Rifiuti e appalti: Responsabilità

Rifiuti e Appalti: Responsabilità
Cass. penale n. 13025/2014 – reato associativo e art. 260 Dlgs. 152/2006

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


La sentenza  precisa il rapporto tra appaltatore e appaltante nella gestione dei rifiuti. In particolare:

 Il caso ed il reato contestato art. 260 Dlgs. 152/2006


La sentenza offre precisa individuazione del reato di traffico illecito di rifiuti organizzato in concorso tra società appaltante e appaltatrice.
L’indagato (società appaltatrice) era stato “….gravemente indiziato di essersi associato con altri, allo scopo di commettere delitti concernenti il traffico illecito organizzato di rifiuti speciali, anche pericolosi, mediante una serie indeterminata di trasporti e sversamenti,   ….continua la lettura dell’articolo  Rifiuti e appalti
 

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Sicurezza: il datore di lavoro non risponde se….

Sicurezza: Il datore di lavoro non risponde se…
Tribunale Bari Sezione Lavoro n. 175/2014

Segnalazione a cura di  Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri 


Il ricorrente faceva valere la responsabilità del datore di lavoro per la patologia riscontrata alla schiena (“spondiliosi con discopatia L5-S1”), assumendo “…che la lesione dell’integrità fisica sia eziologicamente collegata alla prestazione lavorativa resa ed all’inosservanza, da parte del datore di lavoro, di tutte le misure necessarie affinché l’attività lavorativa non pregiudichi la salute del lavoratore….”

Il Tribunale ha però respinto la domanda del lavoratore  (continua lettura  Sicurezza TRib Bari 175.2014)

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Terre e Rocce e normativa Regionale

Terre e Rocce e normativa Regionale: Corte Cost. n. 70 del 2.4.2014

Illegittimità costituzionale Legge Provincia Trento
A cura di Cinzia Silvestri– Studio Legale Ambiente


La Corte Costituzionale si pronuncia su antica questione ovvero sul limite della legislazione Regionale  rispetto alla competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale.

La Corte richiama la sentenza della Corte n. 249/2009 che già aveva affermato il carattere “trasversale” della competenza statale in materia dell’ambiente e dell’ecosistema”.
Nel caso in esame il contrasto sorge in merito alla disciplina delle Terre e rocce da scavo da piccoli  cantieri, oggi … (continua lettura articolo TerreRocce Corte Cost. 70.2014

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Sicurezza: Dirigente senza budget

Sicurezza: “Dirigente” senza budget
Cassazione penale n. 6370/2014

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri 


 

La Corte di Cassazione, con sentenza 6370 dell’11 febbraio 2014, ha chiarito la posizione del soggetto che, sebbene qualificato come dirigente, non abbia poteri decisionali e di spesa ovvero di budget o fondi finanziari ai quali attingere, in relazione alle responsabilità scaturenti dalla sua posizione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.. Tali soggetti pur avendo la qualifica di dirigente e occupando posizione di vertice non sono equiparabili al datore di lavoro e dunque non sono imputabili le relative responsabilità continua lettura articolo Dirigente senza budget

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Dlgs. 231/2001: differenza tra concussione e Induzione indebita

Dlgs. 231/2001 – Concussione e Induzione indebita
 Quale differenza tra i due reati? Risponde la Cassazione penale Sez. Unite 12224/2014
 A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


I reati di concussione e induzione indebita sono sanzionati dal Dlgs. 231/2001 con particolare gravità (da 300 quote a 800 e sanzioni interdittive) (vedi anche articolo su questo sito)
Tali reati possono essere utilmente commessi anche in materia ambientale attesa la trasversalità degli istituti tant’è che il Piano Nazionale Anticorruzione prevede l’estensione o comunque la considerazione di questi reati anche in tutti i settori (Ambiente, Sicurezza ecc..).
Di fatto l’introduzione del reato di Induzione amplia il novero dei comportamenti perseguibili in quanto coglie l’aspetto psicologico della induzione facilmente riscontrabile nella nostra quotidianità e forse meno percepibile come reato nella coscienza di molti. (continua lettura dlel’articolo concussione e induzione..)

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Sicurezza: Amministratore condominio e appalti

Sicurezza: Amministratore condominio e appalti
Cassazione penale n. 42347/2013 – Art. 26 Dlgs. 81/2008
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri 


 
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 42347 del 15 ottobre 2013, ha chiarito la posizione dell’amministratore di condominio riferita agli obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione (artt. 26 e 55 D. Lgs. 81/2008)
In particolare ha chiarito se l’amministratore di condominio, in caso di appalto, rivesta la qualifica di datore di lavoro e se, in ipotesi negativa, ricopra comunque una posizione di garanzia che gli impone di assicurare la sicurezza del lavoro.
La Cassazione rinvia …. (continua lettura Sicurezza amministratore condominio….

