Linee Guida Direttiva 2008/98/CE
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
La Commissione Europea ha pubblicato interessanti linee guida sulla Direttiva 2008/98/CE in tema di rifiuti.
Il documento, che si offre alla lettura in lingua originaria, contiene esempi, definizioni chiarimenti utili alla applicazione della Direttiva.
Certo, precisa la Commissione, nessun valore di legge al testo, nessun valore vincolante ma indubbia espressione del pensiero e orientamento comunitario.
Il testo in italiano verra’ di seguito pubblicato con singoli commenti alle linee guida.
Linee Guida Commissione Europea su Direttiva 2008/98/CE
Sistri "sospeso" e FIR: quali conseguenze?
Sistri “sospeso” e FIR: quali conseguenze?
A cura di avv. Cinzia Silvestri
L’articolo 52 del DL 83/2012 ha sospeso l’operatività del Sistri fino al 30.6.2012
Il Dlgs. 205/2010 ha innovato il Dlgs. 152/2006 definendo nuovi contenuti alla luce dell’intervenuto Sistri.
La parte IV Dlgs. 152/2006 sui rifiuti ha subito vera rivoluzione anche letterale.
La “sospensione” del sistema Sistri rende, di fatto, e per legge inapplicabile quel nucleo di norme pensate per sostenere il Sistema di Tracciabilità.
Dopo aver disposto la sospensione il Governo si preoccupa di dirimere la questione su ciò che deve essere applicato e scrive all’art. 52 DL 83/2012:
“…..fermo restando, in ogni caso, che essi rimangono comunque tenuti agli adempimenti di cui agli articoli 190 e 193 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed all’osservanza della relativa disciplina, anche sanzionatoria, vigente antecedentemente all’entrata in vigore del decreto legislativo del 3 dicembre 2010, n. 205….”.
Bisogna recuperare l’art. 190 e 193 vigenti prima della novella del 2010?
E che dire di tutti gli altri articoli disseminati nel codice ambientale che richiedono per la loro applicazione l’operatività del Sistri?
Accontentiamoci di Governo richiama espressamente solo gli articoli 190 e 193 “vecchia maniera”.
Si è portati dunque a riprendere il “vecchio” testo e considerarlo interamente applicabile (?).
Ci siamo dimenticati dell’art. 16 Dlgs. 205/2010 comma 2 ha condizionato la vigenza degli articoli 188, 188 bis e ter, 189, 190 e 193 alla operatività del Sistri.
Di fatto si devono considerare mai entrati in vigore tali articoli.
E’ visibile dalla lettura comparata del testo prima e dopo novella 2010, che alcuni commi sono rimasti invariati o hanno subito cesure solo letterali (ad esempio il comma 2 e il comma 3 trasfuso nel nuovo comma 4 )
Vero è che il legislatore è intervenuto sul testo dell’art. 193 successivamente alla novella. Il recente comma 9bis, ad esempio, era stato inserito con la recente novella (DL 5/2012) e portava il beneficio della esclusione del FIR in capo alle imprese agricole a certe condizioni. Questo articolo non richiede la operatività del Sistri e dunque, bisogna chiedersi se è vigente.
La lettura dell’art. 193, come dell’art. 190, deve portare alla “sospensione” solo di quella parte del testo che richiede quale presupposto la operatività del Sistri?
Che dire a contrario del previgente art. 193 comma 4bis; comma che non risulta riportato nel nuovo testo del 193?
Si indica schema:
art. 193 Trasporto rifiuti
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Testo vigente fino al 24.12.2010 e poi modificato e sostituito dal Dlgs. 205/2010. | Testo introdotto dal Dlgs. 205/2010 e vigente dal 25.12.2010 (oggi “sospeso”) | Note |
a) nome ed indirizzo del produttore e del detentore; |
1. Per gli enti e le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 212, comma 8, e che non aderiscono su base volontaria al sistema di controllo dellatracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a) i rifiuti devono essere accompagnati da un formulario di identificazione dal quale devono risultare almeno i seguenti dati:a) nome ed indirizzo del produttore dei rifiuti e del detentore; b) origine, tipologia e quantita’ del rifiuto; c)impianto di destinazione; d) data e percorso dell’istradamento; e) nome ed indirizzo del destinatario. |
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2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore o dal detentore dei rifiuti e controfirmato dal trasportatore. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore o il detentore e le altre tre, controfirmate e datate inarrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al detentore.Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni. |
2. Il formulario di identificazione di cui al comma 1 deve essere redatto in quattro esemplari, compilato, datato e firmato dal produttore dei rifiuti e controfirmate dal trasportatore che in tal modo da’ atto di aver ricevuto i rifiuti. Una copia del formulario deve rimanere presso il produttore e le altre tre, controfirmate e datate in arrivo dal destinatario, sono acquisite una dal destinatario e due dal trasportatore, che provvede a trasmetterne una al predetto produttore dei rifiuti. Le copie del formulario devono essere conservate per cinque anni. | *Applicabile il comma 2 che presenta continuità con il previgente |
3. Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformita’ alle norme vigenti in materia. | 3. Il trasportatore non e’ responsabile per quanto indicato nella Scheda SISTRI – Area movimentazione o nel formulario di identificazione di cui al comma 1 dal produttore o dal detentore dei rifiuti e per le eventuali difformita’ tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura e consistenza, fatta eccezione per le difformita’ riscontrabili con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico . | *NON applicabile in parte.IPotrebbe applicarsi nella parte che richiama il comma 1 e seguente. |
4. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico ne’ ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantita’ di trenta chilogrammi o di trenta litri. | 4. Durante la raccolta ed il trasporto i rifiuti pericolosi devono essere imballati ed etichettati in conformita’ alle norme vigenti in materia di imballaggio e etichettatura delle sostanze pericolose. | *Il comma 4 nuova formulazione richiama invero il comma 3 previgente salvo la precisazione sulle sostanze pericolose. |
4-bis. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano altresi’ nel caso di trasporto di rifiuti speciali di cui all’articolo 184, comma 3, lettera a), effettuato dal produttore dei rifiuti stessi inmodo occasionale e saltuario e finalizzato al conferimento al gestore del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani con il quale siastata stipulata una convenzione, purche’ tali rifiuti non eccedano la quantita’ di trenta chilogrammi o di trenta litri. |
5. Fatto salvo quanto previsto per i comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti urbani nel territorio della regione Campania, tenuti ad aderire al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), nonche’ per i comuni e le imprese di trasporto di rifiuti urbani in regioni diverse dalla regione Campania di cui all´articolo 188-ter, comma 2, lett. e), che aderiscono al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI), le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal soggetto che gestisce il servizio pubblico, ne’ ai trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati dal produttore dei rifiuti stessi, in modo occasionale e saltuario, che non eccedano la quantita’ di trenta chilogrammi o di trenta litri, ne’ al trasporto di rifiuti urbani effettuato dal produttore degli stessi ai centri di raccolta di cui all’articolo 183, comma 1, lett. mm). Sono considerati occasionali e saltuari i trasporti di rifiuti, effettuati complessivamente per non piu’ di quattro volte l’anno non eccedenti i trenta chilogrammi o trenta litri al giorno e, comunque, i cento chilogrammi o cento litri l’anno. | LA SECONDA PARTE appare applicabile in quanto richiama e specifica il previgente comma 4. |
5. La disciplina di carattere nazionale relativa al presente articolo e’ definita con decreto del Ministro dell’ambiente e dellatutela del territorio e del mare da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della parte quarta del presente decreto. Sinoall’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145. |
6. In ordine alla definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione, si applica il decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145. | *Il comma 6 rimane applicabile. |
6. La definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione e le modalita’ di numerazione, di vidimazione ai sensi della lettera b) e di gestione dei formulari di identificazione, nonche’ la disciplina delle specifiche responsabilita’ del produttore o detentore, del trasportatore e del destinatario sono fissati con decreto del Ministro dell’ambiente edella tutela del territorio e del mare tenendo conto delle specifiche modalita’ delle singole tipologie di trasporto, con particolare riferimento ai trasporti intermodali, ai trasporti perferrovia e alla microraccolta. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le seguenti disposizioni: a) relativamente alla definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione, si applica il decreto del Ministro dell’ambiente 1° aprile 1998, n. 145; b) relativamente alla numerazione e vidimazione, i formulari di identificazione devono essere numerati e vidimati dagli uffici dell’Agenzia delle entrate o dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o dagli uffici regionali e provinciali competenti in materia di rifiuti e devono essere annotati sul registro IVA acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione e’ gratuita e non e’ soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria. |
7. I formulari di identificazione devono essere numerati e vidimati dagli uffici dell’Agenzia delle entrate o dalle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura o dagli uffici regionali e provinciali competenti in materia di rifiuti e devono essere annotati sul registro Iva acquisti. La vidimazione dei predetti formulari di identificazione e’ gratuita e non e’ soggetta ad alcun diritto o imposizione tributaria. | |
7. Il formulario di cui al presente articolo e’ validamente sostituito, per i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria di cui all’articolo 194, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio nazionale | 8. Per le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi che non aderiscono su base volontaria al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), il formulario di identificazione e’ validamente sostituito, per i rifiuti oggetto di spedizioni transfrontaliere, dai documenti previsti dalla normativa comunitaria di cui all’articolo 194, anche con riguardo alla tratta percorsa su territorio nazionale. | * |
8. La scheda di accompagnamento di cui all’articolo 13 del decretolegislativo 27 gennaio 1992, n. 99,relativo all’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, e’ sostituita dal formulario di identificazione di cui al comma 1. Le specifiche informazioni di cui all’allegato IIIA del decreto legislativo n. 99 del 1992 non previste nel modello del formulario di cui al comma 1 devono essere indicate nello spazio relativo alle annotazioni del medesimo formulario. | 9. La scheda di accompagnamento di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, relativa all’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, e’ sostituita dalla Scheda SISTRI – Area movimentazione di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009 o, per le imprese che non aderiscono su base volontaria al sistema di controllo della tracciabilita’ dei rifiuti (SISTRI) di cui all´articolo 188-bis, comma 2, lett. a), dal formulario di identificazione di cui al comma 1. Le specifiche informazioni di cui all’allegato IIIA del decreto legislativo n. 99 del 1992 devono essere indicate nello spazio relativo alle annotazioni della medesima Scheda SISTRI – Area movimentazione o nel formulario di identificazione. La movimentazione dei rifiuti esclusivamente all’interno di aree private non e’ considerata trasporto ai fini della parte quarta del presente decreto. | * |
Tariffa Rifiuti (TIA): obbligo di motivazione
Tariffa Rifiuti (TIA) : la PA deve motivare
Consiglio di Stato n. 539/2012
A cura di Cinzia Silvestri
L’“ampio potere discrezionale dell’ente locale …non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa….”
Il Comune deve motivare l’applicazione della tariffa ai massimi consentiti.
Leggi anche articolo “ il cittadino non e’ suddito”
Alcune associazioni di professionisti chiedevano al TAR di Toscana l’annullamento delle delibere del Comune di Prato relative al regolamento per la tariffa Rifiuti.
