FALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

FALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

fallimento e rifiutiFALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI

obbligo di rimozione – Consiglio di Stato n. 1883/2025

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Fallimento e Rimozione Rifiuti. Il Consiglio di Stato ritorna sulla questione dell’obbligo della curatela fallimentare in merito alla rimozione dei rifiuti e riepiloga  i principi che sorreggono l’obbligo per la curatela di intervenire a rimuovere i rifiuti. La sentenza è interessante e permette un primo focus sul momento in cui il fallimento apprende, acquisisce e diviene detentore dei beni del fallito. Nel caso in esame invero la curatela rinunciava alla liquidazione di alcuni beni e sosteneva che tale rinuncia esentava la curatela anche dagli obblighi “pubblici” di rimozione dei rifiuti ordinati dalla pubblica amministrazione con ordinanza contingibile ed urgente.

Il Consiglio di Stato precisa il momento di acquisizione della detenzione, precisa l’ambito giuridico della rinuncia alla liquidazione, rinnova l’obbligo di rimozione dei rifiuti in capo alla curatela.

Scrive il CdS: “…Ad avviso della parte appellante, la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere applicabili, alla fattispecie in esame, i principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021, non considerando che la Curatela fallimentare non avrebbe mai avuto la materiale disponibilità dei terreni di che trattasi in ragione della rinuncia effettuata ai sensi e per gli effetti dell’art. 104, ter comma 8, della Legge fallimentare, secondo cui “ Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”.

Secondo il Collegio invero “…la detenzione dei beni del fallito è acquisita ipso iure dalla Curatela fallimentare al momento della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell’art. 133 co. 1 c.p.c…”.

Il Fallimento invece sostiene che la rinuncia della curatela alla liquidazione del bene esime da ogni responsabilità.

Rileva il Collegio che “siffatta “rinuncia”, anzitutto, postula, sul piano logico-giuridico, la previa disponibilità del bene in ragione proprio della sua inclusione nella massa fallimentare sin dall’apertura della procedura concorsuale, non essendo, all’evidenza, possibile rinunciare a qualcosa di cui non si abbia anche la previa disponibilità giuridica…Pertanto, la rinuncia in esame,..ha per oggetto non l’acquisizione ma la liquidazione del bene, posto che, diversamente opinando, l’ordinanza sarebbe nulla per inesistenza dell’oggetto, in ragione dell’impossibilità di rinunciare a qualcosa di cui non si abbia la disponibilità.

Precisa il Collegio: ” Esiste, infatti, una sostanziale differenza tra la rinuncia ad acquisire beni pervenuti al fallito in corso di procedura (art. 42 co. 2 e co. 3 L.F.) e l’autorizzazione a non acquisire all’attivo o a rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente (art. 104 ter, comma 8 bis, L.F.), poiché mentre nel primo caso l’inclusione alla massa fallimentare è rimessa alla decisione del Curatore in quanto presupponente il compimento di un precipuo atto negoziale che, se omesso in ragione dell’anti-economicità dell’operazione sul piano delle prospettive di liquidazione, preclude il perfezionamento dell’acquisto, nel secondo caso, invece, è automatica, in quanto dipendente da un fatto giuridico in senso stretto, ossia la titolarità del bene già acquisita dal fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, potendo il Curatore in questi casi soltanto decidere se includere o meno il bene nel programma di liquidazione.

La curatela dunque non si spoglia del bene e delle relative responsabilità anche in caso di obbligo di rimozione di rifiuti in proprietà della fallita.

Dunque, continua il Consiglio: “…Al ricorrere di tale ultima fattispecie, il bene continua a rimanere nella disponibilità giuridica della Curatela fallimentare, in quanto componente del patrimonio della società fallita e, come tale, anche foriero di responsabilità per eventuali danni a terzi ai sensi dell’art. 2051 c.c. La dichiarazione di fallimento, infatti, non realizza un fenomeno di tipo successorio, privando, soltanto, la società fallita della legittimazione a disporre dei propri beni, al fine di salvaguardare le ragioni dei suoi creditori secondo le regole concorsuali previste dalla legge. L’effetto, in pratica, è il medesimo di un pignoramento omnibus, ossia di un pignoramento di tutti i beni del debitore.

Il che, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, implica la configurabilità di un persistente obbligo di vigilanza sul bene non sottoposto alle attività di liquidazione per la tutela dei creditori fallimentari, onde evitare la possibile insinuazione al passivo di creditori sopravvenuti.

… poiché il fondo inquinato apparteneva alla società fallita, la Curatela ne è divenuta detentrice ipso iure…..Deve, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, trovare conferma il principio di diritto, formulato dalla citata decisione del CGARS, secondo cui la scelta della Curatela di non procedere alle attività di liquidazione di un bene non equivale ad un atto di abbandono del bene stesso, non potendo produrre l’effetto di estrometterlo dalla sfera giuridica del debitore che ne sia titolare….

Cinzia SilvestriFALLIMENTO E RIMOZIONE RIFIUTI
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A.I.A.: Titolare e ..Gestore

A.I.A.: Titolare e ..Gestore

A.I.A: titolare e ...gestore?A.I.A.: Titolare e …Gestore
Gestore e titolare della A.I.A. – Cass. pen. 9614/2014
a cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 La Cassazione penale n. 9614/2014 affronta il problema della responsabilità tra titolare della AIA e gestore effettivo dell’impianto (trattamento rifiuti). Accade spesso che il titolare della A.I.A. non sia l’effettivo gestore dell’impianto. La decisione è ancora attuale e individua il centro di imputazione delle responsabilità, salvi i dovuti distinguo.

Il CASO –A.I.A.: Titolare e …Gestore

Il caso trattato dalla Corte si riferisce alla violazione dell’art. 29 quattuordecies comma 2 Dlgs. 152/2006, violazioni di prescrizioni dell’autorizzazione, previgente al Dlgs. 46/2014 e dunque tale violazione configurava ancora il reato, la contravvenzione (oggi depenalizzato).
Il caso trattato dalla Cassazione vede una società consortile ed il presidente del CDA intestatari e titolari dell’AIA; società consortile che poi attribuiva la gestione ad altra società a mezzo di una concessione (contratto pubblico).Tuttavia si segnala le responsabilità tra gestore effettivo e titolare dell’autorizzazione non è netto e di facile individuazione. E’ necessario entrare nei singoli rapporti contrattuali .

La sentenza della Corte riporta in capo al titolare dell’AIA ogni  responsabilità.

RESPONSABILITA’ TITOLARE A.I.A.

A fronte della contestazione penale al titolare dell’AIA ovvero al suo presidente (società Consortile) l’imputato si difendeva ritenendo che la responsabilità doveva essere attribuita alla società di gestione il cui contratto di concessione trasferiva totalmente ogni responsabilità. 

La Cassazione ricorda  i diversi sistemi di imputazione di responsabilità in sede ambientale e precisa il motivo per il quale  il titolare della AIA è ritenuto il responsabile.

