da cui ha avuto origine la pronuncia della Consulta.
 
La Regione del Veneto autorizzava la realizzazione di una discarica di rifiuti speciali non pericolosi di provenienza regionale ed extraregionale, limitando però lo smaltimento di questi ultimi ad una soglia non superiore al 25% della capacità recettiva dell’impianto, diversamente da quanto richiesto, e ciò proprio ai sensi dell’art. 33 comma 3 L.R.Veneto 3/2000.
 
Il TAR Veneto, con ordinanza 3.6.2010, n. 368, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 comma 2 L. 3/2000 in riferimento agli artt. 3, 41 e 117 Cost e del combinato disposto dei commi 2 e 3 della medesima disposizione in riferimento all’art. 120 Cost.
 
La Corte Costituzionale ritiene inammissibile la seconda questione sollevata, perché viziata da evidente aberrazione interpretativa”, stante l’abrogazione tacita della legislazione in contrasto con il T.U. Ambientale ai sensi dell’art. 1 comma 2 L.5.6.2003, n. 131.
L’art. 33 comma 3 è stato abrogato tacitamente per contrasto con il D. Lgs. 152/06.
È dunque “contraddittoria l’argomentazione del rimettente che ritenendo tacitamente abrogate le disposizioni legislative regionali in contrasto con l’intervenuta legislazione statale nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato,seziona la portata della disposizione regionale, facendone sopravvivere una parte priva di contenuto precettivo”.
 
La questione costituzionale in merito al comma 2 è stata invece ritenuta fondata.
 
La Corte ribadisce innanzitutto che la disciplina dei rifiuti si colloca nell’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117 comma 2 lettera s) Cost.

La Regione può dunque legiferare in materia di rifiuti, ma solo con norme di dettaglio all’interno di quanto già stabilito dallo stato.
L’art. 33 comma 2 L.R.3/2000, invece disciplina un autonomo principio, estraneo alla legislazione statale e dunque è incostituzionale per violazione del riparto delle competenze legislative.
 
L’imposizione di limiti considerevoli alla fruibilità delle discariche comporta inoltre una maggiore movimentazione dei rifiuti nel territorio, con aumento inutile di costi.
 
Innegabile, inoltre, che i rifiuti costituiscano altresì prodotto da quale trarre profitto e dunque limitare l’impiego delle discariche importa altresì la violazione dell’art. 41 Cost, perché si incide negativamente sulla libera iniziativa economica.

adminRifiuti: DISCARICHE RIFIUTI SPECIALI NON PERICOLOSI
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Sicurezza: Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08

Indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione – A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Con nota 11 luglio 2011 Prot. 15/VI/0015816, il Ministero del Lavoro ha informato dell’avvenuta approvazione, da parte della Commissione consultiva, di un modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08 e delle indicazioni per l’adozione del sistema disciplinare (comma 3 dell’art. 30 del D. Lgs. 81/2008) per le aziende che hanno adottato un modello organizzativo e di gestione definito conformemente alle Linee Guida UNI-INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007.
 
Il documento, congiuntamente alla tabella di correlazione, che si allega, ha l’obiettivo di fornire indicazioni alle Aziende che si sono dotate o che,  in attesa della definizione di procedure semplificate per l’adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese, intendono dotarsi di un modello di organizzazione e di gestione della sicurezza conforme alle Linee Guida UNI INAIL (edizione 2001) o alle BS OHSAS 18001:2007, affinché possano:
a) accertare, in un processo di autovalutazione, la conformità del proprio Modello ai requisiti di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni e integrazioni, di seguito D.Lgs. n. 81/2008, per le parti corrispondenti;
b)   apportare eventuali integrazioni organizzative e/o gestionali e/o documentali, necessarie allo scopo di rendere il proprio modello di organizzazione e di gestione conforme ai requisiti di cui all’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008, con particolare riferimento al sistema di controllo (comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008)  ed al sistema disciplinare (comma 3 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008).
 
Dalla Tabella di Correlazione allegata emerge che l’unica parte non corrispondente tra le Linee Guida UNI – INAIL, le BS OHSAS 18001:2007 e quanto richiesto all’art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008, è l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
 
Per “non corrispondente” si intende che il sistema disciplinare non è indicato come requisito del Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro descritto dalle Linee Guida UNI INAIL e dalle BS OHSAS 18001:2007, mentre è espressamente richiesto come requisito essenziale dall’articolo 30 del D. Lgs. 81/2008.
 
A supporto delle attività di cui ai succitati punti a) e b), si riportano nei paragrafi che seguono:
1)    alcuni chiarimenti in merito alla conformità del sistema di controllo di cui al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 rispetto ai contenuti delle Linee Guida UNI-INAIL e delle BS OHSAS 18001:2007;
2)    indicazioni per l’adozione di un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel Modello di Organizzazione e Gestione attuato  dall’azienda in applicazione dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008.
 