“.. i ricorrenti sostenevano l’illegittimità della istituzione della tariffa di igiene ambientale per le utenze non domestiche appartenenti alla categoria 11 (uffici, agenzie, studi professionali) nella misura più elevata possibile…… senza alcuna motivazione che giustificassero tale massima imposizione e senza dar minimamente conto dei criteri applicati nell’ambito dei valori minimi e massimi indicati nell’allegato al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158; ciò senza contare che non solo alcun criterio omogeneo risultava seguito per le varie categorie di contribuenti (per alcune delle quali (nn. 1, 4, 13, 17, 18, 19, 20, 21) erano stati applicati i coefficienti minimi e per altre (n. 11) quelli massimi), per quanto la tariffa, secondo la previsione di cui all’articolo 4, terzo comma, del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, doveva essere differenziata per zone, con riferimento alla destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e qualità dei servizi da fornire.
LA Corte accoglie la doglianza.
Scrive la Corte:”…L’art. 49 del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, nel prevedere l’istituzione della tariffa in questione, stabilisce al comma 4 che essa è composta da
una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una quota rapportata
alle quantità di rifiuti,
al servizio fornito, e
all’entità dei costi di gestione,
in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.
Il successivo comma 5 rimette al Ministro dell’ambiente …., l’elaborazione di un metodo normalizzato per definire le componenti dei costi e determinare la tariffa di riferimento…”
TARIFFA
La tariffa, prosegue la Corte:”…. deve essere articolata per fasce (comma 6) e costituisce la base per la determinazione della tariffa e per orientare e graduare nel tempo gli adeguamenti tariffari derivanti dall’applicazione dello stesso decreto legislativo (comma 7).
Il regolamento per l’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa di gestione del ciclo dei rifiuti urbani, approvato col già citato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, dopo aver precisato all’articolo 2 che “la tariffa di riferimento rappresenta l’insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali” (comma 1) e ribadito all’articolo 3, comma 1, che “la tariffa è composta da
una parte fissa, determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti, e
da una parte variabile, rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione”,
all’articolo 4 (“Articolazione della tariffa) prevede che la tariffa è articolata nelle fasce di utenza domestica e non domestica (comma 1), stabilendo che l’ente locale ripartisce tra le categorie di utenza domestica e non domestica l’insieme dei costi da coprire attraverso la tariffa secondo criteri razionali (assicurando l’agevolazione per l’utenza domestica di cui all’art. 49, comma 10, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (comma 2) e aggiungendo che a livello territoriale la tariffa è articolata con riferimento alle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunale ed in particolare alla loro destinazione a livello di pianificazione urbanistica e territoriale, alla densità abitativa, alla frequenza e alla qualità dei servizi da fornire, secondo modalità stabilite dal comune (comma 3).
Ai fini del calcolo della tariffa per le utenze domestiche, in particolare, l’articolo 6 stabilisce, al primo comma, che “Per le comunità, per le attività commerciali, industriali, professionali e per le attività produttive in genere, la parte fissa della tariffa è attribuita alla singola utenza sulla base di un coefficiente relativo alla potenziale produzione di rifiuti connessa alla tipologia di attività per unità di superficie assoggettabile a tariffa e determinato dal comune nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al presente decreto”, e, al secondo comma, che “Per l’attribuzione della parte variabile della tariffa gli enti locali organizzano e strutturano sistemi di misurazione delle quantità di rifiuti effettivamente conferiti dalle singole utenze. Gli enti locali non ancora organizzati applicano un sistema presuntivo, prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq. ritenuta congrua nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4. dell’allegato 1.
4.3.2.2. Alla luce del delineato substrato normativo non può ragionevolmente dubitarsi della sussistenza del vizio di motivazione che, come eccepito dagli appellanti, inficia gli atti impugnati.
Invero, ancorché non possa dubitarsi della natura di atto generale del provvedimento istitutivo della tariffa e del relativo regolamento, non può tuttavia negarsi che esso, proprio in quanto costituisce applicazione concreta anche delle disposizioni contenute nel ricordato d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, ha un contenuto composito, in parte regolamentare ed in parte provvedimentale, con particolare riferimento a quella parte in cui stabilisce il costo del servizio e la determinazione della tariffa, le modalità di applicazione della tariffa, le agevolazioni e le riduzioni tariffarie, le modalità di riscossione della tariffa, i coefficienti per l’attribuzione della parte fissa e della parte variabile della tariffa.
La determinazione di tali peculiari elementi, che implica, come si ricava dalle richiamate disposizioni, l’individuazione dei costi da coprire, la loro ripartizione tra le categoria di utenza domestica e non domestica, la articolazione della tariffa stessa in ragione delle caratteristiche delle diverse zone del territorio comunali, secondo la loro destinazione urbanistica, è frutto di un ampio potere discrezionale dell’ente locale che non può intuitivamente sfuggire a qualsiasi forma di controllo e non può pertanto essere sottratto all’obbligo della motivazione, se non al costo di rinnegare i principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento che, ai sensi dell’articolo 97 della Costituzione, devono caratterizzare l’azione amministrativa.
Ma, anche a voler prescindere dalle considerazioni fin qui svolte, un decisivo argomento letterale a conforto della tesi dell’obbligo di motivazione di cui si discute è rintracciabile nelle disposizioni dell’articolo 6 del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, che, disciplinando il calcolo della tariffa per le utenze non domestiche, facoltizza i comuni a determinare la parte fissa della tariffa “…nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.3. dell’allegato 1 al decreto” (comma 1) e quella variabile prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per metri quadrati “…ritenuta congrua nell’abito degli intervalli indicati al punto 4.4. dell’allegato 1” (comma 2): invero, proprio il potere di scelta nell’ambito di un intervallo, delimitato da un minimo ed un M., imponeva all’ente locale appellato l’obbligo di motivare le ragioni della scelta dei coefficienti massimi, non essendovi del resto alcun elemento (né essendo stato in alcun modo indicato) negli atti impugnati idoneo a rendere manifesto e comprensibile l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione e dunque le ragioni della scelta.
È appena il caso di evidenziare che a tale vulnus non potrebbe porsi rimedio in occasione dell’emanazione dei singoli atti impositivi e della loro eventuale impugnazione, dal momento che essi, in quanto meramente applicativi, sfuggono essi stessi all’obbligo e particolareggiato obbligo di motivazione (essendo sufficiente per la loro legittimità il rinvio per relationem proprio all’atto istitutivo della tariffa ed al regolamento di applicazione, di contenuto, come si è visto, composito).
In tali sensi la censura di difetto di motivazione deve essere considerata fondata (ed assorbente anche rispetto alla dedotta carenza di istruttoria)
RIFIUTI: trasporto illecito
RIFIUTI: TRASPORTO ILLECITO
Art. 256 coma 4 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione – Sentenza 10 maggio 2012, n. 17460
A cura avv. Cinzia Silvestri
La sentenza pone il rilevante dubbio sulla individuazione della mera attività di movimentazione e quella di trasporto in relazione al sito in cui si svolge il deposito temporaneo ed anche con riferimento alle attività svolte sotto l’egida dell’ art. 230.
Pur dovendo fare riferimento al caso specifico trattato -che presenta particolarità – la sentenza suggerisce un ripensamento in concreto delle attività svolte ai fini della corretta applicazione della normativa sui rifiuti.
Il caso:
Veniva disposto il sequestro preventivo di autocarro utilizzato per trasporto di rifiuti speciali (terre, sabbie, sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni) effettuato senza l’osservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nell’atto abilitativo rilasciato da societa’ proprietaria del veicolo per violazione dell’art. 256 comma 4 Dlgs. 152/2006.
II Tribunale del riesame contesta alla società, regolarmente iscritta all’albo, che il titolo abilitativo “non è esteso al trasporto di rifiuti diversi dalle “terre” ed in esso viene prescritto altresì che il trasporto di queste ultime ……deve essere accompagnato da copia del provvedimento di iscrizione corredata dalla dichiarazione di conformità all’originale resa dal legale rappresentante dell’impresa.
Nella specie, invece, il trasporto effettuato dall’autocarro in sequestro riguardava anche sassi, conglomerati cementizi e pezzi di asfalto di varie dimensioni ed esso non era accompagnato da alcun documento…”.
RIFIUTI DA MANUTENZIONE
Il Tribunale riporta la tesi difensiva volta a inquadrare il trasporto nella attivita’ manutentiva ex art. 266 comma 4 Dlgs. 152/2006.
” Si prospetta in ricorso che l’autocarro sequestrato non stesse effettuando un trasporto di “rifiuti, poiché, ai sensi dell’articolo 266, 4° comma, del Dlgs 152/2006, “I rifiuti provenienti da attività di manutenzione … si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività”.
Il materiale trasportato……avrebbe assunto la qualificazione di “rifiuto” solo dopo avere raggiunto il sito dove sarebbe stato legittimamente scaricato in “deposito temporaneo” in quanto si tratterebbe di area di cui la (societa’) avrebbe ottenuto la disponibilità dalla società …(appaltante)…”
Tale collegamento consentirebbe di considerare anche detta area “luogo di produzione dei rifiuti”, poiché essa sarebbe assimilabile alla sede/domicillo della società che materialmente eseguiva i lavori di manutenzione (la cui sede legale era ….. in Brescia).
Art. 230 Dlgs. 152/2006
Risponde il Collegio che “…più pertinente sarebbe stato il richiamo al primo comma dell’articolo 230 del Dlgs 152/2006, ove viene prevista una eccezione alla regola generale del divieto di creazione del deposito temporaneo in luogo diverso da quello di produzione nelle ipotesi non di manutenzione generica bensì di manutenzione specifica di reti ed infrastrutture…”
CONTESTAZIONE
Vero e’ che non si discute nel caso in esame di deposito temporaneo bensi’ “...
di un trasporto di rifiuti, verso il luogo individuato per il deposito temporaneo, senza l’osservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione; sicché, in relazione alla …… violazione dell’articolo 256, 4° comma, del Dlgs 152/2006, non può certo affermarsi che a quelle prescrizioni non dovesse ottemperarsi quando pure il luogo di deposito temporaneo potesse ritenersi legittimamente individuato.
MOVIMENTAZIONE e TRASPORTO
Il Collegio richiama la distinzione tra l’attività di :
“movimentazione”: non necessita di alcuna autorizzazione
“trasporto” dei rifiuti, : rientra nella “gestione” ai sensi dell’articolo 183, comma 1 — lett. n), oggetto di specifica autorizzazione in quanto tale (con la conseguenza che solo dopo l’inizio del deposito temporaneo comincerebbe la gestione dei rifiuti in senso tecnico e l’obbligo di rispettarne regole e prescrizioni).
GESTIONE
Precisa la Corte che “non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo:
a) sia perché nulla è dato sapere circa l’effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge per considerare legittima detta forma di deposito;
b) sia perché non vi è stata movimentazione all’interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione.
In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti e per “rifiuto”, ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia l’intenzlone o l’obbIigo di disfarsi), restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero.
Rifiuti: deposito temporaneo (durata)
Rifiuti: Deposito temporaneo – Durata
Art. 256 Dlgs. 152/206 – Sentenza Corte di Cassazione 8 maggio 2012, n. 16988
A cura di avv. Cinzia Silvestri
La sentenza offre chiaro esempio dei riflessi applicativi della modifica intervenuta con Dlgs. 205/2010 al “deposito temporaneo”.