Brevemente:

La responsabilità del titolare dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) si definisce come l’obbligo di assicurare che tutte le prescrizioni imposte dall’autorizzazione siano rispettate. ​ Questo include la verifica e il controllo continuo delle attività svolte nell’impianto, anche se la gestione operativa è affidata a un’altra entità. ​

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che il titolare dell’AIA, ovvero l’azienda consortile rappresentata dall’imputato, è responsabile per l’osservanza delle prescrizioni ambientali. ​ Questo significa che il titolare deve garantire che le condizioni dell’autorizzazione siano rispettate, indipendentemente dal fatto che la gestione operativa sia stata concessa a un’altra società. ​ La responsabilità non può essere delegata completamente al gestore dell’impianto. ​

Nel contesto della sentenza, la differenza tra titolare e gestore dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) è la seguente:

  • Titolare dell’AIA: È l’entità che ha ottenuto l’autorizzazione integrata ambientale. ​ In questo caso, l’azienda consortile di cui l’imputato è il presidente del consiglio di amministrazione. Il titolare è responsabile di assicurare che tutte le prescrizioni imposte dall’autorizzazione siano rispettate, indipendentemente da chi effettivamente gestisce l’impianto. ​
  • Gestore dell’impianto: È l’entità che effettivamente svolge le operazioni di gestione dell’impianto, come la realizzazione, la gestione operativa e la manutenzione. ​ Nel caso specifico, la gestione operativa dell’impianto è stata affidata in concessione a un’altra società. ​

La Corte ha stabilito che, nonostante la gestione operativa sia stata affidata a un’altra società, il titolare dell’AIA (l’azienda consortile) rimane responsabile per l’osservanza delle prescrizioni ambientali. ​

Scrive la Cassazione:

“…Come correttamente osservato dal Tribunale, la presenza in atti di un contratto di concessione, che affidava al concessionario gli oneri relativi alla realizzazione e alla gestione dell’ impianto e le relative responsabilità e riservava all’azienda consortile di cui l’ imputato è legale rappresentante il controllo sulla fase di costruzione e gestione, non vale ad escludere la responsabilità dell’ imputato stesso. Non deve dimenticarsi, infatti, che il soggetto titolare dell’autorizzazione ambientale era proprio l’azienda consortile, che era dunque tenuta a verificare l’osservanza di t u t t e le prescrizioni imposte nell’autorizzazione medesima….”

 

adminA.I.A.: Titolare e ..Gestore
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RIPRISTINO AMBIENTE?

RIPRISTINO AMBIENTE?

recupero energeticoRIPRISTINO AMBIENTE?

Cosa significa Ripristinare l’Ambiente?

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


Non è chiaro a tutti il significato dell’ordine di ripristinare l’ambiente tanto più se indicato in una sentenza penale. Quando si subisce la condanna al ripristino dell’ambiente sorge sempre un moto di sorpresa a carico dell’imputato che magari non aveva concordato la pena su questo punto (ritenendo di poterlo concordare). 

Ripristinare significa riportare alle condizioni originarie il sito e può assumere infinite modalità a seconda del luogo inquinato (non solo luoghi). La sentenza in commento sembra anche dire che il ripristino richiede una valutazione sul danno precisando che questa valutazione di danno è solo riferita alle misure ripristinatorie non al reato di riferimento che rimane , ad esempio nel caso trattato di “traffico illecito di rifiuti” sempre un reato di pericolo.

Il Giudice penale invero può ordinare in sede di condanna o di patteggiamento anche il ripristino dello stato dell’ambiente. Tale ordine è spesso confuso con la pena accessoria mentre è a tutti gli effetti una sanzione amministrativa che può essere ordinata d’ufficio in quanto consegue alla commissione del reato. Il reato di traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies comma 4 c.p.) ad esempio prevede proprio questo tipo di sanzione che è dunque sottratta alle regole che disciplinano le pene accessorie.

Vediamo i punti interessanti della sentenza penale della Cassazione che conferma, in parte, la sentenza della Corte di appello di Venezia.

La Sentenza della Corte di appello di Venezia con sentenza del 19/04/2021 n. 39511, ha applicato  la pena concordata per il reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p., ordinando il ripristino dello stato dell’ambiente. ​

  1. Ricorso per cassazione: Gli imputati hanno presentato ricorso per cassazione, contestando l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente, sostenendo che la Corte di appello aveva erroneamente applicato tale sanzione senza giustificare i parametri che ne giustificano l’adozione. Le parti avevano concordato la pena del patteggiamento e la Corte di appello aveva poi ordinato il “ripristino dello stato dell’ambiente” quale elemento nuovo rispetto alla condanna di primo grado. Gli imputati trattano la condanna al ripristino dello stato dell’ambiente come se fosse una pena accessoria, contestando la riformatio in peius ecc…. 
  2. Decisione della Corte di Cassazione: La Corte di Cassazione ha ritenuto parzialmente fondato il ricorso, specificando che l’ordine di ripristino dello stato dell’ambiente è una sanzione amministrativa accessoria che consegue ex lege al reato di cui all’art. ​ 452-quaterdecies c.p. ​: in materia di ambiente e territorio, viene conferito al giudice il potere di emanare un ordine finalizzato alla eliminazione delle conseguenze dell’ illecito, si ha l’attribuzione di funzioni speciali aventi carattere amministrativo, sebbene esercitate in sede di giurisdizionale. La sanzione dunque può essere ingiunta anche in secondo grado e a prescindere dalla pena concordata.
  3. Necessità di specifica motivazione: La Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione della misura sanzionatoria del ripristino dello stato dell’ambiente richiede una specifica motivazione in ordine alla verificazione effettiva del danno o del pericolo per l’ambiente : ” Ne consegue che perchè possa trovare applicazione l’ordine di ripristino dell’ambiente occorre l’accertamento delle conseguenze dannose o pericolose della condotta illecita, non potendo presumersi l’esistenza di danno o pericolo per l’ambiente solamente per effetto ed in conseguenza della consumazione del reato.
  4. Annullamento con rinvio: La sentenza impugnata è stata rinviata a Giudice di appello per precisare la motivazione del ripristino dell’ambiente sotto il profilo del “danno”.
Cinzia SilvestriRIPRISTINO AMBIENTE?
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Amministratori senza deleghe: responsabilità

Amministratori senza deleghe: responsabilità

fonti rinnovabiliAmministratori senza deleghe: responsabilità

Cass. civ. n. 15054/2024

segnalazione a cura StudioLegaleAmbiente – Cinzia Silvestri


La sentenza della Corte di Cass. 15054/2024 riflette sul ruolo degli amministratori senza delega, ovvero amministratori che non hanno potere diretto di gestione in quanto conferito ad altri. La Cassazione affronta un problema legato al fallimento di una società e alla responsabilità da attribuire agli amministratori per il danno causato dal fallimento ai creditori. Secondo la Corte anche gli amministratori privi di deleghe sono responsabili per non aver preso le misure adeguate nel momento in cui sono venuti a conoscenza dell’insolvenza e delle problematiche economiche attraversate dalla Società. Gli amministratori  hanno sempre l’obbligo di verificare nel corso della gestione che il capitale sociale sia mantenuto integro nel valore. Gli amministratori senza deleghe non sono coinvolti per l’omissione di un generico dovere di vigilanza (sarebbe responsabilità oggettiva) ma rispondono nella misura in cui erano a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non si sono attivati ma anche dei fatti dei quali avrebbero dovuto acquisire conoscenza con la dovuta diligenza.