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Acque di dilavamento e industriali: non sono assimilabili

Acque di dilavamento e industriali: non sono assimilabili
Cass. pen. Sez III 2867/2014  

A cura di Cinzia Silvestri– Studio Legale Ambiente


 

Il caso:
Sul piazzale asfaltato di uno stabilimento veniva stoccato del materiale (poltiglia, frammenti di carta, fanghiglia.. ). Le acque piovane (meteoriche di dilavamento) trascinavano i materiali stoccati trasformandosi in acque meteoriche contaminate, mescolandosi alle acque piovane e scaricando sul suolo a mezzo dei tombini.
 Ebbene secondo la sentenza poi impugnata …. (continua lettura articolo Acque dilavamento e industriali…)

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Sfalci e potature: combustione

Sfalci e potature: Combustione
Cassazione penale n. 16474/2013
a cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


 
La Cassazione penale ha affrontato un caso che si presenta oggi di particolare attualità, alla luce del nuovo reato di combustione illecita dei rifiuti (art. 256bis Dlgs. 152/2006).
La sentenza applica l’art. 185 Dlgs. 152/2006 come riformato nel 2010 (Dlgs. 205/2010): norma peraltro più favorevole per il reo e conseguente applicazione dell’art. 2 c.p. .. e la Cassazione  assolve l’imputato.
Continua a leggere l’articolo …256 sfalci potature

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Consorzi Imballaggi e Statuto: sospeso DM 26.4.2013

Consorzi Imballaggi e Statuto: TAR Lazio Ord. n. 89/2014 sospende  il DM 26.4.2013
segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente 


Con DM 26.4.2013 il Ministero Ambiente provvedeva ad imporre ai Consorzi (gestione imballaggi) ex art. 223 Dlgs. 152/2006 la “formulazione” di nuovo Statuto.
Alcuni consorziati impugnavano il DM avanti al TAR Lazio evidenziando, tra le tante censure, che le disposizioni ivi contenute erano lesive della autonomia privata ; nonchè contrarie al dettato legislativo ex art. 223 Dlgs. 152/2006.
Il TAR Lazio riconosce le ragioni dei consorziati, seppur ancora in via cautelare, e sospende il DM 26.4.2013.
TAR Lazio
DM 26.4.2013
 

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Prestanome e gestore di fatto: quali responsabilità ambientali?

Amministratore società/prestanome e gestore di fatto: quali responsabilità ?
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 
La sentenza n. 47110/2013 Cassazione penale richiama principi applicabili anche in tema di responsabilità per reati ambientali[1].
La vicenda considera il caso, non raro, in cui un soggetto assume formalmente la carica di amministratore della società quale mero prestanome.
 Il Tribunale in primo grado assolve il prestanome in quanto risultava provato che .. fosse estraneo alla vita economica dell’impresa societaria, gestita a sua insaputa…”
2. Il Procuratore Generale della Repubblica ricorre censurando la decisione per violazione dell’art. 40 cpv c.p. e art. 2392 c.c.
La corte di cassazione accoglie la tesi della Procura ed afferma che il gestore di fatto è imputabile in concorso con il prestanome (amministratore di diritto) il quale abbia concretamente concorso nel reato.
Il prestanome, pur essendo escluso dalla effettiva gestione della società, è ritenuto responsabile a titolo di dolo eventuale laddove si provi in concreto che lo stesso era a conoscenza dei reati perpetrati e non si sia attivato per impedire l’evento.
Rileva in particolare che l’amministratore di diritto, (prestanome) quale legale rappresentante della società ..è formalmente titolare di una posizione di garanzia, per cui risponde a titolo responsabilità omissiva in ordine alle violazioni della legge (nel caso di specie tributaria)  avendo l’obbligo di impedire l’evento, anche se esiste, come nel caso di specie, un amministratore di fatto, il quale concorre nel reato. “Secondo il PG ricorrente, allorchè l’amministratore di diritto (prestanome), disinteressandosi dai compiti che gli sono imposti dalla legge, consente che altri realizzino condotte delittuose, deve ritenersi responsabile perchè l’inerzia è sinonimo di omissione e questa può essere effetto di negligenza ma anche di dolo. Richiama il principio di diritto secondo cui il prestanome risponde a titolo di dolo eventuale perchè, accettando la carica sociale, assume anche i rischi connessi e rileva che nel caso di specie .. aveva avuto modo di cogliere segnali di allarme sulla regolarità della gestione societaria, come rilevato dalla stessa sentenza impugnata.