Si rinvia a schema sulle modifiche intervenute per il deposito temporaneo pubblicato su questo sito.
Il caso:
Con decreto veniva sequestrata (sequestro preventivo) una area adibita a deposito di rifiuti
dove erano stati rinvenuti 1400 mc. di rifiuti derivanti da attività di demolizioni edilizie.
L’ imputato (art. 256 comma 1 lett. a)) svolgeva la sua difesa argomentando anche sul fatto che si trattava “…di deposito temporaneo e di azienda iscritta all’Albo nazionale dei gestori di rifiuti”.
Il Tribunale rispondeva che “il deposito temporaneo è consentito fino ad un quantitativo massimo di 20 mc. ai sensi dell’articolo 183 lett. m) n. 2) del Dlgs 152/2006.”
La sentenza affronta la questione del deposito temporaneo alla luce delle modifiche intervenute con il DLgs. 205/2010..
Ed invero si denuncia l’errata applicazione dell’articolo 183 lett. bb) n. 2) del Dlgs 152/2006.
Ovvero: “…Si deduce che la disposizione citata in materia di deposito temporaneo dei rifiuti è stata modificata dal Dlgs 205/2010. Il testo attualmente vigente non pone più un limite quantitativo per configurare il deposito temporaneo di rifiuti, ma solo quello temporale dello smaltimento del rifluti entro tre mesi. I rifiuti di cui si tratta provenivano da lavori di demolizione e rifacimento del piazzale dell’azienda ed erano stati regolarmente registrati nel registro di carico e scarico e avviati allo smaltimento con cadenza regolare fino alla data del sequestro, così come risultante dal predetto registro e dai formulari, che vengono citati…”.
L’articolo 183, che ai sensi dell’articolo 10 del Dlgs 205/2010 ha sostituito il corrispondente articolo del Dlgs 152/2006, disciplina al comma 1, lett. bb) n. 2), il deposito temporaneo di rifiuti.
“La nuova norma …..ha solo modificato parzialmente il limite quantitativo del deposito temporaneo di rifiuti che e’ consentito :
oltre il termine di tre mesi e
fino ad un massimo di un anno,
elevandolo a complessivi trenta metri cubi (di cui al massimo dieci metri cubi di rifiuti pericolosi).
Nella sostanza, nella precedente versione della norma il detentore dei rifiuti speciali era obbligato a provvedere al loro smaltimento
entro tre mesi allorché il deposito, trattandosi di rifiuti non pericolosi, raggiungeva
i venti metri cubi (non pericolosi) o
i dieci metri cubi se si trattava di rifiuti pericolosi.
Attualmente il citato limite quantitativo è stato elevato fino al massimo di trenta metri cubi, se si tratta solo di rifiuti non pericolosi, ovvero nel caso di rifiuti misti tale limite quantitativo può comprendere rifiuti pericolosi in misura che non superi i dieci metri cubi.
Resta fermo il disposto secondo il quale il deposito temporaneo è consentito senza limiti quantitativi allorché lo smaltimento venga effettuato con cadenza trimestrale.
Era stato, infatti, già precisato da questa Corte che, a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 3 aprile 2006 n. 152, articolo 183 lett. m), il produttore può decidere di conservare i rifiuti in deposito per tre mesi in qualsiasi quantità, prima di avviarli allo smaltimento o al recupero, privilegiando così il limite temporale, oppure può scegliere di conservare i rifiuti in deposito per un anno, purché la quantità non raggiunga i venti metri cubi, in applicazione del limite quantitativo.
La Cassazione dunque non condivide la decisione del Tribunale in ordine al sequestro e precisa: “…. il Tribunale ha ritenuto che fosse sufficiente il superamento del limite quantitativo previsto dalla norma, peraltro nella formulazione precedente alle modifiche introdotte dal Dlgs 205/2010, per qualificare come irregolare il deposito di rifiuti, senza accertare anche la violazione del limite temporale del termine di tre mesi entro il quale i rifiuti speciali possono essere depositati senza l’osservanza di detto limite quantitativo….”
La Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale e rinvia per un nuovo esame che tenga conto degli enunciati principi di diritto.
Rifiuti: responsabilità dirigente comunale ( e non solo)
Rifiuti: responsabilita’ dirigente Comunale (e non solo)
Cassazione penale Sentenza 12 aprile 2012, n. 13927
Art. 256 Dlgs. 152/2006
A cura avv. Cinzia Silvestri
Il caso:
Il Tribunale di Lecce condannava alla pena di 2 mila euro di ammenda per il reato di cui agli articoli 110 e 81 C.p., e Dlgs 152/2006, articolo 256, comma 1, lett. a), perché,
A) in qualità di dirigente del Comune di Lecce, in concorso con
B) il titolare dell’impresa Srl “, autorizzata alla raccolta ed al trasporto di rifiuti, e
C) direttore di cantiere dell’impresa (assolti invece con la formula “perché il fatto non costituisce reato”)
in relazione al deposito senza autorizzazione di masse di alghe marine (rifiuti organici) su terreno di proprietà del Comune di Lecce dove erano state depositate circa 4000 me di alghe prelevate dalla darsena e due aree agricole dove erano state depositate alghe per circa 220 me di alghe prelevate dal porticciolo di proprietà di privati .
Il Dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale (imputato) impugnava la sentenza.
Il dirigente si difendeva adducendo, di aver agito sotto l’egida di ordinanza contingibile ed urgente emanata dal Sindaco e anche di non essere responsabile per il solo fatto di essere il dirigente dell’ ufficio patrimonio comunale; ed anzi che il soggetto tenuto all’adempimento era il dirigente del settore ambiente, munito dei poteri per la gestione dei rifiuti.
La sentenza accoglie proprio questo punto.
La Corte precisa alcuni punti utili non solo per il dirigente pubblico ma anche per i privati o societa’.
Spesso infatti si assiste a procedimenti penali o amministrativi incardinati nei confronti di soggetti estranei all’ illecito e coinvolti solo perche’ rivestono uno certa qualifica. La sentenza richiama il concetto della riferibilita’ della responsabilità quale presupposto stesso per attribuire anche la colpa. La consapevolezza si pone su piano diverso!
Ebbene la Corte “….ha affermato il principio secondo il quale “l’amministratore o il legale rappresentante di un ente non può essere automaticamente ritenuto responsabile, a causa della carica ricoperta, di tutte le infrazioni penali verificatesi nella gestione dell’ente“, quando nell’ambito dell’ente “l’attività funzionale sia stata preventivamente suddivisa in settori, rami o servizi, e che a ciascuno di essi siano in concreto preposti soggetti qualificati ed idonei, dotati della necessaria autonomia e dei poteri indispensabili per la gestione completa degli affari di quel servizio”.
In particolare in tema di rifiuti, è stato precisato che, “anche a seguito dell’entrata in vigore dell’ordinamento degli enti locali (Dlgs 267 del 2000, e successive integrazioni), che ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti; sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate.
2. Orbene, nella vicenda in esame, il giudice di merito ha dato atto che
l’ufficio competente a gestire il progetto relativo all’utilizzazione delle alghe (posidonea oceanica) era quello del settore ambiente ed ufficio unico dei rifiuti. .
…. l’imputato, preposto al settore patrimonio e strategie territoriali del Comune di Lecce, aveva dato esecuzione all’ordinanza del Sindaco,…emessa nella sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza, con la quale si disponeva la rimozione del materiale che ostruiva la darsena “per ripristinare la sicurezza e la navigabilità”.
Il giudice di merito ha erroneamente ritenuto neutra la portata di tale ordinanza rispetto all’operato dell’ imputato….”
“……Di certo sembra che l’ordinanza sindacale non avesse conferito espressamente all’imputato poteri rientranti nelle funzioni del dirigente del Settore ambiente.
Sul punto la sentenza non ha …chiarito gli esatti profili della posizione di garanzia …..base della responsabilità dell’imputato, chiamato a rispondere di deposito abusivo di rifiuti per non avere richiesto le autorizzazioni quanto al deposito delle alghe, atteso che la gestione dei rifiuti, come anche del progetto di utilizzare le alghe per contrastare i fenomeni erosivi delle spiagge, risultava invece direttamente riferibile alla competenza del Settore ambientale del Comune e del suo dirigente…”.
3. “Quindi la sentenza risulta ….carente anche quanto alla ricostruzione della
A) sussistenza del profilo soggettivo di responsabilità, in quanto se è vero che il reato ascritto può essere commesso anche a titolo di colpa, la non riferibilità all’imputato delle funzioni in materia ambientale ed il fatto che lo stesso avesse coinvolto il dirigente del Settore ambientale ……per i contatti con la Provincia in riferimento alla problematica delle alghe, devono indurre ad una rivalutazione del giudizio espresso dal giudice di prime cure, che si è limitato ad ancorare la responsabilità colposa alla mera consapevolezza che l’imputato aveva di operare in materia di rifiuti….”
B).”…nessun rimprovero può essere posto a carico del dirigente del Settore patrimonio se allo stesso non siano stati conferiti i compiti specifici relativi alle procedure in materia di rifiuti, posto che il Tribunale ha dato atto che lo stesso, nel corso dell’esecuzione dell’ordinanza del Sindaco, ebbe a svolgere tale attività anche coordinandosi con il dirigente del Settore ambiente competente (questo sì munito dei relativi poteri).
È stato infatti precisato che “i dirigenti comunali possono essere titolari di posizioni di garanzia nello svolgimento dei compiti di gestione amministrativa a loro devoluti, residuando in capo al Sindaco unicamente poteri di sorveglianza e controllo…..
Terre e rocce da scavo: Regolamento in arrivo?
Terre e rocce da scavo
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole allo schema di regolamento su terre e rocce da scavo.
Il regolamento si pone in attuazione dell’ art 49 DL 1/2012 convertito con L. 27/2012.
Si rimanda ad articolo pubblicato su questo sito.
Parere su regolamento terre e rocce da scavo
Responsabilità omesso controllo autorizzazione: art. 260 Dlgs. 152/2006
Responsabilità omesso controllo autorizzazioni – art. 260 Dlgs. 152/2006
Corte di Cassazione penale – Sentenza 10 aprile 2012, n. 13363
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il caso prende origine dalla contestazione dell’art. 53 bis del Dlgs. 22/97. (attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti – articolo inserito con L. 93/2001) che trova corrispondente nell’art. 260 Dlgs. 152/2006
L’art. 260 disciplina quelle attività organizzate per il traffico illecito.
Si realizza in genere a mezzo di comportamenti reiterati in violazione alle attività di GESTIONE. Coinvolge tutti i soggetti anche intermediari, commercianti ecc…
La sentenza attua il principio della corresponsabilità di cui all’art. 178 e chiarisce la distinzione tra la
1) mera omissione di controllo della esistenza delle autorizzazioni altrui
2) la consapevolezza da parte degli imputati dei provvedimenti ablativi o sospensivi delle autorizzazione degli impianti .
Ed invero gli imputati agivano nel tempo e reiteratamente con la consapevolezza della mancanza di autorizzazioni ed anche modificando il FIR.
Sulla mera omissione del controllo della esistenza delle autorizzazioni gli imputati si difendevano deducendo che : “..di verificare che il destinatario dei rifiuti sia munito delle prescritte autorizzazioni, in quanto la violazione di tale obbligo non comporta l’automatica applicazione di sanzioni ovvero la perdita automatica dell’iscrizione all’albo medesimo come affermato in sentenza.