Chiarimenti sul sistema di controllo nel Modello di organizzazione e gestione ex artICOLO 30 del D.Lgs. n. 81/2008

L’articolo 30, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2008 dispone che: “…Il modello organizzativo deve altresì prevedere un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Il riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati, quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico”.
 
Qualora un’azienda si sia dotata di un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro conforme ai requisiti delle Linee Guida UNI-INAIL o delle BS OHSAS 18001:2007, essa attua il proprio sistema di controllo secondo quanto richiesto al comma 4 dell’articolo 30 del D.Lgs. n. 81/2008, attraverso la combinazione di due processi che sono strategici per l’effettività e la conformità del sistema di gestione stesso: Monitoraggio/Audit Interno e Riesame Della Direzione.
Si evidenzia però come tali processi rappresentino un sistema di controllo idoneo ai fini di quanto previsto al comma 4 dell’articolo 30 del D. Lgs. n. 81/2008 solo qualora prevedano il ruolo attivo e documentato, oltre che di tutti i soggetti della struttura organizzativa aziendale per la sicurezza, anche dell’Alta Direzione (intesa come posizione organizzativa eventualmente sopra stante il datore di lavoro) nella valutazione degli obiettivi raggiunti e dei risultati ottenuti, oltre che delle eventuali criticità riscontrate in termini di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Con il termine “documentato” si intende che la partecipazione dell’Alta Direzione sia comprovata da atti e documenti aziendali. Si evidenzia infine come, l’audit interno deve verificare anche l’effettiva applicazione del sistema disciplinare.
 

Indicazioni per l’adozione del Sistema Disciplinare nel Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 del D. Lgs. 81/08

L’articolo 30, comma 3, del D.Lgs. n. 81/08 annovera, tra gli elementi di cui si compone il Modello di Organizzazione e gestione, l’adozione di un “sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate dal modello”.
E’ quindi necessario che l’Azienda sia dotata di procedure per individuare e sanzionare i comportamenti che possano favorire la commissione dei reati di cui all’articolo 300 del D. Lgs. n. 81/2008 (articolo 25-septies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive modifiche e integrazioni, di seguito D. Lgs. n. 231/2001) e il mancato rispetto delle misure previste dal modello. Il tipo e l’entità dei provvedimenti disciplinari saranno coerenti con i riferimenti legislativi e contrattuali applicabili e dovranno essere documentati.
 
Il sistema disciplinare dovrà essere definito e formalizzato dall’Alta Direzione aziendale e quindi diffuso a tutti i soggetti interessati quali ad esempio:
–       Datore di lavoro (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Dirigenti (articolo 2, comma 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2008) o altri soggetti in posizione apicale;
–       Preposti (articolo 2, comma 1, lett. e, D.Lgs.  n. 81/2008);
–       Lavoratori (articolo 2, comma 1, lett. b, D. Lgs. n. 81/2008);
–       Organismo di Vigilanza (ove istituito un modello ex D.Lgs. n. 231/2001);
–       Auditor/Gruppo di audit.
 
L’azienda dovrà, inoltre, definire idonee modalità per selezionare, tenere sotto controllo e, ove opportuno, sanzionare collaboratori esterni, appaltatori, fornitori e altri soggetti aventi rapporti contrattuali con l’azienda stessa. Perché tali modalità siano applicabili l’azienda deve prevedere che nei singoli contratti siano inserite specifiche clausole applicative con riferimento ai requisiti e comportamenti richiesti ed alle sanzioni previste per il loro mancato rispetto fino alla risoluzione del contratto stesso.
 
 
Allegato:

TABELLA DI CORRELAZIONE ARTICOLO 30 D. LGS. n. 81/2008 – LINEE GUIDA UNI INAIL – BS OHSAS 18001:2007

PER IDENTIFICAZIONE DELLE “PARTI CORRISPONDENTI” DI CUI AL COMMA 5 DELL’ARTICOLO 30
 
 
Nella tabella che segue sono riportate esclusivamente le correlazioni tra i requisiti di cui all’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 con quelli delle Linee Guida UNI INAIL (Linee Guida per un Sistema di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL) e delle BS OHSAS 18001:2007.
 