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Rifiuti: trasporto illecito

Rifiuti: trasporto illecito, sequestro e responsabilità
a cura di Studio Legale Ambiente


La Cassazione penale precisa il concetto di pertinenza che permette il sequestro del veicolo nonché la responsabilità dell’azienda rispetto alla condotta del dipendente ex art. 256 Dlgs. 152/2006.
Si allega breve commento Cass. penale 45932/2913 : Cassazione penale 

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Rifiuti: trattamento e triturazione

Rifiuti: trattamento e triturazione (Cass. penale 3077/2013)
a cura di Studio Legale Ambiente


 
La Cassazione penale ribadisce il concetto che il trattamento esclude l’applicazione della normativa sulle terre e rocce da scavo nonchè dell’art. 230 Dlgs. 152/2006.
Si allega breve commento alla sentenza Cass. pen. 3077/2013 :Cassp. 3077. 256
 

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Delegato ambientale : Cass. Pen. n. 46237/2013

Delegato ambientale: Cass. pen. 46237/2013
a cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


Quale responsabilità per il delegato ambientale munito di idonea delega?
La Cassazione penale si esprime con rigore senza dimenticare l’accertamento della idoneità della delega conferita.
Si rinvia a breve disamina della sentenza citata Cass. pen. 46237/2013: delegato ambientale 46237
 

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Comune e ANAS: chi è tenuto a rimuovere i rifiuti lungo le strade?

Comune e ANAS: chi è tenuto a rimuovere i rifiuti dalle strade?
Proprietario incolpevole e rimozione rifiuti – TAR Basilicata n. 264/2013
a cura di Cinzia Silvestri – Studio legale Ambiente


 Interessante, anche se non pienamente condivisibile, è la sentenza n. 364/2013 del TAR Basilicata /Potenza che affronta il caso del rapporto tra Comune ed il gestore /proprietario delle strade Statali (nella fattispecie ANAS).
Il TAR afferma che per essere destinatari dell’ordine di rimozione bisogna
1)   avere il godimento del bene anche a mezzo di gestione e
2)   la violazione di norme di legge concreta di per se’ la colpa richiesta dalla norma.
La vicenda prende origine dall’ordinanza Comunale (ex art. 14 Dlgs. 22/97) di raccolta trasporto e smaltimento di 80 pneumatici abbandonati (sul margine della carreggiata) ,lungo la strada statale, nei confronti di ANAS quale gestore delle strade (ai sensi dell’art. 14 comma 1 lett. a) Dlgs. 285/1992).
Il Comune ritiene che debba essere l’ANAS a provvedere allo smaltimento e rimozione e l’ANAS ..viceversa.
La sentenza ribadisce che: “… il provvedimento di rimozione dei rifiuti abbandonati e di ripristino dello stato dei luoghi può essere emanato (oltre che contro gli autori degli abbandoni di rifiuti) anche nei confronti dei proprietari o dei titolari di diritti reali o personali di godimento delle aree dove sono stati abbandonati in modo incontrollato i rifiuti, soltanto se vi è stato un comportamento da parte questi ultimi soggetti, che sia imputabile a titolo almeno di colpa e che coinvolga la loro corresponsabilità nell’abbandono dei rifiuti….”.
Il TAR Basilicata riconosce che l’ANAS è titolare di un diritto personale di godimento che deriva dalla legge stessa in “..quanto concessionaria della gestione e della manutenzione ordinaria e straordinaria delle Strade e delle Autostrade di proprietà dello Stato: cfr. art. 2, comma 1, lett. a, D.Lg.vo n. 143/1994”.
Il comportamento colposo è individuato nell’inadempimento dei compiti istituzionali dell’ente volti alla manutenzione ordinaria e alla pulizia delle strade, in particolare così si esprime il TAR: “…emerge il comportamento colposo dell’ANAS, prescritto dall’art. 14, comma 3, D.Lg.vo n. 22/1997, in quanto, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a, D.Lg.vo n. 143/1994 e dell’art. 14, comma 1, lett. a), D.Lg.vo n. 285/1992, rientra nell’ambito dei compiti istituzionali dell’Ente ricorrente la manutenzione ordinaria e la pulizia delle strade, cioè della carreggiata asfaltata, e delle relative pertinenze stradali, tra le quali vanno annoverati anche i canali di scolo per il deflusso delle acque meteoriche, che sono pertinenze di esercizio ai sensi dell’art. 24, comma 3, D.Lg.vo n. 285/1992, essendo parte integrante della strada ed ineriscono permanentemente alla sede stradale. Perciò va qualificata come pertinenza stradale tutta l’area compresa tra la carreggiata ed i predetti canali di scolo per il deflusso delle acque meteoriche. Ai sensi dell’art. 43 C.P., l’elemento psicologico della colpa si concretizza non soltanto con la negligenza, l’imprudenza o l’imperizia, ma anche con l’inosservanza di “leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
Il TAR dunque ritiene che debba essere l’ANAS, in quanto ente gestore, a rimuovere i pneumatici abbandonati da terzi lungo la carreggiata e presso le sue pertinenze.
 