Risponde la Corte precisando che : “la violazione dell’obbligo di verifica della regolarità delle autorizzazioni dei destinatari dei rifiuti è comunque produttiva di sanzioni,…”.
La Corte richiama l’art. 178 del Dlgs 152/2006 e l’orientamento che ritiene:
1) “…la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse,
2) il cui svolgimento richiede la cooperazione e la responsabilizzazione di tutti i soggetti che se ne occupano…”
Continua la Corte: “…Emerge, infatti, dall’esame degli articolo 188, 193 e ss. del Dlgs 152/2006 che tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti sono responsabili non solo della regolarità delle operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggetti che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso delle prescritte autorizzazioni da parte del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento.
È, perciò, evidente che l’inosservanza degli obblighi imposti dalla legge, oltre ad integrare le fattispecie contravvenzionali previste dal testo unico sull’ambiente, può essere valutata quale elemento indiziario dell’elemento psicologico che integra le ipotesi delittuose previste in detta materia….”
Si badi che la Corte precisa: “gli imputati non sono responsabili del mero omesso controllo della esistenza e validità delle autorizzazioni delle quali dovevano essere in possesso i siti di conferimento dei rifiuti, ma avevano la piena consapevolezza che dette autorizzazioni erano inesistenti o scadute di validità, cosi configurandosi gli elementi soggettivo ed oggettivo del reato loro ascritto.
La prova della “consapevolezza” e pertanto dell’agire delittuoso degli imputati viene desunto da prove processuali quali:
1) intercettazioni telefoniche
2) operazioni di controllo della polizia giudiziaria, “..che hanno verificato conferimenti di rifiuti all’impianto di Milano avvenuti in modo assolutamente clandestino, del tutto “in nero”.
TARIFFA RIFIUTI: focus
RES/TIA 1 e 2 : “TARIFFA RIFIUTI”/considerazioni
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
La “querelle” tra tariffa rifiuti e IVA rimborsabile è ottimo esempio di come il legislatore italiano, gli Enti, la giurisprudenza intersecano le proprie decisioni creando confusione all’utente finale. La sentenza della Corte di Cassazione del 9.3.2012 n. 3756 ha riaperto la questione e sancito la natura della Tariffa.
La confusione regna e costituisce ottimo terreno fertile per la “interpretazione”.
Utile una breve e non esaustiva rassegna della evoluzione del concetto di Tariffa fino alla futura RES.
Ebbene.
L’articolo 238 del Codice Ambientale così apre il suo primo comma:
1. Chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali, o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani, è tenuto al pagamento di una tariffa. La tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall’articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11.
Inizialmente l’art. 49 del decreto Ronchi (d.lgs. 22/97) che istituisce la “Tia 1” tariffa d’igiene ambientale prevedeva l’ entrata in vigore graduale, in ragione della percentuale di copertura dei costi del servizio di gestione dei rifiuti raggiunto con il gettito del 1999. Con l’avvicinarsi delle scadenze graduate, il legislatore di fronte alle difficoltà di imporre una entrata di complessa applicazione, ha provveduto nel corso degli anni successivi a differire l’entrata in vigore della tariffa con le leggi finanziarie di fine anno.
Inoltre lo stesso art. 49 stabiliva che fino al momento dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà di questo prelievo, i Comuni avrebbero potuto applicare la tariffa “Ronchi” in via sperimentale, mediante apposite delibere regolamentari.
La tariffa Ronchi non è mai diventata obbligatoria per i Comuni, date le ripetute proroghe e i provvedimenti che hanno di fatto “congelato” la sua introduzione, per arrivare alla definitiva abrogazione ad opera della “nuova” tariffa integrata ambientale (tia2) di cui all’art. 238 del codice ambientale. (d.lgs. 152/2006).
Al comma 11 di tale articolo viene stabilito che sino alla completa attuazione della nuova tariffa, la cui procedura rimanda ad un apposito decreto ministeriale (ancora non emanato dal 2006) e l’adozione di specifiche previsioni regolamentari locali “continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti”
Secondo l’interpretazione più accreditata con l’espressione “discipline regolamentari vigenti” devono intendersi i regolamenti comunali di introduzione e disciplina della tariffa nei propri territori, che alla data di entrata in vigore del codice ambientale erano stati già adottati.
Va detto che i Comuni hanno interpretato con grande libertà il modo di costruzione e applicazione del prelievo (il c.d. “metodo normalizzato” fissato dal DPR 158/99) stante la mancanza di criteri riguardanti i limiti di tale sperimentazione e pertanto tra i Comuni va registrata una estrema disomogeneità, ad esempio tra il grado di copertura dei costi, la ripartizione tra quota fissa e quota variabile, la determinazione dei coefficienti di produzione dei rifiuti.
In base a tali considerazioni dal 29 aprile 2006 (data di entrata in vigore del codice ambientale) non è più ammissibile il passaggio alla tariffa Ronchi (tia 1) in virtù del fatto che tale entrata è da ritenersi soppressa. In via transitoria è “tollerata” la vigenza degli atti deliberativi comunali già assunti.
Con la mancanza di un quadro definito in materia di prelievo sui rifiuti, le leggi finanziarie dal 2007 hanno dettato una disciplina di congelamento delle delibere comunali stabilendo che restasse invariato il regime di prelievo adottato per l’anno precedente.
Successivamente il D.L. 30 dicembre 2008 n. 208 (art. 5 comma 2 quater) ha previsto che “Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’art. 238 del d.lgs. 152/06 non sia adottato dal Ministero dell’Ambiente entro il 30 giugno 2010, i Comuni che intendono adottare la tia possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti”.
L’interpretazione corretta di tale disposizione sembra quella di ritenere applicabile, dal 1° luglio 2010 la tia di cui all’art. 238 del codice ambientale, con applicazione del metodo normalizzato di cui al DPR 158/99, nelle more della emanazione del decreto attuativo dello stesso art. 238.
Su tale complessa situazione si inserisce l’interpretazione autentica fornita dall’art. 14 comma 33 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, il quale stabilisce la natura non tributaria della tariffa (tia1) e devolve le controversie sorte dopo la sua entrata in vigore (31 maggio 2010) al giudice ordinario.
Tale norma, nel tentativo di arginare gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale del 24 luglio 2009, che aveva statuito la natura sostanzialmente tributaria della tariffa Ronchi (l’unica applicata dai Comuni al momento e per la quale era stata versata l’Iva) confonde tuttavia tale tariffa con quella di cui all’art. 238 del d.lgs. 152/06, cui invece il D.L. fa espresso riferimento.
La Corte costituzionale ha infatti affermato che è “indubitabile la natura tributaria della tia” analogamente alla tarsu e che entrambi i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione della disciplina sull’Iva non trattandosi di corrispettivi per una prestazione contrattuale, ma di un esborso caratterizzato (in entrambi i casi) dalla doverosità della prestazione, e dalla inesistenza di un rapporto sinallagmatico.
In tale quadro normativo si inserisce la Circolare del Ministero dell’Economia e Finanze che estende anche alla tariffa Ronchi (tia1) la natura non tributaria che l’interpretazione autentica contenuta nel D.L. 78/10 rivolgeva alla c.d. tia2 (ex art. 238).
La circolare non tiene poi conto della giurisprudenza formatasi negli anni secondo cui ai fini della qualificazione di una entrata non sono mai risolutive da sole le espressioni formali utilizzate dal Legislatore o il modo in cui l’entrata è denominata, dovendosi invece accertare la natura del presupposto e i suoi meccanismi interpretativi. Ciò fino ad arrivare alla sentenza della Corte di Cassazione 9 marzo 2012 n. 3756 che afferma che la tia1 (introdotta dall’art. 49 del decreto Ronchi) è un tributo, analogamente alla tarsu e in quanto tale non è assoggettabile a Iva. Perciò solo e soltanto su tale tributo non trova applicazione l’Iva del 10%.
L’Iva pagata sulla tia 1 rimane rimborsabile solo ai privati o a coloro che non hanno provveduto alla detrazione d’imposta in regime di impresa.
In linea di principio, avendo già recuperato l’Iva assolta sulla tia, le imprese non possono chiedere il rimborso, salvo la parte dell’Iva relativa alla quota di pro-rata di indetraibilità il cui calcolo è abbastanza complesso.
Per richiedere il rimborso bisogna riprendere i bollettini di versamento, riscontrare che si tratti di tariffa ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. 22/1997, che sia stata applicata l’Iva, sommare l’Iva 10% non detratta relativamente alla quota di pro-rata di indetraibilità e inviare la relativa istanza.
Va sottolineato che, aggiunge la Corte di cassazione, dal 1° gennaio 2013 tarsu, Tia1 e Tia 2 sono destinate a scomparire, tutte sostituite dal nuovo Tributo comunale sui rifiuti e sevizi (RES) previsto e disciplinato dall’art. 14 d.l. 6 dicembre 2011 n. 201 (recante misure per la crescita, equità e il consolidamento dei conti pubblici). Tale tributo sarà a carico di chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Da tale data saranno quindi soppressi tutti i prelievi relativi alle gestione dei rifiuti urbani (sia di natura patrimoniale, sia di natura tributaria).
Il tributo comprenderà, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche una quota “servizi” per la sicurezza, l’illuminazione e la gestione delle strade (manutenzione, pulizia).
La componente “rifiuti” assomiglierà più alla Tariffa di igiene ambientale (TIA) che alla Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) nonostante entrambe risultino abrogate dall’entrata in vigore del Res. La nuova tariffa dovrà essere determinata, infatti, da determinarsi attraverso un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre 2012, sarà proporzionata “alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotte per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte” mentre la componente “servizi” sarà calcolata in base al valore dell’immobile attraverso un’aliquota comunale.
Res: rifiuti – Andando nello specifico, la nuova tariffa si comporrà di due aspetti importanti. Uno riguardante i rifiuti che dovranno essere pagati da chiunque possegga, occupa o detiene a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti. Il pagamento della tariffa dovrà avvenire annualmente e sarà proporzionata alla quantità e qualità media ordinaria di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Nel determinare le tariffe, dovrà tenersi conto sia della quota relativa al costo del servizio, sia di quella rapportata alla quantità di rifiuti relativi al servizio fornito e ai costi di gestione. I Comuni, inoltre, potranno decidere di diminuire la tariffa o anche di prevedere agevolazioni o esenzioni in caso di ridotta produzione di rifiuti e prevedere agevolazioni per situazioni di particolare disagio sociale (ad esempio casi di particolare difficoltà economiche). I comuni più all’avanguardia che hanno realizzato sistemi di misurazione della quantità di rifiuti conferiti potranno applicare una tariffa «avente natura corrispettiva». Ma questa norma (art.14 undecies inserito dal dlgs correttivo all’interno del decreto legislativo n.23/2011) è stata oggetto di critiche da parte del Ministero dell’Ambiente e potrebbe essere modificata. In un parere (Allegato II) inviato a palazzo Chigi e al Ministero dell’Economia, il Ministero dell’Ambiente ha sollevato dubbi, in particolare, su quale sia l’amministrazione centrale a cui spetterà redigere il regolamento che metterà nero su bianco i criteri per determinare il costo del servizio. In sede comunitaria, fa notare il Ministero, «risulta controverso se il modello della liquidazione esatta dei costi debba essere applicato allo smaltimento dei rifiuti urbani». Una causa su questo punto è tutt’ora pendente davanti alla Corte di giustizia Ue. Inoltre, se il Res si configurasse come tariffa (e dunque come prelievo di natura non tributaria), ci sarebbe più di un dubbio sulla sua conformità con i criteri direttivi della legge delega sul federalismo (n.42/2009) che fa riferimento solo alla razionalizzazione della fiscalità degli enti. Qualora invece la bozza di dlgs tendesse a fare del Res un tributo, emergerebbero «alcuni profili di estrema criticità» con riferimento alla normativa in materia di servizi pubblici locali.