Scrive la Corte: 3.4 Le conclusioni del Collegio sono in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale gli amministratori di società di capitali (i quali non abbiano operato) non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva ma rispondono delle conseguenze dannose della condotta di altri amministratori, che hanno operato, soltanto qualora siano a conoscenza di necessari dati di fatto tali da sollecitare il loro intervento, ovvero abbiano omesso di attivarsi per procurarsi gli elementi necessari ad agire informati. Ne deriva che gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito fatti pregiudizievoli dei quali abbiano acquisito in positivo conoscenza ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’ultimo comma dell’ articolo 2381 c.c. (cfr. Cass. 17441/2016).

 

 

Cinzia SilvestriAmministratori senza deleghe: responsabilità
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Reato – subentro posizione altrui

Reato – subentro posizione altrui

3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento. 3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784). 3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). 3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero.Reato  – Subentro posizione altrui.

Cass. Pen. n. 30929/2024

 Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Reato ambientale  – subentro nella posizione altrui. Responsabilità diretta.

La sentenza consente di riflettere sul fatto che subentrare nella gestione di rifiuti altrui, già gravata da condotta di reato, non solleva da responsabilità colui che subentra. Colui che subentra è responsabile, pur non essendo l’originario autore del reato, in quanto assume la gestione diretta, contrattualmente.

Nel caso di reato di gestione illecita rifiuti (art. 256 Dlgs. 152/2006) il perdurare della fattispecie illecita, continua anche nel caso in cui, nel corso del piano di smaltimento iniziato dall’azienda responsabile del deposito, avvenga la cessione ad altro soggetto. Colui che subentra rimane obbligato allo smaltimento e assume responsabilità diretta e la gestione de rifiuti.

In sintesi, il legale rappresentante della Società subentrata, che si era impegnata allo smaltimento, ​veniva ritenuto responsabile di aver lasciato in deposito incontrollato i rifiuti presso l’impianto aggravando la situazione preesistente, non adempiendo all’obbligo di smaltimento assunto al momento dell’acquisto del ramo di azienda dalla precedente Società.

In particolare:

La permanenza del reato di deposito incontrollato di rifiuti termina quando l’autore del reato perde la signoria sui rifiuti,

  • sia per effetto di un atto autoritativo (es. sequestro)
  • sia perché l’autore cessa la propria carica in virtù della quale esercitava tale dominio.

Colui che subentra contrattualmente nella gestione di rifiuti già presenti e ne assume la gestione diretta, risponde del reato di deposito incontrollato di rifiuti qualora ometta di smaltirli, lasciandoli in uno stato di deposito incontrollato. Questa responsabilità non può essere qualificata come ………

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Cinzia SilvestriReato – subentro posizione altrui
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RIFIUTI TESSILI – SOTTOPRODOTTI?

RIFIUTI TESSILI – SOTTOPRODOTTI?

 3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento. 3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall'art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 (Sez. 3, n. 5504 del 12/01/2016, Lazzarini, Rv. 265839), di deposito temporaneo di rifiuti (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo, Rv. 264121), di terre e rocce da scavo (Sez. 3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336), di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali (Sez. 3, n. 3943 del 17/12/2014, Aloisio, Rv. 262159), di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali (Sez. 3, n. 3202 del 02/10/2014, Giaccari, Rv. 262129; Sez. 3, n. 41836 del 30/09/2008, Castellano, Rv. 241504), di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall'art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee (Sez. 3, n. 6107 del 17/01/2014, Minghini, Rv. 258860), di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali (Sez. 3, n. 35138 del 18/06/2009, Bastone, Rv. 244784). 3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). 3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero.RIFIUTI TESSILI – Sottoprodotti?

Cass. pen. 35000/2024 – Esclusione

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Interessante sentenza che chiarisce la destinatzione dei rifiuti tessili ed esclude che possano essere trattati come sottoprodotti (art. 184 bis Dlgs. 152/2006) o EOW – cessazione qualifica rifiuto /art. 184 ter Dlgs. 152/2006.

Percorsi diversi.

La sentenza, negli ultimi punti, chiarisce la differenza ed il significato delle 2 categorie giuridiche (sottoprodotto e EOW) e soprattutto sottilinea la necessità della prova: se l’imputato ritiene di indicare il tessuto come sottoprodotto deve darne prova in giudizio.

Si riporta estratto della sentenza che chiarisce il percorso logico/giuridico:

“3.17. La deduzione difensiva che il rifiuto tessile sia invece da considerare sempre e comunque “materia prima tessile secondaria” (ed in quanto tale non rifiuto) non ha alcun fondamento.
3.18. Ed infatti, delle due l’una: o si tratta di sottoprodotti, ai sensi dell’art. 184 bis d.lgs. n. 152 del 2006 o di cosa (indumenti usati) di cui il detentore si è disfatto e che ha successivamente cessato di essere rifiuto ai sensi del successivo art. 184 ter; in entrambi i casi necessitano requisiti e condizioni di fatto che devono essere volta per volta dimostrati da chi predica la natura di “non rifiuto” del bene. Va al riguardo ribadito il principio costantemente affermato dalla Corte di cassazione secondo il quale l’onere della prova relativa alla sussistenza delle condizioni di liceità dell’utilizzo del rifiuto o che escludono la natura di rifiuto ricade su colui che ne invoca l’applicazione. Varie ne sono state le declinazioni in tema, per esempio, di attività di raggruppamento ed incenerimento di residui vegetali previste dall’art. 182, comma sesto bis, primo e secondo periodo, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 .. di deposito temporaneo di rifiuti …, di terre e rocce da scavo (… di interramento in sito della posidonia e delle meduse spiaggiate presenti sulla battigia per via di mareggiate o di altre cause naturali … di qualificazione come sottoprodotto di sostanze e materiali …., di deroga al regime autorizzatorio ordinario per gli impianti di smaltimento e di recupero, previsto dall’art. 258 comma 15 del D.Lgs. 152 del 2006 relativamente agli impianti mobili che eseguono la sola riduzione volumetrica e la separazione delle frazioni estranee …., di riutilizzo di materiali provenienti da demolizioni stradali ….
3.19. Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b).
3.20. Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. – Ministero dell’Ambiente – 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8, operazioni i cui esiti vengono dati come scontati dai ricorrenti ma la cui sussistenza costituisce, come detto, lo scopo del mezzo istruttorio adottato dal Pubblico ministero…”

Cinzia SilvestriRIFIUTI TESSILI – SOTTOPRODOTTI?
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Rifiuti: Abbandono o deposito?

Rifiuti: Abbandono o deposito?

Rifiuti: Abbandono o Deposito?