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Sicurezza: DPI e licenziamento

Sicurezza: DPI e licenziamento
Cass. civile 5.8.2013 n. 18615-

A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Il lavoratore impugnava il licenziamento per aver rifiutato di indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI) obbligatori per l’accesso sul luogo di lavoro.
Il lavoratore, segnala la Corte, ha “…il dovere di rendere la prestazione lavorativa con le modalità e nel rispetto delle disposizioni organizzative impartite dal datore di lavoro, ivi comprese quelle attinenti l’utilizzo dei DPI..”
Il lavoratore aveva rifiutato “…di ricevere detti dispositivi..” così  venivano irrogate due sanzioni disciplinari conservative ed in seguito il lavoratore aveva ancora rifiutato di ottemperare ad un ordine di servizio che gli imponeva il ritiro dei DPI; il datore gli aveva così inibito l’accesso al luogo di lavoro e gli aveva contestato la violazione dei doveri a lui posti dalla normativa di sicurezza, dal codice disciplinare e dal rapporto di lavoro.
Seguiva il licenziamento valutato legittimo dalla corte.
La difesa del lavoratore si concentrava nell’assunto di “…non aver mai rifiutato di ricevere i dispositivi di sicurezza individuale per cui sarebbe illegittimamente irrogato non solo il licenziamento, ma anche le precedenti sanzioni disciplinari..”
Sanzioni disciplinari
Il lavoratore, inoltre, si difende allegando che le sanzioni disciplinari erano state impugnate e che il giudice di appello aveva dato valore recidivante a sanzioni ancora non definite.
La Corte sul punto precisa che : “ L’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate per mancanze del lavoratore non preclude al giudice, all’atto della verifica della legittimità del recesso del datore, di tener conto delle sanzioni in questione, atteso che la sospensione prevista dall’art. 7, c. 6, della l. 20.05.70 n. 300 agisce su misure disciplinari già efficaci e si risolve in una mera temporanea ineseguibilità, da ritenere riferita alle infrazioni considerate singolarmente e non già quali componenti del complesso e più grave illecito disciplinare sanzionato con il licenziamento. Consegue che l’impugnativa innanzi al collegio arbitrale non impedisce al giudice di effettuare una valutazione complessiva del merito e della reiterazione del comportamento addebitato (Cass. 5.01.05 n. 172, Cass. 27.04.96 n. 3915 e 20.08.91 n. 8973).

Nella specie la Corte d’appello, aderendo a questo principio, non si è limitata a tener conto del dato formale della recidiva, ma ha preso in considerazione, nel contesto complessivo del comportamento tenuto dal Di V., anche gli episodi oggetto delle sanzioni disciplinari, di modo che la circostanza che sulla legittimità delle sanzioni non sia intervenuto un accertamento definitivo, in questa sede non rileva.
Inibizione prestazione lavorativa
Di interesse nella sentenza il monito della Corte che ricorda l’obbligo del datore di lavoro di inibire la prestazione lavorativa qualora in violazione della normativa sulla sicurezza: “…avesse omesso di ritirare gli stessi legittimava la società datrice ad inibire l’accesso del lavoratore sul luogo di lavoro, avendo essa l’obbligo di impedire la prestazione lavorativa ove l’esecuzione della stessa non fosse avvenuta in condizioni di sicurezza, in quanto avrebbe potuto risolversi in un pregiudizio per l’integrità fisica del lavoratore.
..”
Onere della prova
Il lavoratore non ha l’onere di provare “..l’inesistenza della giusta causa..”. Tuttavia pur gravando sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, tuttavia non è necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti (compreso il lavoratore licenziato) oppure d’ufficio (Cass. 28.10.03 n. 16213)…”
 
 
 

 

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Bonifica: proprietario incolpevole

Proprietario incolpevole dell’Inquinamento e oneri di bonifica
Cons. Stato  n. 2740/2013
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


La sentenza del Consiglio di Stato riporta il contrasto giurisprudenziale sorto sulla questione relativa all’onere e costo di bonifica che grava sul proprietario non responsabile dell’inquinamento. La questione è già all’esame della adunanza plenaria dal marzo 2013 ed in attesa di decisione. Il Consiglio di Stato ritiene invero che la soluzione del caso debba passare  attraverso la soluzione della questione e rimette anche il caso discusso alla decisione plenaria.