Res: servizi – Nella sua seconda componente, relativa ai servizi, il Res avrà come presupposto l’occupazione, a qualsiasi titolo (quindi non solo proprietà ma anche locazione, uso, usufrutto ecc.) di immobili ad uso abitativo (classificati alle categorie catastali da A1 a A9) da parte di soggetti anagraficamente residenti nel territorio del comune. Questa quota della nuova “service tax” sarà dovuta da tutte le persone fisiche maggiorenni residenti nel territorio del comune che occupano fabbricati. La base imponibile del Res, limitatamente alla componente relativa ai servizi indivisibili, sarà il valore dei fabbricati e delle relative pertinenze determinato moltiplicando per 100 la rendita catastale. A questa cifra si applicherà un’aliquota definita dal consiglio comunale. Anche in questo caso sono previste agevolazioni e riduzioni in base al reddito e al numero di familiari a carico. Per esempio, stando alla prima bozza di decreto, viene stabilita una no tax area per i residenti il cui reddito non superi il primo scaglione dell’Irpef (15 mila euro). Costoro non pagheranno nulla, ma il diritto all’esenzione verrà meno se la somma dei redditi dei soggetti che vivono sotto lo stesso tetto supera tale soglia. Per chi vive in affitto e ha un reddito complessivo a livello di nucleo familiare non superiore al limite previsto per il secondo scaglione Irpef (28 mila euro) il tributo sarà ridotto della metà. Lo stesso dicasi per i proprietari (o titolari di diritto di usufrutto, uso, abitazione o superficie) già assoggettati ad Ici o Imu.
Per quanto riguarda gli adempimenti, i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione relativa alla «Res» entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di inizio del possesso. La riscossione potrà essere affidata anche all’ente erogatore dell’energia elettrica. E nel caso in cui il contribuente non paghi il tributo per due volte consecutive, l’ente gestore potrà arrivare alla sospensione dell’energia elettrica.
Rifiuti pericolosi: Ecotossico (H14)
RIFIUTI PERICOLOSI – Ecotossico (H14)
L. n. 28/2012 di conversione del DL n. 2/2012 art. 3
A cura di avv. Cinzia Silvestri
L’ allegato D alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, il punto 5 e’ stato sostituito da nuova formulazione con L. n. 28/2012 di conversione del DL 2/2012.
La modifica del punto 5 dell’allegato D coinvolge anche H14 (ecotossico) .
E’ noto che le modifiche apportate dal Dlgs. 205/2010 hanno provocato incertezze applicative ingenti.
Noto è il parere ISS/ISPRA del 29.11.2011, in vigenza del Dlgs. 205/2010, che ha tentato con parere e dunque in assenza di alcuna forza legislativa di dare indirizzo e interpretazione alla questione.
Ebbene, il legislatore proprio con riferimento all’H14 (L. 28/2012) precisa che “..Nelle more dell’adozione, da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l’attribuzione della caratteristica H14, sentito il parere dell’ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalita’ dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7″)).
L’accordo ADR dunque assurge a fonte interpretativa per volontà legislativa.
Allegato D punto 5 del Dlgs. 152/2006 parte IV
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Dlgs. 152/2006dal 29.4.2006 al 24.12.2010 | Dlgs. 152/2006 come riformato dal Dlgs. 205/2010 ed in vigoredal 25.12.2010 al 24.3.2012 | Dlgs. 152/2006 come riformato dalla L. 28/2012 ed in vigoredal 25.3.2012 |
5. Se un rifiuto e’ identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose e come non pericoloso in quanto “diverso” da quello pericoloso (“voce a specchio”),esso e’ classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o piu’ delle proprieta’ di cui all’allegato III della direttiva 91/689/CEE del Consiglio. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11 si applicano i valori limite di cui al punto 4, mentre le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14 non devono essere prese in considerazione, in quanto mancano i criteri di riferimento sia a livello comunitario che a livello nazionale, e si ritiene che la classificazione di pericolosita’ possa comunque essere correttamente effettuata applicando i criteri di cui al suddetto punto 4. La classificazione di un rifiuto identificato da una “Voce a specchio” e la conseguente attribuzione del codice sono effettuate dal produttore/detentore del rifiuto. |
5. Se un rifiuto e’ identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso e’ classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o piu’ delle proprieta’ di cui all’allegato I. | “5. Se un rifiuto e’ identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso e’classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio, percentuale in peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o piu’ delle proprieta’ di cui all’allegato I. Per le caratteristiche da H3 a H8, H10 e H11, di cui all’allegato I, si applica quanto previsto al punto 3.4 del presente allegato. Per le caratteristiche H1, H2, H9, H12, H13 e H14, di cui all’allegato I, la decisione 2000/532/CE non prevede al momento alcuna specifica. Nelle more dell’adozione, da parte del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di uno specifico decreto che stabilisca la procedura tecnica per l’attribuzione della caratteristica H14, sentito il parere dell’ISPRA, tale caratteristica viene attribuita ai rifiuti secondo le modalita’ dell’accordo ADR per la classe 9 – M6 e M7″). |
Si ricorda:
– Un rifiuto è pericoloso se presenta una o più caratteristiche di cui all’allegato I, cioè le caratteristiche contrassegnate dalla lettera H (art. 183 comma 1 lettera b)[1], definizione ripresa anche dall’art. 184 comma 4 T.U.A.).
– Ai sensi dell’art. 184 comma 5 T.U.A.[2], però, anche l’allegato D, che descrive i codici CER, deve ritenersi “vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi” .
La pericolosità di un rifiuto, dunque, deriva dalla applicazione combinata degli allegati D e I: un rifiuto è pericoloso per definizione (all. D) oppure perché contiene una data percentuale di sostanze pericolose (all. I).
A dire il vero l’allegato D prevedeva già un rinvio all’allegato I, laddove al punto 5 stabiliva quando un rifiuto dovesse classificarsi
Infiammabile o facilmente infiammabile (H3A e H3b)
Irritante (H4)
Nocivo (H5)
Tossico (H6)
Cancerogeno (H7)
Corrosivo (H8)
Tossico per la riproduzione (H10) le percentuali di sostanze pericolose conteneva determinate circostanze di sostanze pericolose, tali da conferire al rifiuto una o più proprietà di cui all’allegato I (tossicità, infiammabilità, ecc…).
Mancavano però le linee guida per una corretta applicazione dell’allegato I, fornite appunto, seppur in via transitoria, dall’art. 3 comma 6 D.L. 2/12 modificato:
a) H3, H4, H5, H6, H7, H8, H10 e H11:
si applica il punto 3.4. allegato D:
– punto di infiammabilità < o = 55 °C,
– una o più sostanze classificate come molto tossiche in concentrazione totale > o = 0,1%,
– una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale > o = 3%,
– una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale > o = 25%,
– una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale > o = 1%,
– una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale > o = 5%,
– una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale > o = 10%,
– una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37 e R38 in concentrazione totale > o = 20%,
– una sostanza riconosciuta come cancerogena (categorie 1 o 2) in concentrazione > o = 0,1%,
– una sostanza riconosciuta come cancerogena (categoria 3) in concentrazione > o = 1%,
– una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificata come R60 o R61 in concentrazione > o = 0,5%,
– una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificata come R62 o R63 in concentrazione > o = 5%,
– una sostanza mutagena della categoria 1 o 2 classificata come R46 in concentrazione > o = 0,1%,
– una sostanza mutagena della categoria 3 classificata come R40 in concentrazione > o = 1%;
b) H1, H2, H9, H12, H13:
non applicabili, perché la decisione 2000/532/CE nulla disciplina in merito.
c) H14 (ecotossicità):
in attesa di un Decreto del MATTM tale caratteristica è attribuita secondo l’ADR per la classe 9 M6 e M7.
L’ADR è un accordo sancito a livello europeo, che disciplina il trasporto delle merci pericolose, imponendo misure per l’imballaggio e (allegato A dell’accordo) e la costruzione, l’equipaggiamento e l’esercizio dei veicoli (allegato B dell’accordo).
Le merci sono suddivise in classi a seconda dei rischi derivanti dalla loro manipolazione e contatto.
La classe 9 è una categoria residuale che comprende la pericolosità non descritta nelle altre classi:
– Classe 1a – Materie e oggetti suscettibili di esplosione
– Classe 1b – Oggetti caricati con materie esplosive
– Classe 1c – Merci di accensione, artefizi e merci analoghe
– Classe 2 – Gas compressi, liquefatti o disciolti sotto pressione
– Classe 3 – Materie liquide infiammabili
– Classe 4.1 – Materie solide infiammabili
– Classe 4.2 – Materie soggette ad accensione spontanea
– Classe 4.3 – Materie che a contatto con l’acqua sviluppano gas infiammabile
– Classe 5.1 – Materie comburenti
– Classe 5.2 – Perossidi organici
– Classe 6.1 – Materie tossiche
– Classe 6.2 – Materie ripugnanti o suscettibili di produrre infezioni
– Classe 7 – Materie radioattive
– Classe 8 – Materie corrosive
– Classe 9 – Materie e oggetti pericolosi diversi
Le materie incluse nella classe 9 sono poi al loro volta suddivise in sottoclassi:
M1 Materie che, inalate sotto forma di polvere fine, possono comportare un rischio per la salute;
M2 Materie ed apparecchi che, in caso d’incendio, possono formare diossine;
M3 Materie sviluppanti vapori infiammabili;
M4 Pile al litio;
M5 Congegni di salvataggio;
M6-M8 Materie pericolose per l’ambiente:
M6 Materie inquinanti per l’ambiente acquatico, liquide;
M7 Materie inquinanti per l’ambiente acquatico, solide;
M8 Microrganismi e organismi geneticamente modificati;
M9-M10 Materie trasportate a caldo:
M9 Liquide;
M10 Solide;
M11 Altre materie che presentano un pericolo durante il trasporto ma che non corrispondono alle definizioni di nessun’altra classe.
Le materie M6 e M7 di cui alla classe 9 sono dunque: “materie pericolose per l’ambiente comprendono le materie liquide o solide inquinanti per l’ambiente acquatico e le soluzioni e miscele di queste materie (come i preparati e i rifiuti) che non possono essere classificate nelle altre classi, o nelle altre rubriche della classe 9 elencate nella Tabella A del capitolo 3.2. Esse comprendono anche i microrganismi e gli organismi geneticamente modificati” (punto 2.2.9.1.9 ADR).