 

Rif. Art. 30 D. Lgs. n. 81/2008
Rif. Linee Guida UNI INAIL (2001)
Rif. BS OHSAS 18001:2007
c.1 lett. a: rispetto degli standard tecnico strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici.
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1    Il sistema di gestione
E.6    Documentazione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1     Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.4  Documentazione
4.4.6  Controllo operativo
4.5.2  Valutazione della conformità
c. 1 lett. b: attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti.
A.     Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.     Pianificazione
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1      Requisiti generali
4.2      Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.1  Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.2  Prescrizioni legali e di altro tipo
4.3.3  Obiettivi e programmi
4.4.6  Controllo operativo
c. 1 lett. c: alle attività di natura organizzativa, quali:
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.    Pianificazione
E.2   Definizione dei compiti e delle responsabilità
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3   Pianificazione
emergenze
Primo soccorso
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.7 Preparazione e risposta alle emergenze
Gestione appalti
E.5  Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.4.3.1 Comunicazione
4.4.6    Controllo operativo
Riunioni periodiche di sicurezza
E.3   Coinvolgimento del personale
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
Consultazione dei RLS
B.      Sequenza ciclica di un SGSL
C.      La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.3  Coinvolgimento del personale
4.2      Politica della sicurezza e salute sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità, e autorità
4.4.3 Comunicazione, partecipazione e consultazione
c. 1 lett. d: alle attività di sorveglianza sanitaria
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
4.1 Requisiti generali
4.2 Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
c. 1 lett. e: alle attività di informazione e formazione
A.    Finalità
B.     Sequenza ciclica di un SGSL
C.     La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.4   Formazione, addestramento, consapevolezza
E.5   Comunicazione, flusso informativo e cooperazione
4.1     Requisiti generali
4.2     Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.2  Competenza, addestramento, consapevolezza
c. 1 lett. f: alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1   Il sistema di gestione
E.7    Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1    Monitoraggio interno della sicurezza (1° livello)
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 1 lett.g: all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge
A.   Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
D.   Pianificazione
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.3.2 Prescrizioni legali e di altro tipo
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.2 Valutazione della conformità
c. 1 lett. h: alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate
A.    Finalità
B.   Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza (2° livello)
F.2  Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3  Piano del Monitoraggio
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.4 Controllo delle registrazioni
4.5.5 Audit interno
c. 2: il modello organizzativo e gestionaLE DI CUI AL C. 1 DEVE PRECEDERE IDONEI SISTEMI DI REGISTRAZIONE DELL’AVVENUTA EFFETTUAZIONE DELLE ATTIVITà DI CUI AL COMMA 1
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.6  Documentazione
4.1    Requisiti generali
4.2    Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.4 Documentazione
4.4.5 Controllo dei documenti
4.5.4 Controllo delle registrazioni
C. 3: IL MODELLO ORGANIZZATIVO DEVE IN OGNI CASO PREVEDERE, PER QUANTO RICHIESTO DALLA NATURA E DIMENSIONI DELL’ORGANIZZAZIONE E DEL TIPO DI ATTIVITÀ SVOLTA, UN’ARTICOLAZIONE DI FUNZIONI CHE ASSICURI LE COMPETENZE TECNICHE E I POTERI NECESSARI PER :
A.    Finalità
B.    Sequenza ciclica di un SGSL
C.    La politica per la sicurezza e salute sul lavoro
E.1  Il sistema di gestione
E.2  Definizione dei compiti e delle responsabilità
E.4  Formazione, addestramento, consapevolezza
4.1   Requisiti generali
4.2   Politica della salute e sicurezza sul lavoro
4.4.1 Risorse, ruoli, responsabilità e autorità
4.4.2 Competenza, addestramento e consapevolezza
la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio;
D.    Pianificazione
E.7   Integrazione della salute e sicurezza sul lavoro nei processi aziendali e gestione operativa
F.1   Monitoraggio interno della sicurezza
F.2   Caratteristiche e responsabilità dei verificatori
F.3   Piano del Monitoraggio
4.3    Pianificazione
4.3.1 Identificazione dei pericoli, valutazione dei rischi e determinazione dei controlli
4.3.3 Obiettivi e programmi
4.4.6 Controllo operativo
4.5.1 Controllo e misura delle prestazioni
4.5.2 Valutazione della conformità
4.5.3 Indagine su incidenti, non conformità, azioni correttive e azioni preventive
un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

 

adminSicurezza: Modello di organizzazione e gestione ex art. 30 DLgs. n. 81/08
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SISTRI – disponibile il programma pilota per il tracciamento dei rifiuti

a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Dal 26 luglio 2010 è ufficialmente partita la fase test sulle procedure informatizzate del sistema Sistri.
 
In vista della scadenza del 1° ottobre, termine posto dal D.M. 9 luglio 2010 all’avvio del nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti, è stata attivata questa fase di test al fine di consentire una piena e più diffusa conoscenza delle modalità operative e della funzionalità del SISTRI e per consentire ad un insieme rappresentativo di tutte le classi di utenti di provare il sistema e fornire suggerimenti e proposte per meglio adattare l’interfaccia utente e le procedure relative alle esigenze prospettate dagli operatori ed ai sistemi gestionali presenti presso le aziende.