Il CASO
Il Ministero dell’Ambiente (e altri ministeri) impugnano la sentenza TAR Toscana 1491/2012 che ha accolto il ricorso proposto dalla società XXX contro  le determinazioni conclusive della Conferenza decisoria, nonché contro il decreto direttoriale recanti prescrizioni di messa in sicurezza della falda e del sottosuolo attualmente di proprietà della ricorrente XXX.
Il TAR Toscana invero precisava che “al proprietario non responsabile di un’area inquinata non possono essere addossati gravosi oneri di messa in sicurezza del sito, in quanto il Codice dell’ambiente ha previsto un coinvolgimento del proprietario – che resta responsabile sul piano patrimoniale, seppure intra vires – soltanto sulla base di una sua eventuale iniziativa volontaria”.
Le Amministrazioni appellanti contestano la sentenza sulla base del principio che la società proprietaria dell’area sarebbe coinvolta nelle attività di ripristino ambientale e messa in sicurezza del sito, “in quanto il titolo giuridico dell’obbligo in capo al proprietario di riduzione in pristino del sito da bonificare sarebbe diretta applicazione del principio comunitario di precauzione, nonché del principio civilistico della responsabilità del proprietario per i danni cagionati da cose in custodia ( art. 2051 cod.civ.).
Il Consiglio di Stato ricorda che con ordinanza n. 2740 del 2013, è stata rimessa alla Adunanza plenaria la questione giuridica relativa alla esatta delimitazione degli obblighi giuridici nascenti, in capo al proprietario non responsabile di un’area inquinata, in ordine alle attività di bonifica e messa in sicurezza del sito.
Il Consiglio di  Stato ricorda i contenuti della ordinanza di rimessione in ordine al problema “se possa farsi gravare sul proprietario dell’area ‘incolpevole’ della contaminazione l’obbligo di realizzare gli interventi di bonifica dei siti contaminati (titolo V della parte IV del ‘codice ambientale) sia pure solo in solido con il responsabile effettivo e salvo il diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo per gli oneri sostenuti.
 1) Il proprietario non è responsabile ma è onerato dei costi di bonifica.
“Il principio “chi inquina paga”, pur individuando nel responsabile dell’inquinamento il soggetto responsabile per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitone, per altro verso, non prevede che – in assenza di individuazione del responsabile ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni – il costo degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà.
D’altra parte, escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento venga sopportato dalla collettività, costituisce proprio la ratio sottesa al principio comunitario del “chi inquina paga”.
La giurisprudenza della Suprema Corte, con la sentenza a Sezioni Unite n. 4472 del 25 febbraio 2009 “sostiene che proprio l’omissione degli accorgimenti e delle cautele atte a realizzare un’efficace custodia e protezione dell’area possano integrare il requisito della colpa previsto dalla norma.
“…Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. …Il principio comunitario “chi inquina paga”, …imputa il danno a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi … per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente”.
 2) Il Proprietario non è responsabile e non è tenuto a sopportare i costi di bonifica
Continua il Consiglio di Stato riportando l’opposto orientamento per il quale “ … non vi sono ragioni testuali o sistematiche per far gravare in capo al proprietario dell’area gli obblighi di adozione delle misure di cui alle disposizioni più volte citate.
Ed invero il Codice  dell’Ambiente stabilisce che
1)          l’obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di individuare e ricercare (artt. 242 e 244);
2)           il proprietario dell’area non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245);
3)           nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250)
4)           a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).
L’amministrazione deve provare che l’inquinamento nel sito sia imputabile alle società e a queste ultime non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito.
L’ accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento deve essere rigoroso e fondato su adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché “su prove e non su mere presunzioni” .

Si aggiunge la giurisprudenza comunitaria che ritiene che l’addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio “chi inquina paga” (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188)”.


Il Consiglio di Stato dopo aver rilevato il contrasto di giurisprudenza devolve la questione all’esame della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. La questione non pacifica è in attesa di risoluzione.

 Leggi anche Proprietario incolpevole e art. 192 Dlgs. 152/2006

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Circolari e DURC – CdS n. 2413/2013

Circolari e DURC – Consiglio di Stato Ordinanza 2413/2013
 A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


La ordinanza sottolinea le valutazioni di illegittimità che spesso accompagnano le “Circolari” delle P.A..

Circolari che dilagano imperative e troppo spesso con contenuti illegittimi difficili da estirpare.
Il Consiglio di Stato si esprime sul DURC affermando che non esiste legge primaria che imponga un DURC per ogni gara. Le molteplici circolari che hanno imposto, invece, il DURC per ogni gara sono palesemente illegittime.


 Il Consiglio di Stato, nel decidere la questione di appello cautelare con ordinanza, si esprime con riferimento alla efficacia probatoria del DURC:
“..considerato , quanto alla contestata efficacia probatoria di tale documentazione, che non vi sono norme primarie che prescrivano che il DURC per la partecipazione alle gare di appalto debba riferirsi alla specifica gara di appalto, mentre disposizioni contenute in circolari (come, ad esempio, nella circolare INAIL 5 febbraio 2008, n. 7; ma si veda anche la circolare del Ministero del lavoro 8 ottobre 2010, n. 35, e la circolare INPS 17 novembre 2010, n. 145), invocate dall’appellante, non appaiono rilevanti, non potendo essere considerate rilevanti le circolari che risultino contra legem (cfr., sul punto, Cons. St., sez. VI, 18.12.2012, n. 6487);


 
Leggi anche articolo su questo sito “Affidamento ai pareri della PA”.

 

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Modello 231: La Società risponde sempre….