[1] Art. 183 comma 1 lett. b) "rifiuto pericoloso": rifiuto che presenta una o piu' caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto;
[2] art. 184 comma 4 e 5 Dlgs. 152/2006 come modificato dal Dlgs. 205/2010:
(4. Sono rifiuti pericolosi quelli che recano le caratteristiche di cui all'allegato I della parte quarta del presente decreto)).
((5. L'elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla parte quarta del presente decreto include i rifiuti pericolosi e tiene conto dell'origine e della composizione dei rifiuti e, ove necessario, dei valori limite di concentrazione delle sostanze pericolose. Esso e' vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi. L'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi, ferma restando la definizione di cui all'articolo 183. Con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore dalla presente disposizione, possono essere emanate specifiche linee guida per agevolare l'applicazione della classificazione dei rifiuti introdotta agli allegati D e I.))
MUD: rinvio a giugno 2012?
Regioni e comuni: proroga Mud al 30 giugno 2012?
Segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
Le difficoltà applicative vengono segnalate e recepite dalle Regioni.
Si indica nota delle regioni del 15 marzo 2012.
Materiali da riporto e terre: il punto
Materiali da riporto e terre e rocce: il punto
a cura di avvocato Cinzia Silvestri
Sono stati convertiti in Legge i decreti Legge 1 e 2 del 2012.
1) DL n. 1/2012 (Liberalizzazioni) è stato convertito in Legge n. 27/2012 e vigente dal 17.4.2012
2) DL n. 2/2012 (Ambiente) è stato convertito in Legge n. 28/2012 e vigente al 17.4.2012
Già si è evidenziato il legame tra i due decreti legge che dialogano e pongono legame tra
1) i materiali da riporto (DL. 2/2012 art. 3) e
2) le terre e rocce da scavo (art. 49 DL 1/2012).
art. 3 DL 2/2012 (materiali riporto) |
Art. 49 DL. 1/2012 (terre e rocce) |
2. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei. |
1-bis. Il decreto di cui al comma precedente, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, stabilisce le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. |
A dire il vero il legislatore sembra ricondurre terre e rocce da scavo (186) e materiali da riporto all’unico referente normativo dell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 (sottoprodotto); norma cardine e unica fonte sulla quale si innesta il Regolamento “futuro” che dovrebbe trovare vigenza nel giugno del 2012.
L’avvento del DM (Regolamento) espungerà dal Dlgs. 152/2006 l’articolata e vessata disciplina delle terre (art. 186); terre che ritrovano nella definizione delle “matrici da riporto” alcuni elementi ed assonanze (“riempimenti, rilevati…).
L’assetto futuro della disciplina troverà base nell’art. 184bis (sottoprodotto) e applicazione (condizioni) nel regolamento e nella disciplina delle matrici; disciplina non prevista nel Dlgs. 152/2006 (con articolo espresso come lo erano le terre) bensì nell’art. 49 della L. 28/2012 (DL 1/2012).
Materiali da riporto e terre e rocce da scavo sembrano dunque destinati ad essere qualificati come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 sulla base delle condizioni previste nel futuro Decreto.
Vero è che il legislatore ha scomodato l’art. 185 Dlgs. 152/2006 per i soli materiali da riporto fornendo “interpretazione autentica”.
I materiali da riporto dunque sono esclusi di per se’ ed in quanto equiparati al suolo dalla normativa sui rifiuti.
L’intento del legislatore è benevolo e accoglie la necessità di alleggerire la gestione, ad esempio, dei cantieri edili e dei materiali utilizzzati a fini edilizi.
Vero è che il legislatore non si è accontentato di inserire i “materiali da riporto” tra i sottoprodotti (art. 184 bis) ma è andato oltre, con forzatura, attribuendo diretta “esclusione” ai materiali da riporto della normativa sui rifiuti (dimenticando ratio e storia dell’art. 185 Dlgs. 152/2006).
In sintesi i materiali da riporto dovrebbero seguire la seguente disciplina:
1) materiali da riporto esclusi ex art. 184 bis Dlgs. 152/2006 se sottoprodotti fino alla emanazione del DM futuro
2) materiali da riporto esclusi ex art. 185 Dlgs. 152/2006 dalla normativa rifiuti alla emanazione del DM futuro
Raccolta e trasporto rifiuti
Raccolta e trasporto rifiuti: capacità finanziaria ridotta
Iscrizione cat. a 1 a 5 : Capacità finanziaria per le imprese esercenti attività di raccolta e trasporto dei rifiuti
Delibera Comitato Nazionale 14.3.2012 – ANGA
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Con deliberazione del 14 marzo 2012 prot. n. 405 il Comitato Nazionale dell’Albo gestori rifiuti ha provveduto all’adeguamento degli importi (fissati dalla precedente deliberazione n. 1 del 30 gennaio 2003) concernenti i requisiti di capacità finanziaria delle imprese che svolgono attività di ravvolta e trasporto dei rifiuti e rientranti nelle categorie da 1 a 5 (raccolta e trasporto di rifiuti urbani e assimilati, raccolta e trasporto di rifiuti speciali pericolosi, raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi).
La delibera precisa che il requisito della capacità finanziaria, ai fini dell’iscrizione all’Albo si intende soddisfatto con l’importo di 9.000 euro per il primo veicolo e di 5.000 euro per gli altri veicoli aggiuntivi.
La delibera sostituisce e riscrive l’art. 2 della delibera n. 1 del 30.1.2003.
Articolo 2 (Capacita finanziaria)
-
Il requisito di capacità finanziaria per l’iscrizione nelle categorie dalla 1 alla 5 si intende soddisfatto con un importo di euro 50.000 9.000 per il primo veicolo di euro 2.500 5.000 per ogni veicolo aggiuntivo. Tale requisito è dimostrato con le modalità di cui all’articolo 11, comma 2, del decreto 28 aprile 1998, n. 406, ovvero mediante l’attestazione di affidamento bancario rilasciata da imprese che esercitano attività bancaria secondo lo schema allegato sotto la lettera “F” autorizzate all’esercizio del credito o dell’intermediazione finanziaria con capitale sociale non inferiorre ad € due milioni e cinquecentomila secondo la schema allegato sotto la lettera A
-
( Per le imprese che utilizzano veicoli di massa massima fino a 6 tonnellate, ovvero con portata non superiore a 3,5 tonnellate il requisito di capacità finanziaria s’intende soddisfatto, con le modalità di cui al comma 1, con un importo di euro 25.000 per il primo veicolo di euro 2.500 per ogni veicolo aggiuntivo.)
3. Le imprese che hanno dimostrato il requisito di capacità finanziaria ai fini dell’iscrizione all’Albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l’autotrasporto di cose per conto di terzi di cui alla legge 6 giugno 1974, n. 298, e successive modifiche e integrazioni, comprovano il requisito di capacità finanziaria mediante attestazione dell’iscrizione a tale Albo.
______
Il requisito viene dimostrato attraverso attestazione di affidamento bancario che deve essere rilasciata da imprese autorizzate all’esercizio del credito o dell’ intermediazione bancaria che devono possedere comunque un capitale sociale superiore a 2.500.000 euro.
Lo schema dell’attestazione è riprodotto nell’Allegato A della delibera.
Infine viene specificato che le imprese che hanno già dimostrato di possedere il requisito di capacità finanziaria per l’iscrizione annuale all’Albo nazionale delle persone fisiche e giuridiche che effettuano autotrasporto di cose per conto terzi, comprovano il requisito di capacità finanziaria attestando di essere iscritte a tale Albo.
Per completezza d’informazione si allega il testo integrale del provvedimento.
DL n. 2/2012 e materiali da riporto
DL Ambiente 2/2012 (25.1.2012): conversione in Legge
Materiali da riporto: modifiche
a cura di avvocato Cinzia Silvestri
Si attende la conversione in Legge – e la imminente pubblicazione – dei Decreti Legge:
1) DL n. 1/2012 (Liberalizzazioni)
2) DL n. 2/2012 (Ambiente)
Già si è evidenziato che i due decreti legge dialogano e pongono legame tra i materiali da riporto (DL. 2/2012) e le terre e rocce da scavo (art. 49 DL 1/2012).
Ed invero il nuovo testo semplificato precisa che i materiali da riporto sono “materiali eterogenei, …utilizzati per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e statigrafiche al terreno in situ all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei.
Tali materiali però sono disciplinati “dal decreto di cui all’art. 49 del decreto – legge 24.1.2012 n. 1, “; decreto legge 1/2012 di cui si attende imminente pubblicazione e che rinviava a futuro Decreto (ipoteticamente da emanarsi entro maggio 2012) “ le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Decreto futuro che sancisce inoltre la definitiva abrogazione dell’art. 186 Dlgs. 152/2006.
Materiali da riporto e terre e rocce da scavo sembrano dunque destinati ad essere qualificati come sottoprodotti ai sensi dell’art. 184bis Dlgs. 152/2006 sulla base delle condizioni previste nel futuro Decreto.
Si indica di seguito tabella di raffronto delle modifiche intervenute in sede di conversione del DL 2/2012.
Poco rimane dell’art. 3 DL 2/2012 vigente.
Art. 3 DL 2/2012 vigente dal 25.1.2012 | Art. 3 DDL Senato 4999 | Testo approvato: conversione in Legge del DL 2/2012 |
Materiali di riporto | (Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti). | |
1. Considerata la necessita’ di favorire, nel rispetto dell’ambiente, la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese, ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si intendono come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del predetto decreto legislativo. |
1. Ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo. |
|
2. All’articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, dopo il primo periodo e’ aggiunto il seguente: «Con il medesimo decreto sono stabilite le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.». | “2. Ai fini dell’applicazione dei commi da 1 a 4, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei utilizzati in passato per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei, quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione e materiali terrosi”. |
2.Ai fini dell’applicazione del presente articolo , per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei, come disciplinati dal decreto di cui all’art. 49 del decreto – legge 24.1.2012 n. 1, utilizzati per la realizzazione diriempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e statigrafiche al terreno in situ all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei |
3. Nel caso in cui il decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, non sia emanato entro il termine di novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. |
Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2 del presente articolo, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. |
|
“4. All’articolo 240, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la parola: “suolo” sono inserite le seguenti: “, materiali di riporto”. |
Materiali da riporto, eco tossico…: approvata Legge.
Materiali da riporto, ecotossico H14 ……: e’ legge
DL n. 2/2012 ambiente: approvato il 21/3/2012
In attesa di pubblicazione
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL 25/1/2012 n. 2 recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale e’ stato approvato definitivamente (S.3111.B) il 21/3/2012 e non ancora pubblicato.
Di particolare interesse l’ art. 3 del DL già commentato su questo sito nella sua evoluzione e relativo alla interpretazione autentica dell’ art. 185 Dlgs. 152/2006 in materia di MATRICI/MATERIALI da riporto.
Di particolare rilevanza invece la disposizione che va a chiarire la problematica della identificazione del rifiuto pericoloso e affronta la questione “eco tossico H14”.
Studio legale ambiente offre la lettura del testo provvisorio con riserva di commento delle singole disposizioni in separata comunicazione.
MUD 2012 e SISTRI
MUD 2012 e SISTRI
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
A partire dal 20 marzo 2012, nella pagina http://mud.ecocerved.it/Home/Vfu sono stati, messi a disposizione delle imprese tutti gli strumenti che consentono di adempiere agli obblighi in materia di dichiarazioni ambientali 2012 (riassunti nella scheda allegato II).