Risponde la Cassazione Pen. n. 30929/2024

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 

La Cassazione chiarisce la differenza tra abbandono dei rifiuti e deposito in ogni sua forma (temporaneo, incontrollato ecc..)  . Palestra di esercizio è l’art. 256 comma 2 Dlgs. 152/2006 che, afferma la sentenza ” ….punisce allo stesso modo l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti…”.

Continua la sentenza : “…Pur equivalenti ai fini della pena, le due condotte sono però diversissime e alternative tra loro..”

Si riassume in parte quanto precisato in sentenza:

ABBANDONO

  1. … l’abbandono, si esaurisce in un gesto isolato che produce res derelictae”;
  2. l’abbandono comporta l’uscita definitiva della cosa dal dominio finalistico dell’autore della condotta
  3. Abbandonare, invece, significa “lasciare definitivamente e per sempre” un luogo, una cosa, una persona, oppure “smettere di fare o di occuparsi di una cosa, ritirarsi da un’ impresa o dal luogo della competizione” –
  4. l’abbandono non ha dominio sulla cosa
    DEPOSITO
  5.  il deposito, evoca comunque il persistente dominio sulle cose e ne esclude l’abbandono (che è cosa diversa dallo “stato di abbandono” che costituisce una delle possibili manifestazioni esteriori del deposito incontrollato).
  6. deposito, invece, comunque lo si definisca (temporaneo, irregolare, controllato, incontrollato), reca in sé i segni dell’altrui dominio sulla cosa tant’è vero che il legislatore ne coglie il tratto finalistico quando lo considera legittimo solo se (e perché) finalizzato alla raccolta (purché nella costanza delle condizioni di cui all’art. 185-bis D.Lgs. n. 152 del 2006).
  7. Secondo l’ italiano corrente, il verbo “depositare” significa “affidare, lasciare in deposito”, laddove il sostantivo “deposito” indica l’atto con cui si “depone un oggetto in un luogo o lo si affida a una persona, perché venga custodito e riconsegnato a un’eventuale richiesta o allo scadere di un termine prefisso”, o “il luogo dove vengono custodite le cose depositate o comunque di proprietà altrui o quello nel quale sono raccolte cose omogenee, e le cose stesse che vi sono raccolte”.
  8. Il deposito può essere effettuato con un solo atto o con più condotte (nel senso che il deposito può avere natura eventualmente abituale, ..) ma quel che rileva è che il “deposito” reca in sé i segni del persistente dominio sulla cosa che manca del tutto nell’abbandono (..).

 


Cinzia SilvestriRifiuti: Abbandono o deposito?
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Rifiuti: abbandono pubblica via

Rifiuti: abbandono pubblica via

Rifiuti: abbandono pubblica via

Trib. Palermo n. 770/2024

Assoluzione, il fatto non sussiste

Segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Rifiuti e abbandono sulla pubblica via. Cassette di plastica, cartone, legno, grossi sacchi neri derivanti dall’attività commerciale (attività ortofrutta) venivano abbandonati sul suolo, nella pubblica via, da alcuni soggetti, vicino ai cassonetti.

Il fatto veniva ripreso da telecamere.

L’impresa riconosceva dalle immagini il proprio autocarro ma ignorava tale “smaltimento” in quanto era solita servirsi di una ditta che conferiva al centro comunale di raccolta.

La sentenza del Tribunale ragiona sull’applicabilità dell’art. 256 Dlgs. 152/2006 che attribuisce illiceità alla condotta sopra descritta.

È vero che per configurare il reato di cui all’art. 256 Dlgs. 152/2006 è sufficiente anche una sola condotta “ma a patto che questa costituisca una “attività” e dunque non sia meramente occasionale..”.

Quando una condotta può essere ritenuta occasionale?

Il Tribunale collega la occasionalità alla comprensione del significato di “reato comune o proprio” e di conseguenza alla dimensione delle attività di gestione.

L’art. 256 comma 1 Dlgs. 152/2006 riferisce le condotte a “chiunque” effettua le attività elencate (smaltimento, trasporto ec…) ed evoca il reato “comune” ovvero che può essere commesso appunto da chiunque. Si contrappone il comma 2 dell’art. 256 che indica invece un reato proprio ovvero che può essere commesso solo da soggetti con specifica qualifica come “i titolari di imprese” e i responsabili di enti”.

Questa classica ripartizione è amata dalla giurisprudenza che spesso e volentieri non ha indagato sulla reale portata ...continua lettura articolo commento sentenza Trib Palermo 770.2024

Cinzia SilvestriRifiuti: abbandono pubblica via
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Sindaco…sempre responsabile?

Sindaco…sempre responsabile?

SINDACO: SEMPRE RESPONSABILE?

Sindaco e Dirigenti: responsabilità

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza della cassazione penale  n. 1451/2024 affronta il tema della responsabilità del Sindaco in merito  allo scarico  di reflui dal depuratore gestito dal Comune. La sentenza affronta diversi temi interessanti articolando anche la distinzione tra responsabilità del Sindaco e quella dei dirigenti. 

Nel caso tratto dalla sentenza, il Sindaco è stato ritenuto responsabile anche per fatti precedenti alla sua nomina. Responsabile non solo per i dati fattuali risultanti dalla istruttoria ma anche per il ruolo di vertice dell’azione amministrativa e politica del Comune; attività di controllo e vigilanza che non  si attenua a fronte delle competenze e attribuzioni della dirigenza. 

Sono ambiti diversi in cui l’uno finisce dove comincia l’altro. Non è semplice cogliere esattamente il limite ma questa sentenza cesella e ricorda  proprio questi ambiti di responsabilità

Vi lascio alla lettura dell’articolo breve in commento Nota a sent. 1451-2024

Cinzia SilvestriSindaco…sempre responsabile?
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SOTTOPRODOTTI e ONERE DELLA PROVA

SOTTOPRODOTTI e ONERE DELLA PROVA

SOTTOPRODOTTI e ONERE DELLA PROVA

Cass. pen. n. 47690/2023 – scarti di origine animale

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La riproduzione di tale articolo in testi o altri siti deve riportare il nominativo dell’autore avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente e del sito www.studiolegaleambiente.it.

Scarti di origine animale. Sottoprodotti e onere della prova. Il reato contestato alla Società coinvolta è l’art. 256 comma 1 lettera a) d.lgs. 152/2006 relativo alla gestione illecita di rifiuti ovvero di scarti animali.

La difesa della società assume che la qualifica di sottoprodotto e dunque la esclusione dall’applicazione della normativa rifiuti, discende proprio dalla indicazione dell’art. 185 lett. b) che esclude espressamente dalla normativa rifiuti gli scarti di origine animale, eccetto quelli destinati all’incenerimento, allo smaltimento in discarica o all’utilizzo di un impianto di produzione di biogas o di compostaggio.