Modello “231” : Autonomia della responsabilità dell’ente. Cassazione n. 20060 del 9.5.2013  – art. 8 Dlgs. 231/2001
A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri


 
In sede di Giudizio di primo grado l’imputato viene assolto in relazione al reato presupposto.
Il pubblico ministero proponeva ricorso immediato per cassazione contro la sentenza di assoluzione dall’illecito amministrativo di cui all’articolo 5 del d.lgs. 231/01.
2. A sostegno del ricorso lamenta erronea applicazione dell’art. 8 del predetto d.lgs. Sostiene il pubblico ministero che avendo il Tribunale ritenuto sussistente il reato presupposto, non avrebbe dovuto assolvere l’Ente in quanto quello dell’ente è un titolo autonomo di responsabilità rispetto al reato presupposto, tanto che l’articolo 8 del d.lgs. afferma che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato.

La sentenza affronta il tema della prescrizione del reato e si dilunga sulle tipologie della interpretazione salvo poi affermare il principio di diritto che avvalla l’autonomia della responsabilità e afferma che la Società risponde anche se non è stato individuato il responsabile purché sia accertato il reato presupposto.
L’art. 8 del d.lgs. 231/2001 precisa che
“La responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (…)”
…”Per la responsabilità amministrativa.. è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile. La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile) e ciò nonostante può essere sanzionata in via amministrativa la società.


il titolo di responsabilità dell’ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale, di natura personale.
“…La mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, infatti, un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa: anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti (viene portato l’esempio ai casi di cd. imputazione soggettivamente alternativa, in cui il reato (perfetto in tutti i suoi elementi) risulti senz’altro riconducibile ai vertici dell’ente e, dunque, a due o più amministratori, ma manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di costoro). L’omessa disciplina di tali evenienze – prosegue la relazione – si sarebbe dunque tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento. Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la complessità dell’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere – ricorrendone tutte le condizioni di legge – sul piano amministrativo.

La finalità risiede nel “.. sanzionare l’ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente (o sulle quali queste esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo) commettono dei reati nel suo interesse o a suo vantaggio.

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Sicurezza: Cass. penale 669/2013

Sicurezza: Responsabilità del CDA – datore di lavoro
Cassazione penale n. 669/2013 (21628/2013) – art. 589 c.p.
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente

Il dipendente di una Spa (responsabile magazzino) moriva schiacciato al suolo a seguito del crollo di una balla di cellulosa del peso di due tonnellate posizionata in modo instabile ed inadeguato su pancali all’interno del magazzino.Veniva ritenuto responsabile, quale datore di lavoro, il legale rappresentante della società che si difendeva allegando:1)    la qualifica del dipendente deceduto e le mansioni contenute in procura speciale erano idonee a integrare la delega ex art. 16 Dlgs. 81/20082)    estraneità del legale rappresentante  alle problematiche tecniche della gestione dei magazzini e sulla movimentazione della merce.La sentenza ribadisce concetto ormai consolidato ovvero che destinatario  delle norme per la sicurezza dei luoghi di lavoro è il legale rappresentante quale Presidente del Consiglio di amministrazione .
Nulla di nuovo se non fosse per l’inciso che ricorda la responsabilità dell’intero CDA prima ancora che del Presidente del CDA.
Precisa invero la Corte che la responsabilità nella SPA è del Consiglio di amministrazione il quale può delegare con apposita delibera le proprie funzioni ad un consigliere che assume la posizione di delegato per la sicurezza.

CDA –> delibera –> consigliere delegato –> datore di lavoro (delega sicurezza)

“E’ pur vero che …nel caso di imprese gestite da societa’ di capitali, gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione ….e difatti il Presidente del CDA non può da solo essere considerato rappresentante della società, appartenendo la rappresentanza all’intero CDA salvo delega conferita ad un singolo Consigliere, amministratore delegato, in virtù dell’obbligo di adottare misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro osservanza si trasferisce dal consiglio di amministrazione al delegato rimanendo in capo al CDA residui doveri di controllo sul generale andamento della gestione e intervento sstitutivo nel caso di mancato esercizio della delega”.
Nel caso in esame il presidente del CDA (legale rappresentante) con delibera del CDA aveva ricevuto la delega quale “datore di lavoro per la sicurezza” e dunque  assumeva duplice funzione di garanzia quale datore di lavoro (Presidente CDA) e delegato alla sicurezza (per delibera conferita dal CDA).
 
 
 
 

 

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Quesito: quali obblighi del proprietario di fondo con rifiuti?