Fino al 1 settembre, le imprese selezionate potranno far pervenire ai tecnici del Ministero, attraverso il programma pilota messo a disposizione sul sito www.sistri.it,  le proposte di miglioramento del sistema operativo, soprattutto per quanto riguarda l’interfacciabilità con i programmi in uso aziendale. Il programma sarà condotto con un approccio graduale ed evolutivo, garantendo agli utenti di sperimentare inizialmente un flusso base e progressivamente nuovi elementi sempre più aderenti al sistema in esercizio. Tale metodologia consentirà di raccogliere gli eventuali feedback da utilizzare ai fini del miglioramento del sistema. Il programma di test si articolerà, in particolare, in due fasi che procederanno distinte nel tempo.

 
La prima fase è circoscritta, a un insieme rappresentativo delle classi di utenti. Più avanti si consentirà a tutti gli utenti di familiarizzare con i nuovi percorsi. È un processo che porterà vantaggi per la funzionalità stessa del Sistri: il Ministero si aspetta, infatti, ritorni in termini di suggerimenti e proposte per meglio adattare l’interfaccia del sistema e le procedure alle esigenze delle imprese.

Nei prossimi giorni verrà messo a disposizione degli utenti una prima bozza di manuale operativo, che servirà per formare gli addetti aziendali sulla conoscenza delle nuove procedure e metterli in grado di operare in conformità alle nuove disposizioni.
Le  due fasi test prevedono:
Fase 1 – Sistema demo per la verifica di funzionalità, processi ed usabilità: per migliorare e consolidare l’interfaccia e le procedure del Sistri, grazie ai feedback che saranno utilizzati sia per il processo di miglioramento e tuning del sistema, sia per definire in maniera partecipata il Manuale Utente.
Fase 2 – Sistema in ambiente di produzione man mano che questo è consolidato attraverso la fase 1: per consentire agli utenti di fare pratica con il nuovo sistema, per acquisire praticità e rapidità nell’utilizzo anche grazie al supporto del Manuale Utente.

 

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SISTRI – PROROGA NOVITA'

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi


Il provvedimento di “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70,  approvato dal Senato il 7 luglio 2011 , non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, contiene un’importante disposizione  (in materia di Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, poichè prevede che, per imprese ed enti produttori di rifiuti speciali pericolosi (compresi i trasportatori di cui all’art. 212 c. 8 del D.Lgs. 152/06 che trasportano rifiuti pericolosi) che hanno fino a 10 dipendenti, la data di piena operatività del Sistri non possa essere antecedente al 1° giugno 2012.
La data di avvio della piena operatività del Sistri per i produttori di rifiuti pericolosi che hanno fino a dieci dipendenti non sarà dunque il 2 gennaio 2012, come stabilito con Decreto 26 maggio 2011, bensì quella che sarà adottata con un provvedimento di proroga emanato dal Ministero dell’Ambiente, comunque non antecedente al 1° giugno 2012.
 
Fino a tale data i produttori di rifiuti pericolosi che hanno fino a dieci dipendenti saranno tenuti alla gestione dei rifiuti secondo la logica del “doppio binario”: obbligo di utilizzo del Sistri (pur in assenza delle relative sanzioni, che scatteranno a partire dal giorno della piena operatività del sistema) e di tenuta delle tradizionali scritture cartacee (registri di carico e scarico e formulari di identificazione dei rifiuti), anche se il nuovo art. 258 del D.Lgs. 152/06 in materia di “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari” fa riferimento ai soli soggetti che non abbiano aderito al Sistri.
La modifica trova la sua motivazione nella necessità di «garantire che un adeguato periodo transitorio consenta la progressiva entrata in operatività» del Sistri. Il che è più che comprensibile a fronte della complessità del sistema e della dimensione dei soggetti destinatari dell’obbligo.
In ordine al sistema sanzionatorio, anche questa futura proroga varrà al pari di quelle intervenute per le altre categorie di soggetti obbligati con il Dm 26 maggio 2011. Infatti, le sanzioni previste per il Sistri si applicano a partire dal giorno successivo alla scadenza del regime del “doppio binario”.
Il Dm 26 maggio 2011 ha reso graduale la dismissione di tale regime e graduale sarà anche l’applicazione delle sanzioni che saranno applicabili solo da quando le singole categorie di soggetti saranno obbligate alla dismissione del “doppio binario”.