La questione da risolvere è formale e sostanziale. La difesa pare sostenere che la esclusione dal novero dei rifiuti da parte dell’art. 185 lett. a) sia da solo sufficiente alla esclusione . La Corte la pensa diversamente in quanto ritiene che la natura di sottoprodotto degli scarti di origine animale deve essere comunque provata da chi sostiene tale natura. Non basta la indicazione normativa di esclusione che peraltro è condizionata dalla verifica di altri elementi in quanto  il sottoprodotto (non rifiuto) esiste solo in quanto esistono determinati requisiti ben indicati dall’art .184 bis d.lgs. 152/2006 e DM 264/2016.

La Cassazione offre spunto per riassumere e chiarire il concetto di sottoprodotto. 

Precisa la Corte che ” poiché la disciplina dei sottoprodotti è derogatoria rispetto a quella generale in tema di rifiuti, la qualificazione di un residuo come sottoprodotto, anziché rifiuto, in caso di dubbio, deve essere provata da colui che detto sottoprodotto ha lavorato o smaltito. In altre parole, ogniqualvolta non sia rispettato il processo normativo che può individuare la categoria del sottoprodotto, esso deve essere considerato quale rifiuto.”.

Il tema affrontato è quello degli scarti animali ma l’assunto relativo all’onere della prova riguarda tutti i residui di produzione che vengono classificati come sottoprodotti.

Precisa la Corte: “la qualificazione o meno del rifiuto (peraltro presunta) discende …dal comportamento del detentore…Il sottoprodotto nasce ..con la certezza di essere riutilizzato…”

La Corte riassume e richiama la rete normativa di riferimento entro la quale deve snodarsi il pensiero giuridico: Il Regolamento 1069/2009/CE; il d.lgs. 152/2006 art. 184 bis; 185 lett. a) d.lgs. 152/2006; DM 264/2016…

Leggi sentenza 47690/2023 Cass. penale sottoprodotto e onere prova

Cinzia SilvestriSOTTOPRODOTTI e ONERE DELLA PROVA
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ARIA: Limiti emissivi e DEROGHE

ARIA: Limiti emissivi e DEROGHE

LIMITI EMISSIVI E DEROGHE

Corte Giustizia UE n. 375/2021 (9.3.2023)

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


L’articolo riassume la relazione tenuta da Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri in data 24.5.2023 in occasione del Convegno, con date al 10,17,24,30 maggio 2023, organizzato da ISPRA, RSE, UNICHIM, ACCREDIA, sulle EMISSIONI.

La domanda di pronuncia pregiudiziale risolta dalla Corte di Giustizia in commento, è punto di partenza per sviluppare riflessione sulle novità che verranno introdotte con le modifiche alla Direttiva sulle emissioni Industriali 2010/75/UE.

Si consideri invero che le norme sulla qualità dell’aria (Direttiva 2008/50/CE) sono state recepite dal Dlgs. 155/2010. L’art. 15 par. 4 della Direttiva 2010/75 è stato inserito nel Codice ambientale all’art. 29 co. 9-bis e l’art. 18, trasferitonell’art. 29 septies (Dlgs. 152/2006).

La lettura della sentenza della Corte Giustizia permette dunque di “interpretare” le norme oggi vigenti anche nel nostro codice ambientale, e anticipa, di fatto, le prossime modifiche alla Direttiva 2010/75/UE.

E’ nota infatti la proposta di modifica della Direttiva 2010/75/UE di cui conosciamo il nuovo testo nella versione della Commissione 5.4.2022: proposta che ha modificato proprio ed anche gli articoli richiamati, e che conforta l’interpretazione resa dalla Corte di Giustizia, in commento.

Il Caso – La sentenza Corte Giustizia UE n. 375/2021

Il caso riguarda i presupposti che permettono ..continua lettura articolo art. 15 Direttiva 2010.7

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Cinzia SilvestriARIA: Limiti emissivi e DEROGHE
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RUMORE: POTERI SINDACO

RUMORE: POTERI SINDACO

RUMORE: POTERI SINDACO

TAR EMILIA ROMAGNA N. 159/2023

A cura di Cinzia Silvestri– Studio Legale Ambiente


Il TAR Emilia Romagna affronta questione consolidata ma ancora oggetto di interpretazione.

Il potere di ordinanza ai sensi della L. 447/95 art. 9 è del Sindaco, non del dirigente.

La sentenza ricorda che:

  • Il potere di ordinanza ex art. 9 L. 447/95 non va confuso con il diverso potere di ordinanza contingibile ed urgente in materia di sanità e igiene pubblica
  • Il potere di ordinanza ex art. 9 L. 447/95 costituisce potere ordinario di intervento ai fini della tutela della pubblica salute
  • L’ordinanza emessa dal “dirigente” è dunque illegittima con caducazione di tutti gli atti anche istruttori eseguiti (arpae ecc…).
  • Il difetto di competenza del dirigente comporta che si versa nella situazione in cui il “…potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non essendogli consentito dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus, secondo una regola valevole anche nelle ipotesi in cui il vizio di incompetenza attenga a relazioni …

In particolare, recita il TAR: CONTINUA LETTURA ARTICOLO: RUMORE: POTERI SINDACO

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Cinzia SilvestriRUMORE: POTERI SINDACO
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Combustibile Solido Secondario: ragioni di utilizzo

Combustibile Solido Secondario: ragioni di utilizzo

Combustibile Solido Secondario: ragioni di utilizzo

CSS – AIA – TAR UMBRIA – 2023

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – 17.1.2023

Combustibile Solido Secondario: ragioni di utilizzo

Il Comune di Gubbio chiedeva al TAR Umbria l’annullamento della DD Regionale che aggiornava le condizioni e prescrizioni dell’AIA rilasciata in favore di una Società.

La Società chiedeva alla Regione invero la modifica NON sostanziale “ relativa all’utilizzo di CSS – Combustibile (CSS-C) conforme ai requisiti di cui all’articolo 13 del decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 22 del 2013,in parziale sostituzione dei combustibili di origine fossile utilizzati nella produzione del clinker fino ad un valore massimo di 50.000 tonnellate/anno, da realizzare in conformità al progetto costituito dagli elaborati richiamati nell’Allegato A”,

La questione si pone nell’ambito della utilità di sostituire i combustibili di origine fossile (carbone, petrolio e gas naturale) utilizzati per la produzione dei clinker ovvero di uno dei componenti base per la produzione di cemento.

Viene richiamato l’art. 13 del DM 22/2013 la cui lettura rinvia alla articolata connessione con altre norme del testo che giungono tutte all’art. 184-ter Dlgs. 152/2006 ovvero alla disciplina della “cessazione della qualifica di rifiuto” (art. 4 DM 22/2013).

E’ utile precisare che... continua lettura articolo Tar Umbria CSS 

Per leggere  la sentenza chiedi la password all’indirizzo mail info@studiolegaleambiente.it

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Rifiuti sottoterra… che fare?

Rifiuti sottoterra… che fare?

Ordinanza rimozione rifiuti ex art. 192 D.lgs. 152/2006

Difetto d’istruttoria – TAR Lombardia Brescia n. 435/2021

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri 


Il TAR Lombardia Brescia n. 435/2021 precisa l’importanza della “istruttoria” che accompagna l’individuazione del responsabile di abbandono dei rifiuti e i presupposti per emettere ordinanza ex art. 192 D.lgs. 152/2006.