Si richiama la scheda riepilogativa degli adempimenti MUD e SISTRI per il 2012
In particolare è disponibile:
- il software per la compilazione del Modello Unico di Dichiarazione Ambientale – Comunicazione veicoli fuori uso, con le modalità previste dal DPCM 23/12/2011;
- il software per la compilazione e la presentazione della Dichiarazione SISTRI con le modalità previste dalla Circolare del Ministero dell’Ambiente e della tutela del mare del 3 marzo 2011 (allegato I), che rimanda a quanto previsto dal DPCM 27/4/2010;
- istruzioni e modulistica cartacea per la presentazione della dichiarazione, estratte dal DPCM 27/4/2010.
È, inoltre, attivo il sito www.mudtelematico.it da utilizzare per la trasmissione telematica del MUD veicoli fuori uso e della Dichiarazione SISTRI.
Le applicazioni sopra elencate si aggiungono alle procedure per la compilazione e presentazione telematica della Comunicazione Rifiuti Urbani e assimilabili, e alla Comunicazione produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, già attive.
Circolare MUD
Allegato II: scheda riepilogativa adempimenti
Sistri: pagamenti 2012?
Sistri: Contributo Sistri 2012
Chiarimenti sul pagamento
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Il comma 3 dell’articolo 7 del Decreto 18 febbraio 2011, n. 52 (cd. Testo Unico Sistri), prevede che il contributo annuale debba essere riferito all’anno solare di competenza, indipendentemente dal periodo di effettiva fruizione del servizio, e versato entro il 30 aprile dell’anno al quale i contributi si riferiscono.
In assenza di ulteriori indicazioni al riguardo, pertanto, la scadenza del pagamento sarà, anche quest’anno, il prossimo 30 aprile.
La mancata operatività del sistema determinatasi nel corso del 2010 e del 2011, nonostante l’avvenuta iscrizione delle imprese, ha indotto le organizzazioni datoriali ad intraprendere un’azione politica nei confronti del Ministero dell’Ambiente al fine di introdurre nella normativa misure di conguaglio a favore degli operatori che si sono iscritti secondo i termini previsti.
In tale direzione è stata inoltrata una lettera al Ministro dell’Ambiente Clini (allegato I) con la quale è stata chiesta espressamente la soppressione del pagamento del contributo del Sistri per il 2012. La richiesta di un contributo, a fronte di una mancata operatività del sistema, continua infatti ad essere, per le imprese, motivo di preoccupazione e di malcontento.
Possiamo anticipare in proposito che dovrebbe essere allo studio una sospensione dei pagamenti e un’ulteriore proroga dell’operatività, ad oggi fissata dalla legge 14/2012 di conversione del Dl 216/2011 (cd. “Milleproroghe”) al 30 giugno 2012, per valutare una complessiva ristrutturazione del sistema di tracciabilità.
Riterremmo, quindi, consigliabile attendere gli sviluppi della questione fino all’ultimo giorno utile, prima di procedere al pagamento.
Lettera congiunta Ministro Clini
Tariffa Igiene Ambientale: Iva rimborsabile
Tariffa Igiene ambientale (TIA1) – Iva rimborsabile
La Cassazione del 9 marzo 2012 n. 3756 nega la natura di corrispettivo:
il tributo non è soggetto all’IVA (imposta sul valore aggiunto).
a cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Non capita spesso che il contribuente, che magari da anni evidenziava la illegittimità dell’iva, si veda accogliere le doglianze.
Il contribuente viene investito da strane sigle (TIA1, TIA2, TARSU, RES) che impongono pagamenti, ivati, non ivabili …. non si sa.
Di fatto il contribuente sa che ogni volta che chiede un “rimborso” deve affrontare un percorso ad ostacoli, difficile, punteggiato di strane e late missive di “rimpallo”, spuntano circolari, norme oscure, interpretazioni.. e chissà. Chiunque desiste .
Vero è che la sentenza della Cassazione legittima la richiesta di “rimborso dell’iva” (si ritiene con un pregresso di 10 anni).
Ghiotta occasione per tutti coloro che cercano un po’ di ristoro economico alle continue gabelle.
Si badi, tutto questo, con riferimento a “Tariffe” (tributi in realtà) destinate alla sostituzione con la R.E.S. (Tributo Comunale rifiuti e servizi) a partire dal 1.1.2013 (art. 14 DL 201/2011).
Ma la strada non può essere così semplice e già si attende qualche intervento legislativo (o governativo), qualche “circolare” che limiti o sopprima la richiesta di rimborso.
In ogni caso il rimborso impone molti distinguo:
Può essere richiesta solo se la tariffa è stata chiesta da Comuni (gestori del Servizio)
Bisogna capire se il Comune ha applicato la TIA2 (Tariffa INTEGRATA ambientale ex art. 238 Dlgs. 152/2006) o al TIA1 (Tariffa IGIENE Ambientale art. 49 Dlgs. 22/97).
Se ha applicato la TIA1 il rimborso può avvenire per le vie brevi.
Se ha applicato la TIA 2 bisogna fare attenzione; qualche intoppo potrebbe esserci (ma c’è speranza).
Non può essere chiesta ai Comuni che hanno applicato la TARSU (l’iva non è applicata).
La Cassazione, con la sentenza 3756 del 9 marzo 2012, sancendo la natura di tributo per la Tia1 (articolo 49, del decreto legislativo 22/97) ha, pertanto, negato che possa essere assoggettabile a Iva.
Scrive la Cassazione a conforto del contribuente: “la questione…. relativa alla… soggezione della Tia1 all’IVA va risolta in coerenza con la pacifica natura tributaria della medesima, con la mancanza di disposizioni legislative che …assoggettano a iva le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti e con l’irrilevanza di diverse prassi amministrative …. posto che la natura tributaria della tariffa va desunta dalla sua complessiva disciplina legislativa e non da dette eventuali distorte prassi…”
La sentenza capovolge, ad esempio, le conclusioni della Circolare 3/2010 (dipartimento delle politiche fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze), che aveva ravvisato una sorta di continuità tra Tia1 e Tia2 (articolo 238 del Dlgs 152/06) affermando che anche la Tia1 si sarebbe configurata come un’entrata patrimoniale (pagamento di un servizio) e, in quanto tale, assoggettabile a Iva.
A dire il vero questa ultima prassi rischia di provocare un ritorno negativo laddove la continuità asserita potrebbe e dovrebbe trasmettersi dalla Tia 1 alla TIA2… con conseguente rimborso anche della TIA2…. si vedrà.
Tuttavia la Cassazione ha ritenuto una forzatura logica il principio secondo cui la successione logico-giuridica di due entrate possa generare in automatico l’identità della loro natura. La sentenza ha, pertanto, rilevato che l’identificazione di un prelievo deve avvenire sulla base della complessiva disciplina legislativa e non esiste nessuna previsione che supporti la connotazione patrimoniale della tariffa e dunque l’applicabilità dell’IVA.
Tributo rifiuti (RES): modifiche
RES/TARES : Modifiche al Tributo comunale sui Rifiuti e sui servizi
DECRETO-LEGGE 2 marzo 2012 , n. 16 – Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Dario Giardi
Importante novità introdotta in materia di RES
Attività e certificazioni in materia catastale (Art. 6)
Il DL 6/2012 all’art. 6 comma 2 modifica il comma 9 dell’ art. 14 della L. 214/2011; articolo dedicato alla nuova tariffa comunale sui rifiuti e sui servizi.
Si rimanda anche ad altro articolo pubblicato su questo sito.
6.1 – Comma 2 – Modifiche alla disciplina del nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES)
La norma in esame modifica la disciplina del nuovo tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES). Tale tributo è corrisposto, per le unità immobiliari a destinazione ordinaria, sulla base dell’80% della superficie catastale, determinata secondo i criteri stabiliti dal D.P.R. 23 marzo 1998. n. 138.
La norma, attualmente vigente, prevede che – nel caso in cui manchino, negli atti catastali, gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale – gli intestatari catastali provvedano, a richiesta del comune, a presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del Territorio la planimetria catastale del relativo immobile, per l’eventuale conseguente modifica della consistenza di riferimento.
Ora, considerato che si possono verificare tempi lunghi per poter acquisire dai soggetti interessati – su richiesta del comune – le dichiarazioni di aggiornamento catastale, con la procedura DOCFA, che comprendono anche la planimetria catastale mancante, viene previsto che, in sede di prima applicazione, sia determinata dall’Agenzia del Territorio una superficie convenzionale derivata dagli elementi di consistenza in proprio possesso.
Inoltre – al fine di rendere disponibile ai comuni la superficie catastale sulla quale determinare la nuova imposta – si applicano le stesse modalità di determinazione di una superficie convenzionale, sempre in sede di prima applicazione, anche per le unità immobiliari a destinazione ordinaria alle quali è stata attribuita la rendita presunta.
Terre e rocce da scavo: DL 1/2012 approvato
Terre e rocce scavo: modifiche
DL n. 1/2012 approvato
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL 1/2012 vigente dal 25/1/2012 e’ stato approvato e si attende la imminente conversione in legge. Il Decreto contiene molte novità .
L ‘ art. 49 del DL 1/2012 ( liberalizzazioni) dialoga invero con l’ art. 13 del DL 2/2012 ( ambiente) in materia di “materiali da riporto”.
Il futuro Regolamento in materia di terre e rocce da scavo conterrà anche la disciplina su ” materiali da riporto.
Così il nuovo testo dell’ art. 49:
All’articolo 49:
al comma 1, le parole da: «da adottarsi» fino alla fine del comma sono soppresse;
dopo il comma 1 sono aggiunti i seguenti:
«1-bis. Il decreto di cui al comma precedente, da adottare entro ses- santa giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, stabilisce le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell’articolo 184-bis del de- creto legislativo n. 152 del 2006.
1-ter. All’articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, il primo periodo e` sostituito dal seguente: “Dalla data di en- trata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 49 del decreto- legge 24 gennaio 2012, n. 1, e` abrogato l’articolo 186”.
1-quater. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Materiali/matrici da riporto: modifiche in arrivo
(2) Materiali/matrici da riporto: modifiche DDL C. 4999
art. 3 DL 2/2012 – Vigente dal 26.1.2012
a cura di avvocato Cinzia Silvestri
Su questo sito è commentato il comma 2 dell’art. 3 DL. 2/2012, vigente. Si evidenziava la tortuosa tecnica legislativa a fronte della semplicità dell’intento, ovvero, sottrarre i materiali da riporto alla applicazione della normativa dei rifiuti laddove siano presenti alcuni requisiti.
Ebbene, proprio il comma 2 dell’art. 3 che modificava l’art. 39 del Dlgs. 205/2010 sembra espunto dalla legge di conversione del decreto.
Ed invero il DL 2/2012, vigente al 25.1.2012, è in corso di conversione ed il Senato, in data 24.2.2012, ha consegnato il testo ampiamente modificato alla Camera (DDL C. n. 4999).
Il DL vigente, composto di soli 3 articoli, ha subito cesure, modifiche ampliamenti di notevole spessore e molte sono le novità in arrivo.
E’ certo prematuro commentare ed anticipare i contenuti di un testo che potrebbe non trovare accordo ma le modifiche sul punto “matrici da riporto” sono interessanti e tracciano il cammino del legislatore che appare invero un po’ ….confuso.