 

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ACQUE E RUMORE: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA

Atto Governo n. 369 (reperibile in www.parlamento.it)

A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Novità in materia di assimilazione delle acque e autorizzazione nonché qualche agevolazione in materia di rumore.
Per quanto riguarda il Veneto sembra potersi affermare che le eventuali estensioni delle acque assimilate domestiche sono già disciplinate dall’art. 34 PTA 2009; mentre applicabile appare la novità in materia di rinnovo autorizzazioni.
È al vaglio del Parlamento  testo di DPR predisposto in attuazione dell’art. 49 comma 4 quater D.L: 31.5.2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla L. 30.7.2010, n. 122 avente la finalità, “senza modificare le disposizione di cui al D. Lgs. 3.4.2006, n. 152 e alla legge 26.10.1995, n. 447, semplificare(re) gli adempimenti amministrativi gravanti sulle imprese in riferimento alla disciplina delle acque reflue e alla documentazione di impatto acustico, lasciando inalterati i livelli di tutela ambientale(relazione illustrativa DPR) .
Il testo, laddove approvato ed emanato, troverà applicazione solo per le micro, piccole e medie imprese (art. 1).
Le tabelle, non trovano applicazione in Veneto, stante la vigenza dell’art. 34 NTA del PTA Veneto.
Si precisa che la materia ambientale è di competenza esclusiva statale e, dunque, è precluso il potere legislativo in capo alle Regioni
Il PTA è un piano di settore, strumento di obbligatoria emanazione, stante l’art. 121 D. Lgs. 152/06 e volto alla sola indicazione del panorama attuale dello stato del patrimonio idrico regionale e a disporre, laddove opportuno in base alle condizioni territoriali, i valori dei parametri di cui all’all. 5 parte III TUA.
AUTORIZZAZIONE SCARICHI ACQUE REFLUE INDUSTRIALI
L’articolo 3 è finalizzato a “semplificare  la procedura di rinnovo dell’autorizzazione che attualmente risulta onerosa quanto una nuova autorizzazione” (relazione illustrativa).
Laddove non vi siano verificate modifiche di carattere strutturale, ovvero non vi siano mutamenti quali-quantitativi dello scarico è sufficiente una autocertificazione da inoltrare alla Provincia entro 6 mesi prima della scadenza dell’autorizzazione.
La semplificazione amministrativa non vale se lo scarico contiene sostanze pericolose (art. 3 comma 2).
 
*****
RUMORE
SEMPLIFICAZIONE DOCUMENTAZIONE IMPATTO ACUSTICO (ART. 4).
L’art. 8 L. 447/95 richiede il deposito di una valutazione di impatto acustico unitamente al progetto per la edificazione/realizzazione di un’infrastruttura, un’esercizio commerciale oppure un’attività.
Lo Stato italiano ha verificato che le imprese spendono otre 3.000 € per gli adempimenti in materia acustica, costo che potrebbe essere evitato grazie al DPR in fase di studio.
Il testo di legge, infatti, disciplina all’art. 4 quali casi possano sostituire la valutazione dell’esperto acustico con una autodichiarazione, “fornendo dunque un quadro regolatorio caratterizzato da maggiore certezza nell’ottica di ridurre il rischio che le imprese sostengano oneri amministrativi superflui rispetto alle effettive esigenze di tutela dall’inquinamento acustico” (relazione illustrativa).
 
Laddove dunque l’attività esercitata non superi i limiti stabiliti nei piani di zonizzazione acustica approvati dai Comuni ovvero, in mancanza, da quanto disposto dal DPCM 14.11.1997, la valutazione dell’esperto non è necessaria.
 
..il problema è che deve essere verificato il rispetto dei limiti e ciò richiede proprio l’intervento di un esperto……
Si evidenzia altresì un’altra problematica: l’attuale testo del DPR richiama soltanto il DPCM 14.11.1997, ma non quello del 1991 e ciò nonostante l’art. 6 DPCM 1.3.1991, che stabilisce proprio i limiti suppletivi, in attesa della classificazione acustica operata dai Comuni.


In particolare si evidenzia:
ART. 2: ACQUE ASSIMILATE A QUELLE DOMESTICHE:
Il DPR stabilisce due tabelle:
la prima contiene i valori che le acque devono presentare prima del trattamento depurativo;
la seconda indica le attività da cui devono derivare i reflui.
Le tabelle si applicano in assenza di disciplina regionale (art. 2 comma 2)
Tabella 1

  parametro/sostanza Unità di misura Valore limite di emissione
1 Portata Mc/giorno ≤ 15
2 pH   5,5-9,5
3 Temperatura ≤30
4 Colore   Non percettibile con diluizione 1:40
5 Materiali grossolani   Assenti
6 Solidi iSospesi Totali Mg/l ≤700
7 BOD5 (come ossigeno) Mg/l ≤300
8 COD (come ossigeno) Mg/l ≤700
9 Rapporto COD/BOD5   ≤2,2
10 Fosforo totale (come P) Mg/l ≤30
11 Azoto ammoniacale (come NH4) Mg/l ≤50
12 Azoto nitroso (come N) Mg/l ≤0,6
13 Azoto nitrico (come N) Mg/l ≤30
14 Grassi e oli animali/vegetali Mg/l ≤40
15 Tensioattivi Mg/l ≤20

 
Per i restanti parametri o sostanze, qualora siano presenti, valgono i valori limite previsti alla Tabella 3 dell’Allegato 5 alla parte terza del decreto 4.4.2006, n. 152 per le emissioni in acque superficiali.
 