Nel caso esaminato, il Comune ordinava la rimozione di rifiuti rinvenuti sul sito di proprietà di società subentrate, ipso iure,  a una nota azienda di gestione rifiuti. Venivano rinvenuti nel terreno, nel sottosuolo, sacchi neri marcati dalla società gestrice del servizio negli anni ’60 e ’70.

Le censure alle ordinanze ex art. 192 Dlgs. 152/2006 emesse dal Comune sono molteplici ma il TAR si sofferma sulla mancanza di “istruttoria” utile a individuare, con una certa certezza, l’effettivo responsabile.

Il TAR precisa infatti che …continua lettura “rimozione rifiuti e istruttoria”….

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Rimozione rifiuti e responsabilità per la consegna delle chiavi….

Rimozione rifiuti e responsabilità per la consegna delle chiavi….

Ordinanza rimozione rifiuti ex art. 192 Dlgs. 152/2006

Consegna delle chiavi: rilevanza/TAR Lombardia Brescia n. 390/2021

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Il TAR Lombardia Brescia n. 390/2021 affronta caso che pone in luce la verifica della colpevolezza anche in capo al proprietario dell’immobile incolpevole che viene però raggiunto da una ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti ex art. 192 Dlgs. 152/2006. La consegna delle chiavi al locatario, ad esempio, può costituire, per certa giurisprudenza, un elemento da indagare per accertare l’effettiva responsabilità in concorso del locatore. La questione, il punto di riflessione, si pone anche nel caso di vendita dell’immobile, anche se non portato a definizione.

Accade spesso, nella pratica, che il venditore anticipi la consegna delle chiavi prima della vendita effettiva; accade, altrettanto spesso, che le chiavi vengano consegnate dalla agenzia immobiliare senza notiziare il proprietario. E’ questo il caso trattato dalla sentenza TAR Lombardia-Brescia n. 390/2021 … continua lettura articolo “rimozione rifiuti e consegna delle chiavi ….”

Cinzia SilvestriRimozione rifiuti e responsabilità per la consegna delle chiavi….
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Violazione norma antinfortunistiche – prova

Violazione norma antinfortunistiche – prova

Violazione norme antinfortunistiche – onere della prova

Cassazione civ. sez. lav. n. 7085/2022 

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


  1. Violazione norme antinfortunistiche – onere della prova. Il caso

Il lavoratore lamentava malattie derivanti da mansioni usuranti dovute a carenze nell’applicazione di norme antinfortunistiche, mancanza di formazione da parte del datore di lavoro e altro. Il Tribunale e la Corte di appello ritenevano che il lavoratore non aveva provato nel corso del processo, la violazione delle norme, le mancanze del datore di lavoro.

La Cassazione, interviene, e precisa l’onere della prova con riferimento alla violazione dell’art. 2087 c.c. (responsabilità contrattuale) e all’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale).

2. Onere della prova

La Cassazione precisa che l’onere che ricade sul lavoratore attiene alla prova della esistenza del danno e al nesso causale con l’attività lavorativa. L’onere che ricade sul datore di lavoro è quello di aver adottato tutte le misure infortunistiche:

..12. Il richiamato passaggio argomentativo in punto dei criteri di ripartizione della prova è frutto di un errore di diritto del giudice di appello in quanto prescinde dai principi, pur correttamente evocati in sentenza, in tema di distribuzione dell’onere della prova, finendo con il porre a carico del lavoratore la dimostrazione della violazione da parte del datore di lavoro di specifiche misure antinfortunistiche – anche innominate- laddove il lavoratore era tenuto solo a dimostrare il nesso di causalità tra le mansioni espletate e la nocività dell’ambiente di lavoro restando a carico del datore di lavoro la prova di avere adottato tutte le misure (anche quelle cd. innominate) esigibili in concreto.

13. .. infatti l’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro – di natura contrattuale – va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno

Cinzia SilvestriViolazione norma antinfortunistiche – prova
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Bonifica e responsabilità: il concetto di più probabile che non..

Bonifica e responsabilità: il concetto di più probabile che non..

Bonifica e responsabilità: il concetto di “più probabile che non”.
Alla ricerca del “colpevole”
TAR Lombardia Brescia n. 766/2018
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Bonifica e responsabilità: il concetto di “più probabile che non”.

E’ interessante il percorso del TAR nell’individuare la responsabilità del proprietario che crede di essere incolpevole ma in realtà non lo è.
La questione attiene all’onere di bonifica in capo da una Società non solo sul proprio terreno di proprietà e dunque sul sito in cui svolgeva la propria attività industriale ma anche lungo le “sponde del Mincio” ossia in zona perimetrale e limitrofa al sito ed esterna. La Società si oppone a questa residuale bonifica adducendo di non esserne responsabile e portando in giudizio elementi che pongono dubbio sulla riconoscibilità dell’evento alla sua attività.
Il TAR espone il lungo decalogo che conferma la responsabilità solo di colui che ha inquinato (chi inquina paga) e conclude però che la Società è la “responsabile” anche dell’inquinamento dell’area limitrofa (non di sua proprietà) applicando il principio civilistico del “più probabile che non” . Secondo il TAR gli elementi di causa riconducevano la responsabilità alla Società con alta probabilità. Continua il TAR adducendo che la prova a discarico– ovvero che l’inquinamento dell’area esterna non era riferibile alla società bensì ad altri soggetti – era a carico della società, tenuta anche ad indicare nome e cognomedella terza inquinatrice. Il TAR dunque impone l’onere  alla amministrazione di ricercare il  “colpevole”, a carico della Società stessa .
In particolare: continua lettura articolo TAR 766 – Bonifica e responsabilità: il concetto di “più probabile che non”. 

adminBonifica e responsabilità: il concetto di più probabile che non..
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SOCIETA’ PARTECIPATE  o IN HOUSE – RESPONSABILITA’

SOCIETA’ PARTECIPATE  o IN HOUSE – RESPONSABILITA’

SOCIETA’ PARTECIPATE  o IN HOUSE – RESPONSABILITA’

Quando si configura il danno “erariale”?

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – 5.11.2022


SOCIETA’ PARTECIPATE  o IN HOUSE – RESPONSABILITA’

La Cassazione civile conferma la distinzione tra società partecipate pubbliche e società in house providing.

L’analisi prende spunto dalla difficoltà di individuare la giurisdizione tra il giudice ordinario e il giudice contabile nell’ambito di responsabilità contabile di amministratori della società.

Il caso riguarda una società in Ambito Territoriale ottimale (ATO) per la gestione del Servizio Idrico integrato di una Regione, che aveva adito la Corte dei Conti per azione di responsabilità erariale di alcuni amministratori.

La Corte dei Conti dichiara il proprio difetto di giurisdizione contabile ritenendo che la Società non era qualificabile quale società in house mancando il requisito del “controllo analogo”.

