Sicurezza: DPI e licenziamento
Cass. civile 5.8.2013 n. 18615-
A cura di Cinzia Silvestri – Studio Legale Ambiente
Il lavoratore impugnava il licenziamento per aver rifiutato di indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI) obbligatori per l’accesso sul luogo di lavoro. Il lavoratore, segnala la Corte, ha “…il dovere di rendere la prestazione lavorativa con le modalità e nel rispetto delle disposizioni organizzative impartite dal datore di lavoro, ivi comprese quelle attinenti l’utilizzo dei DPI..” Il lavoratore aveva rifiutato “…di ricevere detti dispositivi..” così venivano irrogate due sanzioni disciplinari conservative ed in seguito il lavoratore aveva ancora rifiutato di ottemperare ad un ordine di servizio che gli imponeva il ritiro dei DPI; il datore gli aveva così inibito l’accesso al luogo di lavoro e gli aveva contestato la violazione dei doveri a lui posti dalla normativa di sicurezza, dal codice disciplinare e dal rapporto di lavoro. Seguiva il licenziamento valutato legittimo dalla corte. La difesa del lavoratore si concentrava nell’assunto di “…non aver mai rifiutato di ricevere i dispositivi di sicurezza individuale per cui sarebbe illegittimamente irrogato non solo il licenziamento, ma anche le precedenti sanzioni disciplinari..” Sanzioni disciplinari Il lavoratore, inoltre, si difende allegando che le sanzioni disciplinari erano state impugnate e che il giudice di appello aveva dato valore recidivante a sanzioni ancora non definite. La Corte sul punto precisa che : “ L’impugnazione di sanzioni disciplinari irrogate per mancanze del lavoratore non preclude al giudice, all’atto della verifica della legittimità del recesso del datore, di tener conto delle sanzioni in questione, atteso che la sospensione prevista dall’art. 7, c. 6, della l. 20.05.70 n. 300 agisce su misure disciplinari già efficaci e si risolve in una mera temporanea ineseguibilità, da ritenere riferita alle infrazioni considerate singolarmente e non già quali componenti del complesso e più grave illecito disciplinare sanzionato con il licenziamento. Consegue che l’impugnativa innanzi al collegio arbitrale non impedisce al giudice di effettuare una valutazione complessiva del merito e della reiterazione del comportamento addebitato (Cass. 5.01.05 n. 172, Cass. 27.04.96 n. 3915 e 20.08.91 n. 8973). Nella specie la Corte d’appello, aderendo a questo principio, non si è limitata a tener conto del dato formale della recidiva, ma ha preso in considerazione, nel contesto complessivo del comportamento tenuto dal Di V., anche gli episodi oggetto delle sanzioni disciplinari, di modo che la circostanza che sulla legittimità delle sanzioni non sia intervenuto un accertamento definitivo, in questa sede non rileva. Inibizione prestazione lavorativa Di interesse nella sentenza il monito della Corte che ricorda l’obbligo del datore di lavoro di inibire la prestazione lavorativa qualora in violazione della normativa sulla sicurezza: “…avesse omesso di ritirare gli stessi legittimava la società datrice ad inibire l’accesso del lavoratore sul luogo di lavoro, avendo essa l’obbligo di impedire la prestazione lavorativa ove l’esecuzione della stessa non fosse avvenuta in condizioni di sicurezza, in quanto avrebbe potuto risolversi in un pregiudizio per l’integrità fisica del lavoratore. ..” Onere della prova Il lavoratore non ha l’onere di provare “..l’inesistenza della giusta causa..”. Tuttavia pur gravando sul datore di lavoro l’onere della prova in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, tuttavia non è necessario che la prova sia acquisita ad iniziativa o per il tramite del datore di lavoro, potendo il giudice porre a fondamento della decisione gli elementi di prova comunque ritualmente acquisiti al processo, anche ad iniziativa di altre parti (compreso il lavoratore licenziato) oppure d’ufficio (Cass. 28.10.03 n. 16213)…” |