Si consideri che il DL, oggi vigente, richiama l’art. 185 e l’art. 184bis TUA, comprende nel “suolo” le “matrici da riporto”, richiama l’intricato passaggio rifiuti/non rifiuti/sottoprodotti; non definisce le “matrici da riporto”, evoca l’allegato 2 della parte V senza altro precisare.
La legge di conversione contiene l’assoluta novità, ad esempio, di definire i “materiali di riporto”; richiama il Regolamento sulle terre e rocce da scavo; offre interpretazione autentica del legislatore e dunque pone valore normativo e retroattivo alla stessa.
Si indica di seguito tabella di raffronto delle possibili modifiche che interverranno in sede di conversione del DL 2/2012.
Poco rimane dell’art. 3 DL 2/2012 vigente.
Art. 3 DL 2/2012 vigente dal 25.1.2012 | Art. 3 DDL C. n. 4999 |
Materiali di riporto | (Interpretazione autentica dell’articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, disposizioni in materia di matrici materiali di riporto e ulteriori disposizioni in materia di rifiuti). |
1. Considerata la necessita’ di favorire, nel rispetto dell’ambiente, la ripresa del processo di infrastrutturazione del Paese,ferma restando la disciplina in materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al «suolo» contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, si intendono come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del predetto decreto legislativo. | 1. Ferma restando la disciplinain materia di bonifica dei suoli contaminati, i riferimenti al “suolo” contenuti all’articolo 185, commi 1, lettere b) e c), e 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,si interpretano come riferiti anche alle matrici materiali di riporto di cui all’allegato 2 alla parte IV del medesimo decreto legislativo. |
2. All’articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, dopo il primo periodo e’ aggiunto il seguente: «Con il medesimo decreto sono stabilite le condizioni alle quali le matrici materiali di riporto, di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere considerati sottoprodotti.». | “2. Ai fini dell’applicazione dei commi da 1 a 4, per matrici materiali di riporto si intendono i materiali eterogenei utilizzati in passato per la realizzazione di riempimenti e rilevati, non assimilabili per caratteristiche geologiche e stratigrafiche al terreno in situ, all’interno dei quali possono trovarsi materiali estranei, quali residui di lavorazioni industriali e residui in generale, come, a mero titolo esemplificativo, materiali di demolizione e materiali terrosi”. |
3. Nel caso in cui il decreto di cui all’articolo 49 del decreto-legge24 gennaio 2012, n. 1, non sia emanato entro il termine di novantagiorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le matrici materiali di riporto, eventualmente presenti nel suolo di cui all’articolo 185, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono considerate sottoprodotti qualora ricorrano le condizioni di cui all’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. | |
“4. All’articolo 240, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo la parola: “suolo” sono inserite le seguenti: “, materiali di riporto”. |
Trasporto rifiuti: modifiche DL n. 5/2012
Trasporto rifiuti – IMPRESE AGRICOLE
Il viaggio non è considerato trasporto ...se finalizzato a raggiungere luogo per deposito temporaneo (Art. 193 comma 9 bis Dlgs. 152/2006 e art. 28 DL n. 5/2012)
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL n. 5/2012 (semplificazioni) è all’esame della Camera ed in attesa di conversione.
L’art. 28 D.L. 5/2012 (vigente al 10.2.2012) modifica anche l’articolo 193 del D.Lgs. 152/06 inserendo il comma 9 bis.
AZIENDA AGRICOLA
Il Governo esclude l’applicazione degli adempimenti relativi al trasporto in presenza di presupposti, quali:
1) “La movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola”: il Governo sottolinea la unicità del gestore; il trasporto avviene tra fondi che appartengono alla medesima azienda. Il termine “appartenenza” non è giuridico e si presta a varia interpretazione. Vero è che il Governo subito di seguito si esprime precisando la “disponibilità giuridica”.
2) “ancorche’ effettuati percorrendo la pubblica via”: i fondi possono non essere contigui e necessitare, per il raggiungimento, di percorrere, ad esempio, la pubblica via;
3) “Non e’ considerata trasporto ai fini del presente decreto”: viene esclusa dunque la normativa e gli adempimenti relativi al trasporto della parte IV del decreto; e ciò previa verifica o meglio “ qualora risulti comprovato”:
a) “da elementi oggettivi ed univoci” : il riferimento apre le porte alla discrezionalità.
b) “finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo” : il deposito temporaneo ha subito modifica proprio con il DL 5/2012 al successivo comma 2 dell’art. 28 in favore delle imprese agricole (si rimanda alla pubblicazione in questo sito). Il deposito temporaneo dunque si estende a fattispecie prima non comprese sia sotto il profilo del “luogo” sia con riferimento ai “soggetti”. Il deposito temporaneo (art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 come riformato dall’art. 28 DL 5/2012) costituisce perno della intera disciplina. Il viaggio non è considerato trasporto solo e se finalizzato a raggiungere luogo per deposito temporaneo.
c) e la distanza fra i fondi non sia superiore a dieci chilometri: curiosa la precisazione e sfugge il criterio che ha prodotto tale affermazione.
COOPERATIVA AGRICOLA
ART. 183 e ART. 193 Dlgs. 152/2006
L’inciso finale dell’art. 193 comma 9bis deve essere letto in combinato disposto con le modifiche dell’art. 183 com. 1 lett. bb) (cfr. art. 28 DL 5/2012).
La modifica considera l’imprenditore agricolo socio di cooperativa agricola che
1) deposita (temporaneo) presso il sito che è nella disponibilità giuridica della cooperativa (socia) ; non necessariamene dunque il luogo di produzione.
2) trasporta presso il sito nella disponibilità giuridica della cooperativa (socia)
Si nota che il Governo apre il secondo capoverso dell’art. 28 Dl 5/2102 dedicato alla cooperativa agricola con l’inciso ”Non e’ altresi’ considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall’imprenditore agricolo …”.
Quasi a precisare ipotesi diversa da quella precedente e tale da poter escudere in questo caso che, ad esempio, i fondi debbano avere una vicinanza inferiore ai … 10 chilometri (?).
Sembra invero una fattispecie diversa da quella relativa alla azienda agricola.
Si nota, altresì, l’inciso relativo alla “disponibilità giuridica” che evoca la esistenza di un titolo (contratto, proprietà, affitto ecc…).
Di seguito le modifiche apportate dal DL 5/2012 art. 28 commi 1 e 2
Deposito temporaneoArt. 183 co. 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006DL 5/2012 art. 28 Vigente al 10.2.2012 |
Trasporto rifiutiArt. 193 co. 9bis Dlgs. 152/2006DL 5/2012 art. 28 Vigente al 10.2.2012 |
bb) “deposito temporaneo”: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti o, per gli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilita’ giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni: “….” |
9-bis. La movimentazione dei rifiuti tra fondi appartenenti alla medesima azienda agricola, ancorche’ effettuati percorrendo la pubblica via, non e’ considerata trasporto ai fini del presente decreto qualora risulti comprovato da elementi oggettivi ed univoci che sia finalizzata unicamente al raggiungimento del luogo di messa a dimora dei rifiuti in deposito temporaneo e la distanza fra i fondi non sia superiore a dieci chilometri.Non e’ altresi’ considerata trasporto la movimentazione dei rifiuti effettuata dall’imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile dai propri fondi al sito che sia nella disponibilita’ giuridica della cooperativa agricola di cui e’ socio, qualora sia finalizzata al raggiungimento del deposito temporaneo.». |
Schema: modifiche deposito temporaneo
Schema : modifiche al deposito temporaneo.
Tabella di raffronto art. 183 co. 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 fino al DL 5/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri e dott. Claudia Frascati
Di seguito si riporta schema delle modifiche intervenute all’art. 183 del Dlgs. 152/2006 dal Dlgs. 4/2008 ad oggi ( tralascia il testo dell’art. 183 vigente dal 29.4.2006 al 12.2.2008).
Deposito temporaneoDal 13.2.2008 FINO al 24.12.2010(Dlgs n. 4/2008) | Deposito temporaneoDAL 25.12.2012 Al 9.2.2012 (Dlgs. 205/2010) |
Deposito temporaneoDal 10.2.2012 (DL n. 5/2012) |
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Art. 183 comma 1 lettera m) | Art. 183 comma 1 lettera bb) | Art. 183 comma 1 lettera bb) | |
Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: | Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, alle seguenti condizioni: | Deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, o, per gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni: | |
1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantita’ superiore a 2,5 parti per milione (ppm), ne’ policlorobifenile e policlorotrifenili in quantita’ superiore a 25 parti per milione (ppm); | 1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al Regolamento (CE) 850/2004 e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l’imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; | ||
2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi. In ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l’anno e il quantitativo di rifiuti non pericolosi non superi i 20 metri cubi l’anno, il deposito non può avere durata superiore ad un anno; | 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuto pericolosi. In ogni caso, allorchè il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno,il deposito non può avere durata superiore ad un anno; | ||
3) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
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4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose;
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5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del MATTM, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo |
Deposito temporaneo: modifiche DL 5/2012
Deposito temporaneo – IMPRESE AGRICOLE
Art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 e art. 28 DL n. 5/2012
A cura di avv. Cinzia Silvestri
Il DL n. 5/2012 (semplificazioni) è all’esame della Camera ed in attesa di conversione.
L’art. 28 D.L. 5/2012 (vigente al 10.2.2012) modifica l’articolo 183 comma 1 lett. bb) del D.Lgs. 152/06 .
Gli imprenditori agricoli “creano” deposito temporaneo non solo nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti (limite presupposto della disciplina) bensì anche presso il sito che “sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola di cui gli stessi sono soci”.
Il deposito può avvenire non solo nel luogo dove è prodotto il rifiuto ma anche in sito (suggerisce il Governo) diverso.
L’articolo richiama la “disponibilità giuridica” del sito e ciò evoca il sito “di proprietà” o “in affitto” e altro; sito, certamente, destinato all’uso proprio della “cooperativa agricola”.
La cooperativa agricola a dire il vero sembra il soggetto giuridico a cui è destinata la norma, imponendo anche l’appartenenza alla stessa come soci.
La modifica ha certo l’intento di agevolare l’imprenditore agricolo che può considerare deposito temporaneo anche i rifiuti raccolti in sito di propria appartenenza.
Per riassumere:
Il deposito di rifiuti è definito temporaneo se consiste in:
– raggruppamento di rifiuti
– effettuato prima della raccolta
– nel luogo di produzione dei rifiuti
– nel sito nella disponibilità della cooperativa agricola
con rispetto delle condizioni indicate nell’art. 183:
– i rifiuti sono suddivisi per categorie omogenee;
– a scelta del produttore: deposito non superiore ai 3 mesi ovvero i 30 mc, di cui al massimo 10 mc di rifiuti pericolosi. In ogni caso non superiore a 1 anno.
– sono rispettate le norme in materia di imballaggio, etichettatura delle sostanze pericolose, nonché le norme specifiche dettate per peculiari caratteristiche di rifiuto
La modifica all’art. 183 comma 1 lett. bb) Dlgs. 152/2006 offre l’occasione per percorrere la storia delle modifiche normative intervenute in merito al deposito temporaneo.
Schema che si pubblica su questo sito con separato titolo.