Il proprietario incolpevole è tenuto alla chiusura del fondo in presenza di rifiuti?
segnalazione a cura di Studio Legale Ambiente
La sentenza TAR Puglia 301/2013 commentata su questo sito precisa “la mancata chiusura del fondo da parte del relativo proprietario non costituisce comportamento colposo idoneo per imputargli la responsabilità di un indebito deposito di rifiuti sul terreno, posto che, per principio generale, la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e mai un obbligo” (T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 5 giugno 2012, n. 560);

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Proprietario incolpevole e ordinanza ex art. 192 Dlgs. 152/2006

Proprietario incolpevole e rimozione rifiuti – ordinanza ex art. 192 Dlgs. 152/2006
T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 13/02/2013, n. 301

a cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente


I ricorrenti impugnavano l’ordinanza comunale ex art. 192 Dlgs. 152/2006 che gli ingiungeva di provvedere alla bonifica del terreno di proprietà mediante smaltimento dei rifiuti urbani e speciali ivi abbandonati.

Il responsabile, nel caso in esame, era rimasto ignoto e la amministrazione aveva provveduto nei confronti dei proprietari.
La sentenza accoglie il ricorso e richiama anche l’onere delle amministrazioni di attivarsi e provvedere “ognuna per i compiti di propria competenza, alle operazioni necessarie alla messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale della suddetta area, giacché la normativa vigente in materia, pone come obiettivo primario ed inconfutabile la tutela della salute pubblica e la protezione dell’ambiente e del paesaggio”.

La sentenza riassume con chiarezza alcuni punti ormai condivisi dalla giurisprudenza con riferimento all’art. 192 comma 3 Dlgs. 152/2006:

1) L’omessa comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/90 impedisce ai soggetti privati interessati la partecipazione al procedimento finalizzato alla irrogazione della sanzione; impedisce il contraddittorio degli accertamenti effettuati

2) La sentenza non dimentica che “per il configurarsi di una responsabilità per dolo o colpa del proprietario o di chi abbia, anche se in via di mero fatto, la disponibilità della discussa area, occorre che il suo coinvolgimento a titolo di dolo o colpa risulti a seguito di un’adeguata istruttoria e con l’ausilio del privato stesso, da convocarsi in contraddittorio (il che, nella specie, non è avvenuto) per fornire elementi utili di valutazione per l’accertamento delle reali responsabilità

3) La sentenza avvalla la riconosciuta natura della ordinanza ex art. 192 quale “…ingiunzione di sgombero a carattere sanzionatorio…

4) La sentenza ricorda che è esclusa ogni forma di responsabilità oggettiva per violazione di un generico dovere di vigilanza”

5) Proprietario incolpevole: “..l’obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere, invece, addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni responsabilità del medesimo. La P.A. non può, pertanto, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento. L’enunciato è conforme al principio “chi inquina paga”, cui si ispira la normativa comunitaria (art. 174, ex art. 130/R, trattato Ce), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio d’inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione

6) Chiusura del fondo: Interessante anche la precisazione della sentenza che afferma “la mancata chiusura del fondo da parte del relativo proprietario non costituisce comportamento colposo idoneo per imputargli la responsabilità di un indebito deposito di rifiuti sul terreno, posto che, per principio generale, la chiusura del fondo costituisce una mera facoltà del proprietario e mai un obbligo”

7) Autore dell’inquinamento: “nei casi d’inquinamento diffuso, ossia in quei casi in cui non sia possibile o sia oltremodo difficoltoso accertare la responsabilità dell’autore dell’inquinamento, la bonifica resta a carico della P.A. e i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento”

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Affidamento nei pareri della PA: quali conseguenze?

Affidamento nei pareri della P.A.: quali conseguenze?
Cass. pen. Sez. III n. 21918/2012
Art. 137 comma 1 Dlgs. 152/2006 – autorizzazione scarichi industriali

A cura di avv. Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente

La sentenza evoca le infinite situazioni in cui un avvocato sente il proprio assistito rimandare a quello che l’amministrazione scrive, dice, afferma…. quasi fosse legge; e ciò crea affidamento.
L’amministrazione è punto di riferimento, ma anche fonte di sudditanza e di necessità burocratica .
La Cassazione nel caso in esame non ha dato alcuna importanza all’affidamento creato dalle considerazioni della Pubblica amministrazione, che ne esce indenne.
Paga invece le spese del suo incauto affidamento il gestore del lavaggio di auto, colpevole di non aver posto in dubbio le affermazioni dell’amministrazione.

In particolare.
Il gestore di un impianto di autolavaggio veniva condannato dal Tribunale ex art. 137 comma 1 Dlgs. 152/2006 per aver effettuato “ attività di lavaggio di autovetture in carenza della prescritta autorizzazione agli scarichi”
Accade che l’autolavaggio era munito di
a) una sola autorizzazione riferibile alle sole acque di dilavamento del piazzale dell’impianto derivante da precipitazioni meteoriche,
Non era munito come sarebbe stato necessario, attesa l’attività in concreto esercitata di autorizzazione
b) al conferimento in pubblica fognatura di acque reflue industriali o di altre acque a queste ultime comunque assimilate.
Era necessaria l’ autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali.