Tabella 2 – attività che generano acque reflue assimilate alle acque reflue domestiche
(si riportano solo i primi 13 attività rimandando per la completa lettura al sito www.parlamento.it)

  ATTIVITÀ
1 attività alberghiera, rifugi montani, villaggi turistici, residence, agriturismi, campeggi
2 Attvità di ristorazione (anche self service), mense, trattorie, rosticcerie, friggitorie, pizzerie, osterie e birrerie con cucina
3 Attività ricreativa
4 Attività turistica
5 Attività sportiva
6 Attività culturale
7 Servizi di intermediazione monetaria, finanziaria e immobiliare
8 Attività informatica
9 Laboratori di parrucchiera, barbiere ed istituti di bellezza con un consumo idrico giornaliero inferiore a 1 m3 al momento di massima attività
10 Lavanderie e stirerie con impiego di lavatrici ad acque analoghe a quelle di uso domestico e che effettivamente trattino non più di 100 kg di biancheria al giorno
11 Attività di vendita al dettaglio di generi alimentari, bevande e tabacco o altro commercio al dettaglio
12 Laboratori artigianali per la produzione di dolciumi, gelati, pane, biscotti e prodotti alimentari freschi, con un consumo idrico giornaliero inferiori a 5 mc nel periodo di massima attività

 

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Sicurezza: infortunio sul lavoro e responsabilità direttore

Corte di Cassazione Sentenza 3 febbraio 2011, n. 4106
a cura di avv. Cinzia Silvestri


Precisare le responsabilità in caso di infortunio sul lavoro non è semplice tanto più in aziende di grandi dimensioni.
La sentenza in esame evidenzia proprio questa difficoltà laddove la corretta valutazione della responsabilità ha dovuto attraversare tre gradi di giudizio.
Merito della sentenza è la valutazione della posizione sostanziale di ogni figura rispetto agli obblighi di prevenzione.
Laddove esista figura destinata al controllo e direzione di un certo settore, anche nella gestione dei lavoratori e del lavoro , pur non essendo RSPP , esiste un obbligo diretto a provvedere alla sicurezza laddove, si intende, esista, quantomeno, un budget di intervento, un certo potere decisionale.
La sentenza elude la questione della delega aziendale e ne prescinde in quanto ritiene che esista un obbligo diretto, e non delegato dal datore di lavoro.
Laddove, infatti, al fine della sicurezza dei lavoratori l’intervento anche economico (come l’acquisto di una scaletta) rientri nel budget del direttore assegnato alla filiale questi è tenuto, per proprio dovere e nell’ambito dei suioi poteri, ad intervenire a tutela della sicurezza.
La responsabilità non può dunque essere imputata al datore di lavoro, in quanto tale, solo perchè non è stata provata la esistenza di una delega o perchè non era stato nominato RSPP.
La sentenza della Cassazione, dunque, esonera il datore di lavoro dalla responsabilità ed onera invece il direttore di filiale per non essere intervenuto all’acquisto della scaletta nell’ambito del suo potere di spesa e decisionale.
****
In particolare:
Veniva condannato con sentenza del Tribunale alla pena di mesi due di reclusione per il reato di lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in quanto responsabile di avere omesso, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della ditta, “…di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate, in particolare una scala pedana di dimensione e conformazione tali da realizzare un posto di lavoro stabile e sicuro per eseguire le attività inerenti la manutenzione della pressa a iniezione, sita nello stabilimento della sopra indicata impresa.”
In particolare descrive la sentenza del Tribunale : “…Il lavoratore addetto alla pressa nello stabilimento della ditta, nell’ispezionare l’interno della tramoggia, annessa alla pressa a iniezione, in mancanza di supporto adeguato, perdeva l’equilibrio e, nel tentativo di proteggersi, si agganciava al bordo tagliente della tramoggia con la mano destra, riportando ferita lacero contusa al terzo dito della mano destra con lesioni tendinee al flessore profondo con prognosi di 81 giorni ed invalidità permanente pari al 3%….”.
Veniva proprosto appello alla Corte di Trieste che però confermava la sentenza del Tribunale.
Seguiva impugnazione avanti alla Corte di Cassazione.
Affermava il ricorrente di essere legale rappresentante di una società che opera in sette stabilimenti dislocati in due regioni (Friuli Venezia Giulia e Veneto), che occupa oltre 600 dipendenti e che ha un fatturato annuo di circa 140 milioni di euro e che nello stabilimento nel quale si è verificato l’infortunio c’era un direttore, il quale aveva poteri ed autonomia di spesa almeno fino a 5000 euro, senza alcuna necessità di preventiva autorizzazione, il quale per delega disponeva le manutenzioni necessarie. Nella fattispecie il ruolo di “datore di lavoro” era soltanto del ricorrente (che è già stato condannato), nè il ricorrente poteva condividere l’assunto della Corte territoriale secondo cui sarebbe stata necessaria la prova rigorosa ed esaustiva dell’esistenza di una delega anche non scritta, in quanto tale asserzione poteva riferirsi solo all’insussistenza di una valida delega di tipo generale per coprire ogni tipo di deficienza nelle attrezzature messe a disposizione del lavoratore.
Non poteva invece ritenersi necessaria la prova rigorosa della delega per affermare la responsabilità esclusiva del direttore di stabilimento per tutti quegli infortuni che dipendevano o da carenze nelle modalità operative o da inidoneità di attrezzature alle quali egli doveva e poteva porre rimedio in quanto la spesa necessaria rientrava nei limiti della sua autonomia, come appunto nel caso che ci occupa.
La Corte di appello ha ritenuto sussistente la responsabilità del ricorrente (datore di lavoro) principalmente sulla base dei seguenti argomenti:

  1. il mancato accertamento dell’esistenza di una delega scritta e dell’esistenza di una delega ancorchè non scritta;
  2. la mancata nomina di un responsabile della sicurezza;
  3. la circostanza che il direttore dello stabilimento non poteva essere considerato “datore di lavoro”, dal momento che aveva un potere di spesa limitato solo alle situazioni di emergenza, come poteva desumersi dalle affermazioni del teste (.

Dalla istruttoria processuale risultava altresì che il direttore aveva poteri legati all’emergenza, ed anche il potere di far fronte alle spese di modesta entità, avendo a tale scopo una disponibilità di cassa di circa 1000,00 euro ; l’intervento sulla scala messa a disposizione del lavoratore comportava peraltro una spesa di circa 500,00 euro; spesa dunque che poteva rientrare nella disponibilità del direttore.
Secondo la Cassazione invece non risulta pertanto necessaria la prova rigorosa della sussistenza di una delega al direttore dello stabilimento.
Il Dlgs n. 626 del 1994, articolo 2, lettera b), 1 periodo, così come modificato dal Dlgs n. 242 del 1996, considera datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”comunque “il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva, quale definita dalla lettera i) in quanto titolare dei poteri decisionali di spesa”.
Con l’avverbio “comunque” il legislatore ha inteso dare netta preminenza al criterio sostanziale che deve essere in ogni caso rispettato e che prevale quando vi è discordanza tra la situazione formale e quella reale.
Conclude la Cassazione: “ ….Quindi, ……nelle aziende di grandi dimensioni è frequente il caso in cui il soggetto dotato della legale rappresentanza non coincide con quello in grado di esercitare l’effettivo potere di organizzazione dell’azienda e del lavoro dei dipendenti ed è a quest’ultimo che dovranno attribuirsi le connesseresponsabilità prevenzionali.
Secondo la univoca giurisprudenza di questa Corte, pertanto, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 49819 del 5 dicembre 2003) il dato normativo consente di distinguere un datore di lavoro in senso giuslavoristico da uno o più datori di lavoro (sussistendo distinte unità produttive) in senso prevenzionale. E evidente che la responsabilità del soggetto preposto alla direzione dell’unità produttiva è condizionata alla congruità dei suoi poteri decisionali e di spesa rispetto alle concrete esigenze prevenzionali.
Egli pertanto sarà qualificabile come datore di lavoro ai fini della sicurezza solo se gli saranno attribuiti poteri e disponibilità finanziarie adeguate ad effettuare gli adempimenti prescritti dalla legge e solo entro quei limiti, mentre, per tutti gli altri adempimenti per i quali non dispone dei mezzi e dei poteri per realizzarli, le eventuali violazioni (e relative conseguenze) non saranno a lui ascrivibili.
Pertanto, nella fattispecie di cui è processo, il direttore dello stabilimento , rientrando l’intervento sulla scala nel suo potere di spesa e nell’autonomia di cui disponeva, era autonomamente onerato a titolo originario e non già per delega del legale rappresentante della Spa”.
 

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Chi risponde del reato ambientale?

Cassazione pen. 1169/2011 – art. 256 comma 1 lett. a) Dlgs. 152/2006
Principio di corresponsabilità

A cura di avvocato Cinzia Silvestri

Il Tribunale di Lucera (Apricena) condannava il responsabile e socio accomandatario di una s.a.s., nella sua qualità, per il reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) del Dlgs. 152/2006 in quanto“effettuava raccolta, smaltimento stoccaggio di rifiuti speciali non pericolosi misti provenienti da attività di rifacimento del manto stradale, contenenti scarti di cemento, bitume catramato e terriccio … in mancanza della prescritta autorizzazione….”.
Si badi che l’effettiva attività veniva compiuta da suo dipendente.
 