Scrive la Cassazione: A proposito, allora, del controllo analogo, “quel che rileva è che l’ente pubblico partecipante abbia statutariamente il potere di dettare le linee strategiche e le scelte operative della società in house, i cui organi amministrativi vengono pertanto a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica. L’espressione “controllo” non allude perciò, in questo caso, all’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino al punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (si vedano, in tal senso, le chiare indicazioni di Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n.1, e della conforme giurisprudenza amministrativa che ne è seguita)”. …

Continua la lettura dell’articolo che è protetto da pw . Chiedi la pw per la apertura del file a info@studiolegaleambiente.it

Cinzia SilvestriSOCIETA’ PARTECIPATE  o IN HOUSE – RESPONSABILITA’
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A.I.A. – modifica sostanziale

A.I.A. – modifica sostanziale

A.I.A. – MODIFICA SOSTANZIALE – discarica

osservazioni alla sentenza della Corte di Giustizia UE – 2.6.2022

a cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Corte di Giustizia affronta caso che occupa la repubblica Ceca ma che coinvolge l’interpretazione dell’art. 3 paragrafo 9 della Direttiva 2010/75/UE sulla definizione di “modifica sostanziale” con riflessi anche nel nostro ordinamento.

Sommario. 1) il caso; 2) il processo; 3) modifica sostanziale; 4) sulla questione pregiudiziale; 5) le condizioni; 6) la prima condizione; 7) installazione o impianto; 8) durata d’uso; seconda condizione; 10) conclusioni

1) Il caso

Una società che gestisce una discarica nel distretto di Praga aveva chiesto, e ottenuto più volte, l’autorizzazione a prorogare il periodo di messa in discarica. La Società chiedeva, all’autorità competente, ulteriore proroga, del periodo, che veniva concessa per altri 2 anni (al 2017).

Ebbene. Un’associazione per la tutela dell’ambiente impugnava tale decisione avanti al Ministero dell’Ambiente (Ceco) che respingeva la decisione per il motivo che i ricorrenti non erano parti del procedimento di modifica dell’autorizzazione integrata.

L’associazione deferiva, dunque, la decisione di rigetto alle autorità competenti che annullavano, motivando che la proroga dell’autorizzazione alla messa in discarica era una «modifica sostanziale», e dunque la legge Ceca sulla prevenzione integrata, dava diritto alla partecipazione del pubblico conformemente alla direttiva 2010/75.

La sentenza della Corte municipale di Praga veniva dunque impugnata dinanzi al Corte suprema amministrativa, ossia il giudice del rinvio.

In questa prima fase dunque la qualificazione di “modifica sostanziale” rileva nella misura in cui  permette la partecipazione pubblica al procedimento, come sancito proprio dalla Direttiva 2010/75/UE.

2) Il processo

La Corte, investita della questione, analizzava la nozione di “modifica sostanziale” e rilevava diversi orientamenti che portavano a conclusioni diverse.

Una prima valutazione portava a escludere che il prolungamento della discarica potesse integrare una modifica sostanziale: “..il solo prolungamento di due anni del periodo di messa in discarica, non implicando lavori o interventi modificativi della situazione fisica del luogo, non può essere qualificato come «modifica sostanziale» ai sensi della legge sulla prevenzione integrata Ceca…”.

Il prolungamento dell’autorizzazione non avrebbe modificato né le dimensioni della discarica né la sua capacità totale di stoccaggio di rifiuti. Anzi, sarebbe proprio per sfruttare appieno la capacità autorizzata che la Società avrebbe presentato una domanda di proroga del periodo di messa in discarica. Infine, se la proroga dell’autorizzazione dovesse avere effetti sull’ambiente, non si tratterebbe comunque, .. di una «modifica sostanziale» ..”.

Di contro, la Corte evidenziava anche elementi che potevano invece far considerare la proroga della discarica una modifica sostanziale: “..Sebbene, …. continua lettura dell’articolo – AIA corte UE (chiedi pword per continuare la lettura a info@studiolegaleambiente.it)

Cinzia SilvestriA.I.A. – modifica sostanziale
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A.I.A. – rinnovo – emissioni odorigene.

A.I.A. – rinnovo – emissioni odorigene.

A.I.A. – rinnovo – limiti ed emissioni odorigene.

Consiglio di Stato n. 2344/2022 

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Premessa:

Il Consiglio di Stato affronta questione che trae occasione dalla richiesta di rinnovo dell’A.I.A. da parte di una Società.

La sentenza chiarisce alcuni punti e precisa il potere/dovere della pubblica amministrazione, la valenza dell’istruttoria in seno al procedimento nonché il tema che coinvolge le “emissioni odorigene” (pur concludendo per l’irrilevanza della questione per la soluzione del caso concreto).

Il caso. 

Una Società aveva ottenuto, in A.I.A., di fissare il limite di scarico per le aldeidi (60 mg/l) in deroga a quello di legge fissato in 2mg/l. Per anni la Società aveva scaricato, tale parametro, in misura superiore ai limiti fissati; scarico che confluiva poi nel depuratore destinato.

Nel corso degli anni però alcuni cittadini segnalavano odori molesti e l’amministrazione (Provincia) assieme alla Società si adoperava in molteplici incontri finalizzati a interventi utili ad arginare il problema.

La Società, nelle more di questi incontri, presentava istanza di rinnovo dell’A.I.A. chiedendo la conferma del limite in deroga di 60mg/l anziché del limite di legge 2mg/l. La Provincia rinnovava l’A.I.A. senza concedere però la deroga, anche a fronte delle lamentate emissioni odorigene, che parevano originare proprio dal parametro aldeide.

La Società impugnava il provvedimento di rinnovo, in punto di negata deroga ai limiti di legge del parametro aldeidi, per plurimi motivi. Il TAR adito disponeva dunque “verificazione” finalizzata ad accertare l’origine delle emissioni odorigene.Il verificatore – Arpa, precisava e confermava l’origine emissiva e la quantità indicando il superamento del 5% e dunque emissione da ritenere significativa e riconducibile alla produzione della Società:

– “…gli episodi di disturbo segnalati durante i periodi di produzione di Bis-MPA, hanno avuto un’incidenza superiore al 5% e, pertanto, sono da ritenersi significativi. Invece, durante i periodi di sospensione della produzione, non sono stati registrati episodi di disturbo;

– la percezione di odorosità dell’aria risulta significativamente influenzata nelle aree di osservazione del solo Comune di Marnate, con esclusivo riferimento al metodo di valutazione previsto dalla D.G.R. 3018/2012;

– i campionamenti istantanei olfattometrici presso il pozzetto di scarico di P. e nel locale di grigliatura del refluo in ingresso all’impianto di depurazione di Olgiate Olona evidenziano una m3 variazione di circa un ordine di grandezza tra la concentrazione di odore espressa in ouE/ presente durante i periodi di sospensione della produzione e quella rilevata durante i periodi di produzione del Bis-MPA …”.

Il TAR respingeva il ricorso, con plurime motivazioni e la Società appellava avanti al Consiglio di Stato.Il Consiglio di Stato disponeva, a sua volta, una verificazione integrativa, sempre con ARPA, a fronte di alcune incongruenze rilevate dall’appellante.