Il Gestore invoca il comportamento della Pubblica amministrazione (che rispondeva a sua missiva interlocutoria) che aveva creato in lui il legittimo affidamento di non essere tenuto ad avere altra autorizzazione
L’amministrazione invero rispondeva “ non soggetta l’attività ad ulteriore e diversa autorizzazione rispetto a quella già rilasciata in precedenza…”.
La Corte invece imputa solo al gestore la colpa di non aver provveduto ad attivarsi in forza della sua professionalità e maggiore diligenza “ non potendo….. la necessità di un’ulteriore autorizzazione al conferimento in pubblica fognatura di acque reflue industriali o di altre acque a queste ultime ..assimilate sfuggire al ricorrente quale operatore del settore dell’autolavaggio”.

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Proprietario incolpevole e sito inquinato

Il proprietario incolpevole e sito inquinato
note a TAR Veneto sez. III 8.2.2013

A cura di Studio Legale Ambiente – Cinzia Silvestri

Con ricorso e motivi aggiunti, la ricorrente proprietaria di uno stabilimento sito in un’area ricompresa all’interno del sito inquinato di interesse nazionale individuato ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, impugna gli atti con i quali sono stati ordinati adempimenti nell’ambito della procedura, già avviata, volta al disinquinamento delle aree.

La sentenza pone interesse alla questione del proprietario incolpevole.
Il ricorrente lamenta che al proprietario incolpevole dell’inquinamento non possono essere ordinati adempimenti nell’ambito delle procedure volte al disinquinamento e alla bonifica delle aree inquinate.

La Corte però avvalla orientamento restrittivo (non del tutto condivisibile) nei confronti del proprietario non colpevole dell’inquinamento e afferma l’obbligo…di attivarsi.
Il proprietario, afferma la Corte, non può “ disinteressarsi alla propagazione degli inquinanti, senza sopportare delle conseguenze per la propria inerzia”.

La Corte anzi richiama ed evoca,
1) dal punto di vista civilistico, la “…responsabilità risarcitoria ex art. 2051 c.c. per i danni causati da cose in custodia, per non aver posto in essere le misure idonee ad impedire che gli inquinanti presenti nell’area di pertinenza venissero rilasciati nell’ambiente circostante…”,
2) “…dal punto di vista della procedura amministrativa volta al risanamento ambientale, il proprietario, per l’art. 245 del Dlgs. n. 152 del 2006, è comunque tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 che, all’ultimo periodo del comma 1, specifica l’applicabilità delle procedure anche alle contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione…”

Giova ricordare che il richiamo della Corte è riferito alle “bonifiche” ovvero ai siti in cui si è rilevato il superamento delle Soglie di contaminazione (CSR).

La Corte ricorda anche che la disciplina relativa all’”onere reale “ ex art. 253 Dlgs. 152/2006 imcombe solo quando:
1) manca individuazione del responsabile o
2) infruttuosa escussione del responsabile

“….E’ vero che gli obblighi di
a) bonifica e ..
b) ripristino ambientale …
c) obblighi di riparazione per equivalente,
…gravano sul responsabile dell’inquinamento, ma …..nel caso in cui gli interventi vengano effettuati d’ufficio dall’autorità competente, nel caso in cui

1) sia impossibile identificare il responsabile o
2) esercitare nei suoi confronti le azioni di rivalsa,
le conseguenze sono poste a carico del proprietario, ancorché incolpevole, nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi, posto che vi è la specifica previsione di un onere reale sulle aree…”

Qualora dunque non sia possibile identificare il proprietario o impossibile esercitare azione di rivalsa l’amministrazione può provvedere alla bonifica d’ufficio. Le spese di tale bonifica possono essere ripetute nei confronti del proprietario incolpevole ai sensi dell’art. 253 comma 3 Dlgs. 152/2006.

Come si giustifica tale richiesta di rimborso?
Continua la Corte precisando che la ripetizione dlela somma anticipata per la bonifica “ …trova la propria giustificazione nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata..”

La Corte sembra affermare che laddove non si trova il responsabile ..comunque “paga” il proprietario.
Tuttavia si ricorda che l’art. 253 comma 3 Dlgs. 152/2006 subordina ad attenta istruttoria e a provvedimento motivato “l’impossibilità di accertare la identità del soggetto responsabile….”

“…Resta ferma la possibilità per il proprietario incolpevole che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, di rivalersi nei confronti del responsabile per le spese sostenute e l’eventuale maggior danno subito ….

Dunque il proprietario incolpevole – laddove non sia stato individuato con certezza il vero responsabile (si pensi alle contaminazioni storiche) – si trova a dover pagare comunque :

a) spontaneamente (salvo regresso sul responsabile se individuato)

b) forzatamente alla amministrazione (perchè beneficia della bonifica)

La Società proprietaria dell’area anche se dovesse risultare non responsabile dell’inquinamento, può comunque essere tenuta a sopportare le conseguenze della bonifica.

adminProprietario incolpevole e sito inquinato
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