Il Tribunale invero attribuiva la responsabilità al socio accomandatario in quanto “l’attività medesima era riconducibile al prevenuto e non risultando provato che nell’ambito aziendale vi fosse stata una delega ad altri soggetti….”
 
Il Socio accomandatario impugnava la sentenza del Tribunale in quanto la condanna risulta fondata solo “sulla sua qualità di amministratore della s.a.s. non potendo essergli rimproverato alcun comportamento riconducibile all’illecito”.
 
La sentenza della Cassazione ha confermato la responsabilità del socio accomandatario richiamando il principio di corresponsabilita’ o responsabilità condivisa; principio già presente nel Dlgs. 22/97 agli articoli art. 2 e 10 poi trasfuso negli articoli 178 comma 3 e 188 Dlgs. 152/2006 ed oggi presente, secondo tale sentenza, negli articoli 178 comma 1 e 188 comma 1 Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 205/2010).
 
Il principio di corresponsabilità ha carattere estensivo della responsabilità; e ciò nel senso che estende la punibilità anche a soggetti che pur non avendo commesso o contribuito a commettere il fatto restano legati all’illecito.
L’esigenza di questa estensione risiede nella particolare delicatezza del sistema ambiente e nella necessità di attuare una catena di controlli pressante tra i vari soggetti uniti dalla filiera.
Il principio di corresponsabilità si è ben espresso, ed è stato accettato anche nella sua applicazione, che sconfina nella responsabilità oggettiva, proprio nel viaggio del rifiuto e nel sistema cartaceo che individua la filiera di soggetti (produttore, trasportatore, destinatario).
La Cassazione però non precisa che tale sistema confligge con il principio della responsabilità personale; principio dogma del sistema penale.
Nessuno può essere punito se non abbia operato con colpevolezza (dolo/colpa).
Non si può attribuire una responsabilità tanto più penale in forza solo di una qualifica ricoperta, mansione o altro laddove non esista e non sia provata una precisa responsabilità del soggetto agente.
Per lungo tempo la giurisprudenza penale ha rifiutato l’applicazione del principio di corresponsabilità alle fattispecie penali in quanto sconfinava nella responsabilità oggettiva.
Attribuire una responsabilità solo in quanto collegato dalla filiera/viaggio/rifiuto configura una oggettiva responsabilità invisa al sistema penale della responsabilità personale e colpevole.
 
Ebbene, la sentenza in commento sembra recuperare quel filone giurisprudenziale che invece riteneva possibile tale applicazione.
Appare tuttavia un po’ frettolosa la conclusione che anche il TUA ambientale – riformato dal Dlgs. 205/2010 che ha completamente riformulato sia l’art. 178 che l’art. 188 –ribadisca per esteso tale corresponsabilità.
 
Vero è che la Cassazione, pur richiamando il principio di corresponsabilità, cita poi sentenze e ne richiama il contenuto, che imputano responsabilità non certo in via oggettiva ma in quanto riconoscono esistere un comportamento omissivo per violazione dei doveri di diligenza (Cass. pen. 47432/2003);  omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (Cass. pen. 2473/2007).
 
Conclude dunque la Cassazione che il socio accomandatario è responsabile in quanto “ non risultando …. avesse delegato ad altri ogni responsabilità in relazione allo svolgimento di quell’attività non avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’illecito di cui alla contestazione …”.
 
A dire il vero la conclusione di responsabilità della Corte sembra ben lontana dalla applicazione del principio di corresponsabilità ed anzi si allinea, nel concreto, alla necessaria valutazione di responsabilità sotto il  profilo soggettivo ed in relazione al caso in esame.
La sentenza dunque desta qualche perplessità e  qualche ragionevole dubbio nel suo percorso logico ….
 

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Convegno Sistri – Milano 23 giugno 2011

Studio Legale Ambiente Vi informa che il 23.6.2011 a Milano parteciperà al Convegno “Sistri tra semplificazione burocratica e complessità tecnologica”
Per iscrizioni potete accedere al link http://www.gsisr.org/
Il Convegno offre occasione di aggiornamento sul sistema di tracciabilità dei rifiuti alla luce del nuovo Regolamento.
Particolare attenzione alla evoluzione normativa e all’ambito di applicazione dei documenti/testi legislativi ormai di difficile comprensione.
Il Convegno inoltre si occuperà di dare breve ma esaustiva indicazione delle responsabilità/sanzioni che incombono ai soggetti tenuti ad aderire al Sistri e alle diverse figure citate dal Regolamento Sistri.
Cordiali saluti
Avv. Cinzia Silvestri
 

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