Il Consiglio di Stato argomenta su alcuni punti interessanti.

1) Odori. Il contenzioso avanti al TAR aveva la finalità di confermare il provvedimento di rinnovo A.I.A., privo della deroga sul parametro aldeidi (motivato dalle emissioni odorigene lamentate). Si assisteva alla verifica Arpa, ente pubblico, che utilizza le linee guida Lombardia del 2012, quale metodo di misura, ma anche campionamenti istantanei olfatto-metrici di riscontro.La sentenza non cita eventuali limiti odorigeni indicati nell’A.I.A. (limiti nell’aria, nelle acque ecc.), come poteva utilmente essere, ma solo indicatori di misurazione rinvenibili nella tecnica di campionamento odorigena e nelle linee guida citate. La sentenza non cita l’art. 272-bis del D.Lgs. n. 152/2006 forse perché non applicabile al caso concreto, che pare precedente alla novella del 2017. In ogni caso, in punto di emissioni odorigene è utile ricordare l’evoluzione normativa di questi ultimi anni[1]. Per inciso si ricorda che, dopo l’introduzione dell’art. 272-bis D.Lgs. n. 152/2006 (nel 2017), la Corte Cost. n. 178/2019 ha chiarito alcuni dubbi applicativi e cesellato il limite del potere Regionale che, ad esempio, non può disciplinare le emissioni odorigene in A.I.A. (ex art. 267 comma 3 D.lgs. 152/2006).

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Cinzia SilvestriA.I.A. – rinnovo – emissioni odorigene.
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Comune e potere di controllo – responsabilità

Comune e potere di controllo – responsabilità

Comune e potere di controllo – responsabilità

Cassazione civ. ord. n. 10188/2022

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La decisione della Cassazione consente di estendere la responsabilità ex art. 2051 c.c. (cose in custodia) del Comune a tutti i beni sui quali il Comune esercita un effettivo potere di controllo a prescindere dalla proprietà. Principio che può essere applicato anche in materia ambientale.

Il Caso

Il caso vede il Comune condannato al risarcimento del danno subito da veicolo che, lungo la strada Provinciale, urtava contro un ostacolo posto al centro della carreggiata. Il Comune si difendeva ritenendo non essere il soggetto responsabile ed indicando la provincia quale proprietaria del tratto stradale. Il Giudice di pace e poi il Tribunale in appello invece riconoscevano la responsabilità del Comune in quanto titolare di un potere di controllo sul suo territorio.

La decisione.

La Cassazione avvalla e riconosce tale potere di controllo e tuttavia rimanda al Tribunale per verificare la esistenza stessa di tale potere . In particolare la cassazione afferma:

“Il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art.2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può anche essere esclusiva (Cass. 30775/2017). Ebbene nel caso di specie il giudice d’Appello ha mal applicato tali principi perché non ha verificato se effettivamente il Comune, che non era il proprietario della strada, aveva realmente il potere di esercitare un qualsivoglia controllo o di eliminare le situazioni di pericolo che siano in sorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa…”

Cass. civ. ord. n. 10188.2022

Cinzia SilvestriComune e potere di controllo – responsabilità
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V.I.A. e opzione zero – impatto ambientale

V.I.A. e opzione zero – impatto ambientale

Opzione zero e V.I.A. – impatto ambientale

Consiglio di Stato n. 2062/2022

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri – 10.4.2022


L’art. 22 comma 3 lett. d) Dlgs. 152/2006 come riformato dalla novella del 2017 (Dlgs. 104/2017) indica che lo studio d’impatto ambientale deve contenere

  1. d) una descrizione delle alternative ragionevoli prese in esame dal proponente, adeguate al progetto ed alle sue caratteristiche specifiche, compresa l’alternativa zero, con indicazione delle ragioni principali alla base dell’opzione scelta, prendendo in considerazione gli impatti ambientali;

Si consideri che fino al 2017 la richiesta di indicare l’opzione zero era indicata nell’art. 21 comma 2 lett. b) Dlgs. 152/2006; norma alla quale fa riferimento anche la sentenza del Consiglio di Stato.

  1. L’autorita’ competente all’esito delle attivita’ di  cui  al comma 1: a) si pronuncia sulle condizioni per l’elaborazione del  progetto e dello studio di impatto ambientale;…      b) esamina  le  principali  alternative,  compresa  l’alternativa zero;

L’alternativa zero (opzione zero) costituisce passaggio importante nella valutazione di impatto ambientale dell’opera che deve essere presa in considerazione dalla amministrazione, fosse solo per rigettarla.

Il Consiglio di Stato n. 2062.2022 affronta il problema dell’alternativa zero nel caso del progetto di ampliamento dell’aeroporto di cagliari.

Utile anche la lettura del T.A.R.-Veneto-Venezia-08.03.2012-n.-333 che si occupa invece dell’impatto zero di un progetto di discarica.

Continua la lettura dell’articolo cliccando qui sopra – lettura utile alla riflessione sull’importanza di questo elemento nello studio di impatto da presentare alla amministrazione ma anche l’importanza per il richiedente di precisare bene l’elemento negativo dell’impatto.

V.I.A. e opzione zero – valutazione – impatto ambientale – consiglio stato 2062/2022 – Studio Legale Ambiente Cinzia Silvestri

Cinzia SilvestriV.I.A. e opzione zero – impatto ambientale
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Rifiuti: deposito incontrollato

Rifiuti: deposito incontrollato

Deposito incontrollato. Gestione rifiuti o discarica?

Cassazione penale n. 8088/2022

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La Cassazione affronta la distinzione tra deposito incontrollato riferito alle differenti operazioni di gestione del rifiuto o di abbandono del stesso. Le due operazioni, devono essere accertate in corso di causa e condizionano anche il computo del termine di prescrizione processuale che per le contravvenzioni (art. 256 d.lgs. 152/2006), all’epoca dei fatti, è di 5 anni.

Leggi articolo 33 deposito incontrollato

Cinzia SilvestriRifiuti: deposito incontrollato
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Immobile che presenta vizi da inquinamento: cosa fare?

Immobile che presenta vizi da inquinamento: cosa fare?

Vizi dell’immobile: inquinamento – cosa fare?

Posso sospendere il pagamento dei canoni locatizi?

segnalazione a cura Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Tribunali di merito a confronto. Si tratta di capire quali sono le azioni esperibili per coloro che si trovano nel possesso di un immobile (appartamento, negozio o altro) che risulta viziato da una forma di inquinamento, ad esempio amianto sul tetto, cromo sulle pareti. Posso sospendere il pagamento dei canoni locatizi? Posso risolvere il contratto di acquisto?

Emerge che solo il vizio idoneo ad incidere sulla salubrità dell’ambiente, concretamente pericoloso per la salute umana, è idoneo a permettere  le azioni anche contrattuali di risoluzione…continua lettura articolo vizi e inquinamento

 

Cinzia SilvestriImmobile che presenta vizi da inquinamento: cosa fare?
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